L'analisi di Cosimo Scarcella/ Ha destato non poco stupore la virulenza con cui il segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, ha attaccato la pronuncia della Cassazione, secondo cui gli istituti religiosi dovranno pagare la tassa Imu anche sugli immobili sede di scuole paritarie...
Ha destato
non poco stupore la virulenza con cui il segretario generale della Cei, Nunzio Galantino,
ha attaccato la pronuncia della Cassazione, secondo cui gli istituti religiosi
dovranno pagare la tassa Imu anche sugli immobili sede di scuole paritarie. Non meno
sorpresa hanno generato le tardive e tepide reazioni della politica,
soprattutto da parte del governo italiano, che soltanto dopo un ragguardevole
lasso tempo, lungi dall’esplicitare doverosamente il suo parere, s’è limitato ad
“annunciare”, ovviamene solo tramite il sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio, Claudio De Vincenti, che il governo avvierà un “tavolo di confronto”,
per arrivare “a un definitivo chiarimento normativo”.
Le leggi e
le sentenze vanno accolte con la necessaria sottomissione, vanno rispettate con
l’onore richiesto dall’ordine giuridico, vanno eventualmente emendate o
addirittura sostituite con successivi procedimenti legislativi garanti della
equità e della giustizia. Questa non è conquista civile e giuridica di recente
scoperta, ma testimoniata già 25 secoli fa da Socrate, primo martire della
libertà della ragione e dell’ossequio alla legalità; tanto che 22 secoli dopo il calvinista Gian Giacomo
Rousseau confesserà che, quando pensava al sacrificio di Cristo si
inginocchiava, perché era Dio, ma quando pensava al martirio di Socrate
piangeva, perché era uomo.
Atteggiamenti
diversi e addirittura opposti di fronte all’ordine giuridico non sembrano né
opportuni né consentiti. Non si può avere la presunzione di leggere nella mente
e di scrutare nei cuori degli uomini. Pertanto, si fonda solo su “sensazioni
nette”, ma sempre soggettive, l’affermare da parte del rappresentante dei vescovi
italiani: "Siamo davanti a una sentenza pericolosa. Chi prende decisioni,
lo faccia con meno ideologia”. Tra il politico che, colpito da sentenza
scomoda, accusa di complotto la magistratura, e le attuali parole del prelato
non passa molta differenza, almeno agli occhi del cittadino libero nel
giudicare e disincantato nel valutare. Ugualmente immotivata è la sua “sensazione
che con questo modo di pensare, si aspetti l'applauso di qualche parte
ideologizzata”: chi la pensa diversamente non diventa subito nemico da
abbattere, né in campo politico né in campo religioso. E’ solo un essere
pensante che la pensa diversamente, senza per questo essere tacciato di asservirsi
a qualcosa o a qualcuno.
Prima di
dare per accertato e incontestabile che quella della Cassazione è una sentenza
“pericolosa e ideologica”, è davvero molto opportuno prendere atto – come
rivendicato dal presule - che “è venuto il momento di smetterla con i tiri
allargati e di cominciare a chiamare le cose con il loro nome”. Ebbene. Già il
nostro Dante Alighieri 8 secoli fa parlava di politica e religione, ossia di
stato e chiesa, come di due “soli” dotati di luce propria e autonoma, e nello
stesso periodo Tommaso d’Aquino avvertiva che non c’è unità senza distinzione.
Senza distinzione c’è solo confusione, dove tutto è indistinto e disordinato e,
quindi, possibile. Andando ai nostri tempi, sono quanto mai provvidenziali le
grandi e significative conquiste del Concilio Ecumenico Vaticano II, che
Jacques Maritain, non certo spettatore passivo dell’evento, sintetizza così ne
“Il contadino della Garonna” del 1966: nessuno ha il dovere e tanto meno il
diritto di “credere” senza l’assenso della sua coscienza libera e illuminata.
Andando
allo specifico dell’oggetto della sentenza contestata, la questione non è nella
sua sostanza difficile a capirsi e problematica a risolversi. Premesso che
pagare le tasse è dovere morale di solidarietà dei singoli e delle collettività
sancito anche dalla Costituzione, si tratta di stabilire se la scuola
“paritaria” – la si consideri ‘pubblica’ o ‘privata’, e di qualunque tendenza e
matrice culturale, ovviamente compatibile con le leggi dello Stato - è una “supplenza” necessaria richiesta da
eventuali carenze dell’ordine scolastico offerto dallo Stato oppure è un’autonoma
iniziativa rivolta a gruppi di cittadini, che ne sentano l’opportunità e ne
reclamino la convenienza. In questa seconda ipotesi non si pone alcun problema,
trattandosi di attività private; nella prima ipotesi, invece, si tratta di
prendere atto e dire chiaramene che lo Stato ha bisogno di scuole paritarie,
che offrano interventi educativi che esso non è in grado di dare. Ma, a parte
che le supplenze per definizione sono temporanee e non certo rinnovabili
all’infinito, esse debbono venire codificate e regolamentate con accordi
preventivamente individuati, discussi e condivisi al fine dei reciproci oneri e
vantaggi, evitando frequenti e talora non limpidi e necessari interventi di
modifica in corso d’opera. Da parte dello Stato italiano ciò deve essere affidato
al Parlamento, che legiferi nel pieno dei suoi poteri, e non a qualche più o
meno estemporaneo decreto ministeriale. Come in questo caso: la Cassazione si è
pronunciata secondo quanto stabilito dai decreti ministeriali vigenti. Si
cambino leggi, e la Cassazione produrrà altri pronunciamenti secondo il loro
dettato. Il tutto in spirito di reciproco rispetto, che escluda diffidenze, minacce
e ricatti, ma produca realtà utili al bene veramente di tutti.