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venerdì 11 giugno 2021


IN ITALIA NON CI SARA’ FUTURO INTEGRALE SENZA LE DONNE

In Finlandia Sanna Marin a 34 anni è Primo Ministro 

 

Pubblicato in Presenza Taurisanese, maggio-giugno 2021, n. 328, p. 13

 

In Italia la popolazione femminile costituisce più della metà dei cittadini. Ogni cittadino italiano – secondo l’esplicito dettato della Carta Costituzionale - contribuisce attivamente alla vita della Nazione mediante “L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2). Questo dovere fondamentale e inderogabile non ammette eccezioni o deroghe per alcun motivo, in quanto la Repubblica  proclama la pari dignità dei suoi cittadini e riconosce loro indistintamente i medesimi diritti, ma esige da ciascuno l’assolvimento dei rispettivi doveri: “Tutti i cittadini – è sancito solennemente nell’articolo 3 – hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Il cittadino italiano, quindi, che legittimamente usufruisce – indipendentemente dalle diversità personali e sociali -  dei diritti garantitigli, non può non adempiere – secondo le sue possibilità e nel rispetto delle le diversità personali e sociali - ai doveri richiestigli, poiché sarebbe un fatto, oltre che contrario al dettato costituzionale, anche gravemente lesivo della integralità della persona umana, in quanto depriverebbe i propri concittadini del contributo dovuto e, pertanto, depaupererebbe tutta la Nazione economicamente e soprattutto moralmente e culturalmente. Analizzando la situazione reale  in Italia, sembra che le donne – che sono, appunto, oltre la metà della popolazione – non sono messe nella possibilità concreta di offrire totalmente e liberamente il proprio contributo adeguato alle loro capacità, determinando, così, uno spreco ingiustificato e dannoso di energie collaborative e costruttive.

 

A queste puntualizzazioni s’è spinti, quando si voglia considerare e valutare il ruolo riservato e assegnato alle donne italiane, oggi, nelle varie attività socio-economiche del Paese, nelle decisioni politiche e nel mondo della cultura e della ricerca. Ad accendere la curiosità e a suscitare l’interesse degli spiriti più attenti sono state le reazioni italiane registrate in occasione della nomina, circa un anno fa, alla carica di Primo Ministro della Finlandia di Sanna Marin. Improntate a stupore e ammirazione, si levavano voci piuttosto fioche, che avevano il sapore soprattutto della meraviglia e dell’attesa. Molti sapevano e sottolineavano solo il fatto che si trattava di una donna e che era una donna giovane, pochi andarono alla ricerca, per acquisire o approfondire conoscenze utili e illuminanti sulla vicenda umana e sull’esperienza politico-amministrativa, grazie alle quali la neoeletta Premier s’era proposta all’attenzione dei parlamentari finlandesi, che non hanno avuto perplessità a porre nelle sue mani la guida del Governo Nazionale. Sanna Marin, di 34 anni, dopo la regolare frequenza delle Scuole Superiori, frequenta l’Università di Tampere, conseguendo nel 2007 (a ventidue anni) la Laurea in Scienze dell’Amministrazione; nello stesso anno viene eletta nel Consiglio Comunale di Tampere, ricoprendo la carica di Presidente del Consiglio Comunale. Negi ultimi anni è stata vicepresidente dei socialdemocratici finlandesi e parlamentare. E’ madre d’una bambina avuta dal compagno storico. Emerge la figura di una donna umanamente costruitasi su solide fondamenta, di una professionista competente e responsabile e di una cittadina eticamente indiscutibile e politicamente formatasi per mezzo di esperienze compiute con la necessaria gradualità e con esiti positivi puntualmente verificati. Un esempio degno di emulazione.

 

Sarebbe quanto mai opportuno, ora, considerare quali opportunità reali hanno le donne in Italia d’intraprendere e concludere percorsi formativi teorico-pratici di cultura civica, che consentano loro – oltre all’accesso in carriere esecutive o impiegatizie - di cimentarsi personalmente in compiti di responsabilità, di assumere direttamente iniziative impegnative, di affrontare rischi e pericoli d’un’impresa. Ed anche: di acquisire un consistente patrimonio di dottrina e di pratica necessario per scegliere di sobbarcarsi a cariche pubbliche politico-amministrative. In Italia, di fatto, le donne presenti nell’agone politico-amministrativo sono un numero molto esiguo e perlopiù relegate a ruoli secondari e comunque sostanzialmente gestiti da figure maschili, per cui risalta chiaramente la disparità numerica e qualitativa tra i generi e la scarsa possibilità di rappresentare i problemi relativi ai diritti-doveri delle donne.

