Inizia la
terza e ultima settimana dei lavori del sinodo dei vescovi, ormai divulgato
come sinodo sulla famiglia. In realtà i problemi, su cui l’assemblea sinodale è
chiamata a discutere e decidere, coinvolgono temi dottrinali e aspetti
pastorali d’inestimabile valore per le ricadute sulla vita sia dei singoli che
dei popoli. Sicuramente d’indiscusso rilievo rimane l’attenzione verso le angosce
delle famiglie difficili o irregolari, che, in verità, hanno preoccupato la
gerarchia cattolica sempre, ma, in modo costante e puntuale dal Concilio
Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Ora, dall’odierno sinodo si attendono valide
decisioni più operative e più aderenti all’evoluzione della realtà sociale,
compresa quella del riconoscimento dei diritti civili e della giustificazione
etica delle coppie omosessuali. Ci si aspetta il coraggio da parte di tutti a
non problematizzare l’evidente e a non creare difficoltà, dove vi sono soltanto
realtà chiare, oneste e semplici. Era questo il significato anche dell’appello,
che cinquant’anni fa il cardinale Suenens rivolse nella Basilica di san Pietro
ai Padri del Concilio Vaticano II, proprio mentre discutevano sui problemi del
matrimonio: ”Prego tutti voi, miei fratelli vescovi – implorò il Primate del
Belgio - evitiamo un nuovo caso Galilei!
Uno è già sufficiente!”. Anche questa volta fa ben sperare il constatare che
ben tre delle 27 Assemblee sinodali si siano concentrate sulla famiglia.
Tuttavia, è di
rilevanza davvero storica e annuncia probabili tempi meno guerreggianti e più
solidali - sia per la coesistenza delle diverse
religioni e sia per le difficoltose relazioni internazionali - il comportamento
“concretamente” rivoluzionario di papa Francesco, con cui ha dichiarato con
semplicità e chiarezza il suo modo di concepire e gestire il “potere pontificio”,
ch’egli immagina e programma non più ristretto nei termini tradizionali del primato
pietrino. Rivelatore ed eloquente è stato lo scenario, che lui ha voluto
offrire sabato scorso nell’Aula Nervi, in occasione della commemorazione del
50° anniversario del Sinodo, istituito da Paolo VI: si è visto non un Pontefice
sul trono papale, che rivolge la sua parola a cardinali e vescovi seduti di
fronte a lui ad ascoltare, ma un papa seduto intorno a un ampio tavolo, e con lui
c’erano, anch’essi seduti e pronti a rivolgere la propria parola, porporati e
presuli provenienti da tutte le parti del mondo.
La storia
documenta come l'interpretazione radicale del decreto “Pastor aeternus”, con cui
nel 1871 il Concilio Vaticano I aveva definito e stabilito l'autorità del
primato del papa su tutta la terra (insieme alla sua infallibilità in materia
di fede e di morale) sia stato in realtà l'ostacolo più forte, che ha impedito
il dialogo fra le confessioni religiose e un rapporto positivo e costruttivo
con i poteri laici delle società e degli stati. A riconoscere ciò è stato vent’anni
fa lo stesso papa san Giovanni Paolo II: “La convinzione della chiesa cattolica
- scriveva nel 1995 nell’enciclica “Ut unum sint” - di aver conservato, in fedeltà alla tradizione
apostolica e alla fede dei padri, nel ministero del vescovo di Roma, il segno
visibile e il garante dell'unità costituisce una difficoltà per la maggior
parte degli altri cristiani”. Ecco, allora, il paradosso, a cui papa
Francesco non riesce ad arrendersi: il vescovo di Roma, da strumento e garante
di unità e di pace, è stato fatto segno di divisione e di contrasti. L’umanità
– non solo credente o cattolica - finalmente guarda a questo papa che,
continuando sulla strada tracciata già dalla fine della seconda guerra mondiale
col papato di Pio XII, sta portando a buon fine la riflessione e la soluzione
del problema del rapporto tra il potere del pontefice e quello del collegio
episcopale. E ciò grazie al rispetto della sinodalità codificata mezzo secolo
fa da papa Montini.
Facendo eco alle parole di papa
Wojtyla, con cui esortava a “Trovare una forma di esercizio del primato che,
pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra
ad una situazione nuova”, papa Francesco sabato scorso ha ribadito “la
necessità e l’urgenza di pensare a una conversione del papato”, ricordando che
“l’impegno a edificare una Chiesa sinodale è gravido di implicazioni ecumeniche”,
in quanto “Il Papa non sta, da solo, al
di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come battezzato tra i battezzati e
dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo
– come successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che
presiede nell’amore tutte le Chiese”.
Non può essere la vita reale del mondo
a doversi limitare e adattarsi alle esigenze della Chiesa e della religione, ma
il contrario. Non possono le leggi – anche religiose - ostacolare lo sviluppo
dell’umanità, ma debbono rispettarlo, accompagnarlo, sostenerlo e guidarlo
mediante un attento e continuo dialogo. Nessuno può servirsi del mondo per
scopi anche nobili, ma tutti debbono essere disponibili per il conseguimento e
l’accrescimento del benessere e della felicità degli uomini. E lo sottolinea
ancora papa Francesco, quando, ricordando come
Paolo VI prospettava un organismo sinodale che “col passare del tempo potrà
essere maggiormente perfezionato”, esorta: “Dobbiamo proseguire su questa
strada (…). Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire
anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle
sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della
sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”.