Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.
Visualizzazione post con etichetta costituzione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta costituzione. Mostra tutti i post

giovedì 14 maggio 2020

ORGANIZZAZIONE DEI PARTITI E DEMOCRARAZIA IN ITALIA Ripensando la Costituzione della Repubblica Italiana


In Italia il panorama della vita politica e il tenore dei rapporti tra i partiti non sono certo rassicuranti. Specialmente in questo periodo di pandemia lo scenario presentato dalle condizioni psicologiche,  sociali ed economiche dei cittadini è davvero preoccupante, a causa anche della congiuntura sanitaria. Le programmazioni proposte dai protagonisti politici e governativi appaiono piuttosto deboli e inadeguate, attente per lo più a questioni settoriali e di breve respiro, anche se non prive di una loro intrinseca importanza; la stessa vita interna dei partiti politici non dà spettacolo né di responsabilità collettiva né di concreti contributi individuali; anche la libertà dei cittadini risulta di fatto sostanzialmente limitata. Barcollano i fondamenti della vita sia privata sia pubblica, benché siano sorretti da una ben salda tradizione. Infatti, il ritmo, con cui da ogni parte si reclamano modifiche e si rivendicano interventi di giustizia sociale, è così convulso e caotico da dominare e spaventare l’animo dei cittadini, i quali, di conseguenza, osservano con superficialità gli accadimenti, senza prendersi il tempo necessario per riflettere con pacatezza, valutare con saggezza e scegliere con cognizione di causa. In tale situazione caotica, pertanto, mancano le condizioni indispensabili per una chiara visione complessiva dei problemi, adeguata a trovarne soluzioni assennate e utili. In simili momenti difficili e confusi, infatti, vengono meno il controllo delle volontà e il dominio sugli istinti dell’egoismo e del rancore. In questi ultimi anni, inoltre, le menti dei cittadini sono offuscate e le loro coscienze sono smarrite, poiché assistono a tutti i livelli, al posto del dialogo civile e del confronto politico, a scontri passionali e a funeste lotte intestine.

Per un futuro desiderabile per il nostro Paese è necessaria, perciò, una pausa di riflessione pacata e concreta, al fine di restaurare l’unità degli spiriti e ristabilire le difese naturali dell’onestà morale, dell’etica politica e della solidarietà sociale. Conquiste, queste, tutelate soltanto dalla libertà di pensiero e dall’autonomia di giudizi critici da parte di tutti i cittadini. Quando, invece, prevale lo spirito di parte, allora emerge minaccioso il fanatismo dei singoli e dei gruppi, con tutte le sue nefaste conseguenze. Lo sviluppo dei cittadini, delle società e degli stati è il risultato del loro avanzamento soprattutto culturale, grazie al quale  da agglomerato d’individui reciprocamente sospettosi, diventino popoli, cioè  insieme di cittadini operosi e corresponsabili. Per realizzare concretamente quest’obiettivo sociale, è indispensabile riferirsi e affidarsi a un’idea di uomo oggettivamente vera e globale, e non parziale e settoriale. Ora, è universalmente condiviso che l’uomo è un essere di natura e di cultura, cioè che si nutre, che pensa e che si unisce in società. Di conseguenza, ogni modello di uomo, che neghi o sopravvaluti una qualunque delle componenti umane, non potrà mai pretendere di formare l’uomo-cittadino autentico.

Nel mondo attuale generalmente non godono di molto credito – benché in alcuni Paesi se ne tessa l’apologia e se ne tenti la pratica - le tradizionali opposte dottrine del sociologismo collettivistico e dell’individualismo borghese. Oggi, in verità, si osanna, si sostiene e si promuove - quale valido e invidiabile protagonista – il moderno uomo democratico, che, come profetizzava già due secoli or sono Alexis de Tocqueville, rivendica decisamente le proprie connotazioni: intolleranza per ogni norma e disciplina perché deprimenti, fiducia piena nello spontaneismo della natura e dell’umanità, certezza piena dell’autosoluzione d’ogni congiuntura economico-sociale. A questo punto sembra necessario indagare e verificare la possibilità d’una concezione socio-politica alternativa, che – in chiave personalistica integrale – possa dar vita a una democrazia, in cui ogni uomo sia riconosciuto e rispettato come persona di pari dignità ed escluda, in un contesto di condivisa solidarietà, le opposte pericolose soluzioni dell’omologazione e dell’esclusione.

