Chiunque, però, voglia
e sappia scrutare le cause profonde delle insensibilità disumane, che generano
divisioni e lotte, ingiustizie e aggressività, povertà e miseria tra gli uomini
e tra i popoli in questi tempi, non può non riconoscere che non si tratta solo
di degenerazione di alcuni organi istituzionali e di corruzione di alcune funzioni
private e pubbliche, bensì di depravazione - nell’intero organismo sociale – di
ciò che esso ha di sostanziale e di più profondo, per cui non a torto –
sembrerebbe - gli uomini di cultura hanno spesso dubitato e dubitano tuttora che
la loro presenza attiva nella vita politica (vista dai più come sontuoso paludamento
dei politici’ scaltri, ma priva di vera e fattiva rilevanza) potrebbe essere
considerata e concretamente usata solo come una collaborazione di “utili
idioti”, per cui prendono poca parte nell’attività politica, in cui palesemente
non s’ascolta la correttezza d’un parere, ma s’incorona col successo chi segue le
tendenze e si getta nell’oscurità e nell’indifferenza chi vi s’oppone.
Ai nostri giorni,
però, s’impone la necessità d’un supplemento di cultura nei “popoli” e nei loro
“governanti”, cioè nella vita politica nel suo complesso. E’ più che
sufficiente osservare la qualità e i toni della lingua generalmente usata per
esprimere valutazioni su amici e nemici (pare n esista più “l’avversario”
politico) e per lanciare giudizi su tutto e su tutti: tanta è la virulenza e il
sarcasmo che non è dato quasi mai distinguere il vero dal falso. E questo è
nocivo per tutti i cittadini. Già quindici anni or sono Norberto Bobbio
scriveva: “Non vi è cultura senza libertà, ma non
vi è neppure cultura senza spirito di verità. Le più comuni offese alla verità
consistono nelle falsificazioni di fatti o nelle storture di ragionamenti”. Affermazione
che fa meditare con preoccupazione.
A questo male non si ripara, però, facendo ricorso all’intervento nella politica
dei cosiddetti ‘tecnici’. Questi vengono richiesti dagli apolitici, che
pretendono di separare politica e tecnica, benché siano consapevoli che il
tecnico non avrà mai le competenze necessarie per capire e risolvere il tanto
decantato bene comune. E nuovamente ci ammonisce Bobbio: “Tecnica apolitica vuol
dire in fin dei conti tecnica pronta a servire qualsiasi padrone, purché questi
lasci lavorare e, s'intende, assicuri al lavoro più o meno onesti compensi;
tecnica apolitica vuol dire soprattutto che la tecnica è forza bruta,
strumento, e come tale si piega al volere e agli interessi del primo che vi
ponga le mani. Chi si rifugia, come in un asilo di purità, nel proprio lavoro,
pretende di essere riuscito a liberarsi dalla politica, e invece tutto quello
che fa in questo senso altro non è che un tirocinio alla politica che gli altri
gli imporranno, e quindi alla fine fa della cattiva politica”. Dietro le
parvenze del tecnico apolitico Bobbio intravedeva il politico incompetente, che
è privo delle conoscenze necessarie, per cui non sa come procurarsele e in
genere resta solto un politicante. Un tema, come si vede, di chiara attualità
nel dibattito politico: si deve rendere la politica consapevole dell'importanza
della conoscenza accurata dei fatti e del rigore nell'argomentazione. Cioè
della cultura.