Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.
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domenica 27 giugno 2010

VERITA’ LIBERTA' E SOLITUDINE

Il modello culturale dell’Occidente (che va estendendosi, purtroppo, anche in altre aree del globo terrestre) induce l'uomo a una vita di dinamismo frenetico, che, con ritmi di superficialità e vortici di celerità, lo trascina in spirali di tale confusione, che gli tolgono ogni possibilità di autodeterminazione e la capacità di rimanere consapevole del senso e della direzione della sua stessa vita. Infatti, nel sistema socioculturale occidentale dominano sempre più strutture così invasive che riempiono fino all’assurdo la mente e il cuore dell’uomo. Nelle singole persone, poi, l’assurdità si mescola a una specie di stordimento diffuso, testimoniato dalla gravità, con cui essi si dedicano all’appagamento delle proprie ambizioni. Una prima conseguenza comune a molti è una stanchezza morale, che invade l’intelligenza e la volontà, le occupa in un crescendo continuo che genera e alimenta un diffuso malessere insopportabile. Allora s’insinua lentamente un intimo bisogno d’arrestarsi, di scrutare la situazione, di vederci chiaro: con l’intento d’impossessarsi della propria esistenza, rendendosi conto dei motivi profondi di un simile stato d’animo, comprendendo le radici vere del proprio pensare e le motivazioni reali del proprio modo di vivere. A questo punto, lo stato di disagio si muta in bisogno di liberazione, e quel torpore atrofizzante viene gradualmente scosso da una silenziosa ma potente volontà di un vivere nuovo, consapevole, ragionevole, responsabile. Cominciano, così, a sprigionarsi nascoste energie insite nella natura umana; e intanto nell’animo insorgono, sempre più frequenti e intensi, improvvisi bagliori, presagi di rinnovato vigore e di forte anelito a verità autentiche. Il mondo circostante, allora, si svela in tutta la sua inconsistente appariscenza; e frana con tutto il suo apparato di finzioni e d’ipocrisie. L'uomo, quindi, se ne distacca; e va alla ricerca di spazi e tempi tutti suoi, da non condividere con alcuno, ma da vivere nell’intimità profonda del suo animo, desiderando di ritrovare il suo io vero e di riscoprire il senso autentico della sua esistenza, rimasti, forse per lungo tempo, dissacrati e smarriti nei quotidiani affanni disumananti. Tenta, allora, la via della meditazione solitaria; si sforza di rifugiarsi nel silenzio interiore popolato di sole voci “umane”; deve affrontare e vincere non poche difficoltà, perché è stato disabituato alla riflessione e all’ascolto: non sa più ritrovare la strada per addentrarsi sul serio in se stesso. Infatti, la strada per trovare e vivere questa dimensione di vita interiore è una sola: conquistare autodisciplina e padronanza di sè tali che, proprio mentre consentono di essere parte attiva e operante del tutto sociale e cosmico, rendano liberi da tutto e da tutti. Solo nell’assoluta libertà potranno instaurarsi quei valori che, proprio perché evidenti, onesti, schietti, umani, diventano i valori anche “suoi”. Saranno valori difficili a comprendersi e ardui a viversi, ma saranno quelli che sosterranno ogni vita a reale dimensione di umanità integrale. La vera solitudine, quindi, non è il vuoto che creiamo attorno a noi, ma è la nostra interiorità che riempiamo di verità autentiche nella maggiore libertà possibile. Non è, perciò, un tagliarsi fuori dal mondo concreto, ma un vivere e un viversi dentro. Questo significa scegliere la solitudine, che fa vivere nella verità che libera e che salva. A questa verità non potrà mai arrivare – ovviamente – chiunque presuma o di possederla già o di trovarla fuori da sè. La verità, infatti, abita solo nell’arcana interiorità d’ogni cuore umano, come ha testimoniato Agostino, sull’esempio di non pochi filosofi greci, tra cui Parmenide, Socrate e Platone. E’ questo l’unico itinerario che conduce alla verità assolutamente innegabile, che nè mutamento di tempi storici, né trasformazioni di cultura, né alternanze di egemonie politiche possono intaccare o modificare. Se, invece, ci s’inoltra in percorsi inadeguati a condurre alla verità (e sembrano dominanti), il discorso è chiuso e non c’è alcuna possibilità di autenticità dialogante. Con questi procedimenti, infatti, nessuno ha mai trovato la verità, nè mai la troverà, in quanto non si può “trovare” ciò che si possiede già e da sempre in se stessi. La verità “cercata e trovata” fuori da sé è destinata a tramontare fino alla sua totale scomparsa, in quanto si tratta del prodotto di una cultura storica e, quindi, datata, contingente, transeunte: verità, cioè, negabile, destinata a durare quanto il tempo che l’ha determinata. La verità assolutamente innegabile, invece, non conosce né tramonti né eclissi; e Agostino ammonisce: “Non la luce che vedono i nostri occhi, ma quella che vede il cuore, quando sente dire: ‘è la Verità’. Non cercare di sapere cos'è la verità, perché immediatamente si interporranno la caligine delle immagini corporee e le nubi dei fantasmi e turberanno la limpida chiarezza, che al primo istante ha brillato al tuo sguardo, quando ti ho detto: ‘Verità’! Resta (se puoi) nella chiarezza iniziale di questo rapido fulgore, che ti abbaglia, quando si dice: ‘Verità’! Ma tu non puoi. Tu ricadi in queste cose abituali e terrene”. Lasciarsi folgorare dalla luce che solo il cuore è capace di vedere; quindi, non “ragionare” sulla verità, ma “vedere” la verità. Allora, nella solitudine totalmente “vuota” s’avvera il prodigio: finito e infinito si fondono nell’esistenza; mortale e immortale si compenetrano nella contingenza; contingente e assoluto s’arricchiscono reciprocamente; singolarità e cosmicità s'intersecano e si realizzano in tutta la loro pienezza, proprio mentre sono attivamente operosi nel tracciare nuovi solchi alla storia e nell’indicare nuove direzioni all’umanità. Agisce come un piccolo sasso che, lanciato nel gran mare dell’essere, smuove tutta la storia dell’umanità e del cosmo, generando, con la sua umile e silenziosa fedeltà alla verità libera, un movimento di cerchi concentrici, forse lento ma certamente irrefrenabile. E così, la paura dell'essere soli si trasforma in potente energia, promotrice di tempi nuovi e più a dimensione umana. E Nietzsche dà quest’importante indicazione: “Chi sa di essere profondo, si sforza di esser chiaro. Chi vuole apparire profondo alla folla, si sforza di esser oscuro. Infatti la folla ritiene profondo tutto quel di cui non riesce a vedere il fondo: è tanto timorosa e scende tanto mal volentieri nell'acqua!”. Solo chi osa scendere nel profondo del proprio essere avrà chiaro davanti a sé il fulgore della verità, che risplende solo nella libertà.