Il popolo italiano potrebbe ritenersi già ben incamminato per questa strada, grazie all’ordine giuridico e all’ordine  politico codificati nella Carta Costituzionale, frutto della collaborazione positiva e leale delle tre grandi anime culturali, che hanno ricostruito l’Italia nell’ultimo dopoguerra: l’anima socialista, quella liberale e quella cattolica. Primo insostituibile fondamento, infatti, è l’equivalenza cittadino-lavoro, considerato come rapporto economico, ma rivendicato anche e soprattutto come valore umano; quindi, non come criterio di appartenenza a una delle classi sociali, ma come inalienabile diritto-dovere di realizzare la propria vita personale (artt. 1 e 4) e di ottemperare, come cittadini, ai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” nell’ambito della nazione (art. 2) e nel contesto internazionale (art. 10). La solidarietà viene estesa, poi, a confini sempre più vasti, fino a farli coincidere con i confini del mondo: l’Italia, - fu stabilito - “in condizioni di parità con gli altri Stati, consente alle limitazioni di sovranità necessarie”, per realizzare “la pace e la giustizia fra le Nazioni” (art.11). D’importanza non meno rilevante è, ancora, il riferimento al principio di solidarietà dovuta – in virtù della pari dignità dell’uomo - a proposito della tutela della salute, riconosciuta “diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività” (art.32) e a garanzia dell’istruzione universale, dichiarata come diritto a una “scuola aperta a tutti” (art.34).

Il popolo italiano - così concepito, definito, indirizzato e governato – è l’unico titolare della sovranità nazionale (art 1), che esercita sostanzialmente e concretamente in conformità del dettato del disposto combinato degli articoli costituzionali 48, 49 e 67, cioè. mediante l’associazione libera e la responsabile partecipazione attiva ai “partiti politici democraticamente fondati” al fine di “concorrere a determinare la politica nazionale”; mediante l’esercizio del voto “personale, libero, segreto”; mediante la delega al Parlamentare eletto di “rappresentare la Nazione” e di “esercitare” le funzioni del potere delegatogli per il bene comune dell’intera Nazione “senza vincolo di mandato”. I Padri Costituenti, quindi, hanno voluto individuare i limiti di competenza d’ogni soggetto coinvolto, allo scopo di definire e tutelare la sostanza e le modalità del sistema democratico italiano, con cui dev’essere governata la Nazione-Italia, tutelandola dai pericoli di perniciose trasformazioni involutive, prodromo di tentativi oligarchici e di tentazioni autoritarie. Il nerbo, quindi, della Repubblica Democratica Italiana – per esplicita risoluzione e ripetuta dichiarazione dei Padi Costituenti - è il partito politico. Microcellula che dà vitalità e legittimazione a ogni struttura governativa e a ogni funzione amministrativa, il partito è  la realtà presente e operante in ogni luogo dell’intero territorio nazionale ed è in esso che i cittadini partecipano liberamente, discutono responsabilmente e comunicano ai loro parlamentari deputati le risultanze dei loro dibattiti, propongono iniziative ritenute necessarie e indicano progetti e traguardi convergenti verso  il bene comune. Solo nel rispetto sostanziale di queste norme nel Parlamento siedono delegati del popolo, altrimenti la realtà diventa decisamente diversa, soprattutto perché la voce del popolo rimane ignorata e le sue volontà  manipolate o soffocate del tutto.

