Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.
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mercoledì 21 novembre 2018

COMPITO DELLA CULTURA NELLA POLITICA DI OGGI



Proporre analisi o suggerire rimedi in termini culturali alle prassi politiche d’oggi, a qualunque livello esse operino, potrebbero suscitare risate umoristiche o addirittura apparire uno stravagante scherzo ironico. Politici, storici, economisti, infatti, gareggiano d’ingegno nell’individuare le cause prossime e remote dei tanti disordini sociali, che serpeggiano in ogni parte del mondo, dalle ribellioni dei cittadini contro i poteri costituiti fino ai sanguinosi conflitti armati tra le nazioni e i diversi popoli. In queste analisi, quasi sempre, vengono analizzati gli aspetti esteriori di tali fatti, per i quali - con logica conseguenza – si indicano come rimedi risolutivi, mutamenti esteriori: o ordinamenti giuridici più severi o sistemi politici opportunamente aggiornati o strategie e tattiche di marketing tempestivamente rinnovate o confederazioni di popoli nuove e validamente strutturate. E’ chiaro che in questa prospettiva tutto viene ridotto a problema giuridico e socio-economico, nel cui campo non s’intravede e non si assegna alcun ruolo attivo ed efficace alla cultura. D’altra parte, quale aiuto o aspettativa ci si potrebbe aspettare dalla cultura, dal momento che gli eventi s’inseguono così rapidamente che non concedono alcun intervallo da dedicare alla riflessione e alla valutazione: vengono a mancare così sia la necessaria e pacata lucidità della ragione sia la vigile e tenace vigoria della volontà, presupposti indispensabili per ogni valutazione oggettiva dei fatti e per ogni intervento lungimirante.


Chiunque, però, voglia e sappia scrutare le cause profonde delle insensibilità disumane, che generano divisioni e lotte, ingiustizie e aggressività, povertà e miseria tra gli uomini e tra i popoli in questi tempi, non può non riconoscere che non si tratta solo di degenerazione di alcuni organi istituzionali e di corruzione di alcune funzioni private e pubbliche, bensì di depravazione - nell’intero organismo sociale – di ciò che esso ha di sostanziale e di più profondo, per cui non a torto – sembrerebbe - gli uomini di cultura hanno spesso dubitato e dubitano tuttora che la loro presenza attiva nella vita politica (vista dai più come sontuoso paludamento dei politici’ scaltri, ma priva di vera e fattiva rilevanza) potrebbe essere considerata e concretamente usata solo come una collaborazione di “utili idioti”, per cui prendono poca parte nell’attività politica, in cui palesemente non s’ascolta la correttezza d’un parere, ma s’incorona col successo chi segue le tendenze e si getta nell’oscurità e nell’indifferenza chi vi s’oppone.

Ai nostri giorni, però, s’impone la necessità d’un supplemento di cultura nei “popoli” e nei loro “governanti”, cioè nella vita politica nel suo complesso. E’ più che sufficiente osservare la qualità e i toni della lingua generalmente usata per esprimere valutazioni su amici e nemici (pare n esista più “l’avversario” politico) e per lanciare giudizi su tutto e su tutti: tanta è la virulenza e il sarcasmo che non è dato quasi mai distinguere il vero dal falso. E questo è nocivo per tutti i cittadini. Già quindici anni or sono Norberto Bobbio scriveva: “Non vi è cultura senza libertà, ma non vi è neppure cultura senza spirito di verità. Le più comuni offese alla verità consistono nelle falsificazioni di fatti o nelle storture di ragionamenti”. Affermazione che fa meditare con preoccupazione.

 A questo male non si ripara, però, facendo ricorso all’intervento nella politica dei cosiddetti ‘tecnici’. Questi vengono richiesti dagli apolitici, che pretendono di separare politica e tecnica, benché siano consapevoli che il tecnico non avrà mai le competenze necessarie per capire e risolvere il tanto decantato bene comune. E nuovamente ci ammonisce Bobbio: “Tecnica apolitica vuol dire in fin dei conti tecnica pronta a servire qualsiasi padrone, purché questi lasci lavorare e, s'intende, assicuri al lavoro più o meno onesti compensi; tecnica apolitica vuol dire soprattutto che la tecnica è forza bruta, strumento, e come tale si piega al volere e agli interessi del primo che vi ponga le mani. Chi si rifugia, come in un asilo di purità, nel proprio lavoro, pretende di essere riuscito a liberarsi dalla politica, e invece tutto quello che fa in questo senso altro non è che un tirocinio alla politica che gli altri gli imporranno, e quindi alla fine fa della cattiva politica”. Dietro le parvenze del tecnico apolitico Bobbio intravedeva il politico incompetente, che è privo delle conoscenze necessarie, per cui non sa come procurarsele e in genere resta solto un politicante. Un tema, come si vede, di chiara attualità nel dibattito politico: si deve rendere la politica consapevole dell'importanza della conoscenza accurata dei fatti e del rigore nell'argomentazione. Cioè della cultura.