 

Nonostante ciò, oggi, in considerazione degl’inconfutabili miglioramenti nella valutazione delle donne, s’è portati a ritenere risolto il problema dell’uguaglianza tra i generi; in realtà, però, se si considera – oltre alla crescente partecipazione femminile nel campo del lavoro, dell’insegnamento e della cultura - la presenza delle donne nelle sedi, in cui si prendono decisioni nei settori della finanza, dell’economica e della politica, ci si rende conto che di fatto – contro ogni dettato e auspicio dei Padri Costituenti - l’uguaglianza tra uomini e donne è ben lontana dall’essere acquisita. In tutti i settori della vita lavorativa nazionale, infatti,  gli uomini tendono ad occupare le posizioni di maggior potere; nelle organizzazioni i vertici aziendali e i dirigenti sono perlopiù uomini; nelle istituzioni politiche il numero di donne è sempre molto inferiore a quello degli uomini. Eppure i Padri Costituenti hanno definito e sancito alcuni Principi Fondamentali rimasti sinora nell’ombra o addirittura del tutto ignorati. Ciò costituisce – oltre a una notevole ingiustizia sociale moralmente biasimevole - un grave vulus giuridico, che dev’essere sanato, perché il Paese possa essere davvero annoverato tra quelli realmente progrediti. Tra i Principi Fondamentali della Costituzione, infatti, nell’articolo 3, dopo la dichiarazione della pari dignità e uguaglianza tra i generi, è sancito il compito della Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale”, che creano disparità e impediscono lo sviluppo personale e “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

          Questo fondamentale dettato costituzionale sarebbe stato destinato a rimanere nel mondo delle nobili aspirazioni, se i Costituenti non avessero indicato anche le vie concrete per la sua realizzazione. Trattando, infatti, dell’ambito dei “Rapporti Politici” – che è il luogo, in cui in sostanza viene presa la maggior parte delle decisioni, che condizionano e orientano le scelte importanti e gl’indirizzi qualificanti della varia e complessa vita d’un popolo – la Carta nell’articolo 51 stabilisce: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza”.  E quasi interpretando possibili dubbi e dannose incertezze, per non lasciare spazio a tentazioni fuorvianti e, comunque, per  bloccare ogni cavillo o pericolo di fraintendimento, si chiama in causa direttamente la Repubblica, assegnandole il dovere non solo di riconoscere e garantire i diritti sociali e politici anche delle cittadine, ma anche di   “promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini” (art. 51). E, in verità, provvedimenti legislativi in tal senso sono stati indubbiamente prodotti, ma finora non sono stati in grado di incidere significativamente sulla condizione e sulla partecipazione delle donne alle attività della Nazione. Basti osservare le presenze femminili nel Parlamento (solo un centinaio di donne su 945 membri) e negli Enti Locali (solo un quinto delle presenze maschili). Eppure in Italia non potrà esserci davvero un futuro globalmente inclusivo e integralmente umano senza la giusta valorizzazione delle energie e delle risorse del genere femminile.

 

          Nella Costituzione, infine, vengono chiaramente indicati il mezzo adatto e il modo concreto, perché ogni cittadino – uomo e donna - possa partecipare concretamente e agire efficacemente nella vita socio-economica e e politica della Nazione. A tal fine, infatti. fu stabilito: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art.50). Ovviamente i Padri Costituenti pensavano al partito quale luogo, in cui i cittadini d'ogni ceto sociale – in costante cooperazione con i movimenti femminili e giovanili – discutevano con responsabilità e libertà problematiche del momento, di parte e d’interesse generale, e proponevano democraticamente ipotesi risolutive, ciascuno in coerenza con i propri valori umani e e le proprie convinzioni politiche e civili. La progressiva trasformazione negli ultimi decenni della natura specifica e delle finalità affidate al partito originario, pone problemi nuovi, che richiedono riflessione e autocritica.