Considerando la situazione attuale della politica italiana non si fa fatica a prendere atto che l’ordine giuridico e l’ordine politico stabiliti dalla Costituzione sono stati lentamente, tacitamente, subdolamente - ma sostanzialmente -  tramutati. E’ una realtà manifesta che sta sotto gli occhi di tutti.  E con preoccupata attenzione ci soccorre quanto ha scritto nelle “Leggi” più di due millenni orsono” Cicerone, uno dei  “Padri salvatori della Repubblica Romana”.  “La Legalità – scrive perentoriamente - è elemento Morale, che corrisponde a un’idea di Giustizia; la mente, l’anima, la ragione, l’intelligenza di una comunità, tutto è basato sulle Leggi”. A constatare, invece, che a bistrattare la Costituzione – origine sicura e garanzia provata d’ogni Legge - spesso sono organismi governativi e a disattendere le leggi sono quelli che dovrebbero, dopo averle scritte, anche applicarle e rispettarle, ci soccorrono le avvertenze dateci due millenni e mezzo fa da Platone nel VI libro della Repubblica: “In una nave – si legge - i marinai ignoranti tengono incamerato il  capitano Demos, che è un uomo più grande e più forte, anche se un  po’ sordo e dalla vista cagionevole; i marinai,  si contendono il timone; se non riescono a ottenerlo con le preghiere, ammazzano o buttano fuori bordo i concorrenti, o drogano il capitano. Ed esaltano chi li aiuta in queste loro iniziative, trattandolo come un esperto, anche perché, pur essendo privi di conoscenze tecniche e di pratica, pensano che l'arte del pilota si acquisisca semplicemente prendendo il governo della nave, mentre viene trattato come un inutile chiacchierone con la testa fra le nuvole il pilota competente, che  sa molto bene che ci si deve preoccupare dell'anno e delle stagioni, del cielo e degli astri”.

Per una vita politica d’una società veramente all’altezza e coerente con la dignità degli uomini, sono richieste saggezza e prudenza, competenza ed equilibrio, saper riconoscere e accettare ciò che i singoli momenti richiedono senza la presunzione di poter orientare il corso degli eventi da soli, senza il confronto disponibile all’ascolto e il dialogo   pacato e ragionevole. Per evitare il doppio opposto errore della cattiva politica, è quanto mai opportuno, nei momenti di crisi, riflettere sull’insegnamento, che ha lasciato per i posteri di tutti i tempi il vecchio Platone: "Quando un Popolo – avverte nell’VIII libro della Repubblica - divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere come capo alcuni coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, allora accade che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati reazionari e tiranni.
E avviene pure che colui che si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito uomo senza carattere e servo, che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffa di lui e lo contestano, che i giovani pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi, e questi per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo né rispetto per nessuno.
In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia".




venerdì 10 luglio 2015

2 GIUGNO: LA FIABA DEL DIRITTO AL LAVORO

Pubblicato su Affaritaliani il 01.06.2015

Domani, 2 giugno 2015: 68° anniversario della Festa della Repubblica Italiana e della sua Costituzione. Cioè la Festa degli Italiani. Sarà celebrata con spettacoli solenni e manifestazioni significative, tra cui la tradizionale deposizione della corona d’alloro all’Altare della Patria, simbolo dell’Unità e della Libertà, come è scolpito sul marmo bianco dei propilei del Vittoriano a commento delle due quadrighe. Giornata, quindi, di festa, ma soprattutto di ammonimento e di riflessione per il popolo italiano, chiamato da quest’occasione a ricordare la passione e i sacrifici con cui i Padri hanno fatto l’Italia libera, unita, repubblicana e democratica. Un ricordo non retorico e fugace, ma ponderato e impegnato a verificare la fedeltà e la coerenza con cui oggi esso rispetta e onora il patrimonio culturale, morale, civile e politico da loro ricevuto in eredità.

 

L’Italia – dichiara l’articolo 1 della Costituzione - è “repubblicana” e “democratica”, in quanto “fondata sul lavoro”. Infatti, durante i lavori preparatori Giorgio La Pira aveva proposto di esplicitare maggiormente: “Il lavoro è il fondamento di tutta la struttura sociale, e la sua partecipazione adeguata negli organismi economici, sociali e politici è condizione del nuovo carattere democratico”; e Palmiro Togliatti aveva dettato ancora più incisivamente: “Lo Stato italiano è una Repubblica di lavoratori”. Dopo lunghi mesi di confronto e di dialogo fu accolta come lettura definitiva quella proposta da Amintore Fanfani, Aldo Moro e altri: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. I Costituenti, quindi, non hanno posto come fondamento della nostra repubblica democratica valori universali e, quindi, facilmente condivisibili e consocianti, quali l’uguaglianza, la fratellanza, la libertà, ma il lavoro considerato come strumento di liberazione del singolo cittadino, il quale, però, è chiamato a inserire la sua attiva operosità individuale nella cornice di progetti d’interesse generale per l’intera Nazione. Per questo motivo la Costituzione afferma in primo luogo i diritti inerenti al “pieno sviluppo della persona umana”, in quanto essi preesistono allo Stato e, in secondo luogo, assegna alla Repubblica il dovere di realizzare tutte le condizioni effettive di uguaglianza tra i cittadini (art. 3); in questo modo viene consegnata una Repubblica, che mira a obiettivi veramente grandi sia di gratificazione per il singolo e sia di servizio attento verso tutta la società. Però, questo significa anche che, finchè non si realizzerà questo dettato della Carta, in Italia non c’è una repubblica che si possa dire di fatto “democratica, fondata sul lavoro”.

 

A queste affermazioni molti cittadini italiani – e non solo dell’ultima generazione - avrebbero la sensazione di sentire il racconto d’una fiaba incantevole. Ai nostri giorni, infatti, il mondo del lavoro sembra piuttosto l’arena d’un circo, in cui si può assistere a spettacoli di scene tra l’umorismo dell’opera buffa e la disperazione della tragedia greca. Mentre molti “attori” dànno uno spettacolo allucinante fatto di annunci mirabolanti e rivendicazioni strabilianti, un’immensa folla di spettatori s’accalcano, si sfidano, competono, lottano nel tentativo fortunoso d’imbattersi in qualche generoso “donatore di lavoro”, che conceda loro – alle sue condizioni e per un tempo sempre definito - almeno lo stretto necessario per la sopravvivenza sua e dell’eventuale sua famiglia. Pian piano, forse senza avvedersene, gli italiani vivono e operano in una repubblica della precarietà, e non solo lavorativa. Ma una società precaria è necessariamente una società ferma e senza vitalità, spesso facile ostaggio della prepotenza e vittima sicura dell’indigenza. Il pericolo è grave, poiché è tutto l’assetto della Repubblica e della Costituzione che perde la sua struttura portante e smarrisce i suoi princìpi conduttori.

 

Per intercettare e interpretare adeguatamente il messaggio principale della festa del 2 giugno, allora, è opportuno ripensare come nacquero la Repubblica e la sua Costituzione. In ciò è di ausilio ciò che disse nel gennaio 1946 a un gruppo di giovani il padre costituente Piero Calamandrei: “Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne, dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità andate li, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione”. E con preoccupata riconoscenza annotava: “Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse d’un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservati la parte più dura e più difficile (…). A noi è rimasto un compito cento volte più agevole; quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana”.

 

Il testo di tutta la Costituzione è nato dalla confluenza delle tre più importanti culture allora presenti in Italia, notevolmente diverse tra loro, ma pronte a cooperare per la ricostruzione del Paese: la cultura cattolica, quella liberale e quella socialista. In particolare, nella scelta di adottare una concezione peculiare di “persona” s’evidenzia il contributo ricevuto dall’ispirazione cristiana. E non sembra fuor di luogo, pertanto, che anche in questi nostri tempi, si faccia ricorso alle preoccupate diagnosi e alle illuminanti esortazioni dell’attuale papa riguardo il problema del lavoro umano. Quest’uomo fatto venire “dall’altra parte del mondo”, in quanto vescovo di Roma guarda i problemi italiani del lavoro; ma, in quanto responsabile universale d’una religione diffusa in ogni continente, conosce dall’alto del suo osservatorio la situazione del lavoro anche in prospettiva assolutamente universale. Da qui l’importanza e il significato più vero delle sue parole pronunciate in questi ultimi trenta giorni. Il 1° maggio scorso, infatti, intervenendo all’inaugurazione della Expo di Milano, esortava il mondo ivi convenuto a non vivere quell’evento come un bell’argomento, ma come preziosa opportunità per una ricognizione e un impegno comune a prendere consapevolezza e coscienza dei “volti” di milioni di persone che hanno fame; e sollecitava i rappresentanti delle numerose Nazioni presenti a prendere e usare il progetto dell’Expo come mezzo per dare “piena dignità al lavoro di chi produce e di chi ricerca (…). Che nessun pane – scandiva con energico convincimento – sia frutto di un lavoro indegno dell’uomo! E che non manchi il pane e la dignità del lavoro a ogni uomo e donna”. Il successivo 23 maggio, poi, ricevendo i militanti delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, dopo aver evidenziato la globalizzazione della gravità dei problemi del lavoro, senza paura di divenire bersaglio di critiche e motivo di scandalo, ma imperterrito accusava: “L'estendersi della precarietà, del lavoro nero e del ricatto malavitoso fa sperimentare, soprattutto tra le giovani generazioni, che la mancanza di lavoro toglie dignità, impedisce la pienezza della vita umana e reclama una risposta sollecita e vigorosa”. E senza alcuna considerazione di prudenza, accusava a volto aperto e a chiare lettere la vera radice prima della mancanza di lavoro e dello sfruttamento dei lavoratori: “Troppo spesso – constatava - il lavoro è succube (…) di nuove organizzazioni schiavistiche, che opprimono i più poveri; in particolare, molti bambini e molte donne subiscono un’economia che obbliga a un lavoro indegno”. Sa di non fare alcuna invasione di campo ed è forte della sua quotidiana testimonianza personale di altruismo solidale e gratuito: senza parlare, ma coi gesti e coi fatti, dimostra ogni giorno che l’unico Dio è di tutti gli uomini, per cui tutti debbono vivere a immagine e somiglianza divine. E per primi ammonisce i “suoi”; pochi giorni prima, infatti, incontrando gli aderenti alle ‘Comunità di vita cristiana’ aveva detto: “Impegnatevi in politica, ma non a un partito, perchè è realmente convinto che non è nella natura e nei compiti della Chiesa essere o fare partito, ma che l’uomo anche cattolico deve fare politica, ma come servizio umile e dovuto, “come De Gasperi e Shuman, che hanno fatto politica pulita, senza sporcarsi”.

 

E’ una voce, di cui tutti gli uomini, in quanto uomini, hanno immenso bisogno soprattutto oggi. In tempi di smarrimento culturale e di confusione etica, di fronte a esempi privati e pubblici d’insensibilità umana e di gretto egoismo, davanti al vuoto di valide guide e di esempi illuminanti, bisogna salutare davvero provvidenziale ogni luce di speranza che viene offerta all’umanità.

giovedì 4 giugno 2015

ITALICUM, MATTARELLA FIRMA: IL POPOLO TORNA "SOVRANO"

Pubblicato su Affaritaliani, Mercoledì, 6 maggio 2015

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato la legge elettorale, che gli è stata presentata dal Parlamento eletto dal popolo italiano, il quale in quest'occasione ha potuto esercitare la propria sovranità "nelle forme e nei limiti della Costituzione", cioè con tutte le modificazioni spesso sostanziali cui è stata sottoposta. Comunque, la nuova legge elettorale è legge e, quindi, da onorare, qualunque possa essere il giudizio dei cittadini, almeno finchè un successivo intervento legislativo non la corregga o la cancelli del tutto: è questo un fondamento giuridico, che affonda le radici nel diritto della Roma antica, e che s'era imposto in tutta la sua valenza morale già molti secoli prima nella Grecia con la testimonianza di Socrate, primo martire del modello di guida democratica.
I cittadini italiani, quindi, ora debbono rispettare la legge promulgata; e, tuttavia debbono nello stesso tempo, vagliarne responsabilmente più a fondo i contenuti; ma non per svilirli e denigrarli, bensì per scoprire possibili ulteriori indirizzi adatti a rinforzarne i pregi ed eliminarne eventuali carenze e pericoli. Nel loro agire concreto - dato che in Italia vige il sistema di democrazia rappresentativa - essi faranno ciò nei modi consentiti nei luoghi a ciò deputati. Bisogna partire, infatti, concretamente dal prendere atto di alcune modifiche sostanziali apportate negli anni anche al dettato costituzionale, sia formalmente e sia tramite la prassi. Si pensi alla trasformazione radicale della natura e del ruolo del partito politico.
Le nuove generazioni non possono più nemmeno immaginare cosa fosse prima degli anni '90 il partito politico disposto nell'articolo 49 della Costituzione quale "diritto di tutti i cittadini di associarsi liberamente per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale"; e, di conseguenza non possono capire il significato autentico dell'articolo 67, quando prescrive che "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". I partiti politici così intesi erano guidati da "maestri" esperti e buoni, che educavano a guardare più lontano e pensare progetti di bene comune. I partiti, pertanto, pur distinguendosi tra di loro per i valori che ciascuno propugnava come più urgenti, elaboravano progetti e proponevano programmi dettati dai reciproci convincimenti, ma tutti ispirati dal bene comune. E all'interno di ciascun partito si creavano indirizzi diversi, ma ugualmente fecondi e disponibili al dialogo leale e onesto. E sempre con relazioni di reciproco rispetto, anche nei momenti di confronto e di scontro.
Quando s'afferma ciò, talvolta si ha la sensazione d'essere abitanti d'un pianeta ormai scomparso. Infatti, ripercorriamo le modalità con cui le varie forze politiche hanno discusso il testo della legge ora promulgata; oppure riconsideriamo la qualità di linguaggio e i toni usati, spesso anche pubblicamente, da alcuni notabili della classe politica; oppure rivediamo certe scene sconcertanti avvenute nelle Aule parlamentari; oppure, infine, ascoltiamo il grido di sfida lanciato lo scorso 3 maggio dal premier a Bologna a chi s'azzardava di contestarlo: "Non ci facciamo certo spaventare da tre fischi: abbiamo il compito di cambiare l'Italia e la cambieremo, di non mollare e non molleremo". Ma basterebbe leggere il tweet scritto oggi dal premier per pubblicare la foto della sua firma in calce al testo della nuova legge: "Una firma importante. Dedicata a tutti quelli che hanno creduto, quando eravamo in pochi a farlo". Si rimane confusi, e non poco. Una classe politica ha il dovere di rispettare il decoro e la dignità dei cittadini; un autorevole rappresentante del popolo deve guardare sempre e comunque al bene della Nazione, prestando maggiore considerazione alla voce soprattutto di coloro che criticano e addirittura osteggiano. E' proprio dell'uomo politico in generale e di governo in particolare distinguere e valutare..

Ora, però, la nuova legge elettorale di cui è stato dotato l'elettore italiano - comunque sia stata proposta, discussa, ostacolata, difesa, approvata - apporta novità positive, benché mescolate a qualche pericoloso rischio. Infatti, se introdurre con norma costituzionale il modello di democrazia maggioritaria a livello nazionale è stato sempre un tentativo fallito per diversi motivi, negli ultimi vent'anni, però, con le non poche elezioni che si sono succedute, in maniera indiretta ma di fatto, i cittadini sono andati quasi convincendosi d'essere davvero loro a decidere chi avrebbe li governato: cioè, il capo indicato già sulla scheda elettorale di "uno dei due raggruppamenti" in competizione. Ora, con la nuova legge elettorale sarà il capo di "una delle due liste" che, a causa dei requisiti richiesti per ottenere il premio di maggioranza, rimarranno per sfidarsi definitivamente al ballottaggio. Quindi, concretamente sarà il ballottaggio il momento decisivo, in quanto, data l'alta soglia stabilita per ottenere l'assegnazione del premio di maggioranza, difficilmente vi sarà un vincitore al primo turno.

Ecco allora l'importanza del voto del singolo cittadino. I partiti anche in occasione del ballottaggio potranno mettere in campo loro vecchie e nuove strategie, ma sarà la coscienza civica e la responsabilità politica del popolo a scegliere il più idoneo tecnicamente e il più dotato eticamente, a cui affidare il governo per un intero quinquennio. Il ballottaggio, quindi, restituisce il potere concreto ai cittadini. Saranno essi a determinare il futuro dell'Italia, e non avranno alibi per attribuire ai "vizi" altrui eventuali negatività. Questa volta vale davvero che il governo è lo specchio del popolo. Certo non è compito facile né la prospettiva è incoraggiante: la vita politica italiana ha bisogno d'un valido e creduto supplemento d'umanità integrale, aperta alla totalità dei bisogni dell'uomo e all'ordine dei valori degni d'un popolo veramente progredito e civile.