venerdì 30 ottobre 2009

IDEALITA' E REALTA' ovvero SOLITUDINE E TOTALITA’

Mondo delle idealità e mondo delle realtà, confini della spiritualità e confini della concretezza, sfera della progettualità e sfera della realizzabilità: sembrerebbero due mondi distinti, forse anche contrastanti e inconciliabili, per cui sarebbe assurdo anche ipotizzare la possibilità di una loro interazione. Sembra opportuno, tuttavia, indagare se possano esserci – o se ci sono con certezza – rapporti tra il mondo “interiore” proprio dello spirito umano individuale e il mondo “esteriore” proprio della vita che si svolge nelle società umane e nel mondo della realtà. Il primo è il mondo, che ognuno concepisce negli intimi recessi del suo spirito, feconda nell'arcano calore del suo sentimento, alimenta nella segreta intimità del proprio animo (è il mondo, quindi, fatto di interiorità, di risevatezza, di segretezza, di “nessi logici” umani, ma incomunicabili); il secondo è il mondo della vita reale, quel mondo che ciascun uomo deve progettare nelle maglie spesso ingovernabili dei rapporti interindividuali, deve vivere nell'intreccio imprevedibile dei rapporti tra gruppi e tra società, deve realizzare durante il tempo che passa inesorabilmente, e dentro gli spazi quasi sempre imposti dalle situazioni storiche oggettive e contingenti (è il mondo, quindi, fatto di esteriorità, di verificabilità, di ostentazione, di “nessi logici” umani comunicabili, che si traducono, per lo più, secondo l'espressione di Ipponatte, nelle “ipocrisie della vita”).
Ciascun uomo, esistenzialmente, nasce “situato” in un luogo e in un tempo definito, del tutto indipendentemente da ogni sua scelta, consapevole o inconsapevole; si viene a dover stare, quindi, in un contesto sociale, economico e culturale ben stabilito; e da questo contesto, di cui è “figlio”, gli derivano i fondamentali caratteri specifici che lo “segneranno”, cioè lo definiranno, lo condizioneranno, lo determineranno per l'intero corso della sua esistenza, investendone non solo i suoi aspetti corporei e le sue connotazioni psichiche, ma anche le modalità essenziali del suo pensiero e del suo comportamento. Sotto questo aspetto, perciò, ciascun uomo è “segnato” biologicamente e culturalmente; cioè, è un soggetto che “deve” pensare e agire nell'alveo di tradizioni consolidate, di valori comuni, di doveri e diritti sociali concordati e sanciti. Diversamente diventerà un apolide, “asociale” e “incivile”: rimarrà estraneo e rigettato da tutti, cioè non avrà una propria identità sociale e culturale storica. E così ridotto, sarà considerato e trattato come un povero “idiota” da sopportare e da commiserare: sempre, comunque, inutile, se non addirittura nocivo, perchè di peso e di ostacolo al cosidetto vivere civile.
Nello stesso tempo, però, ciascun uomo, esistenzialmente, nasce “dotato” di un proprio mondo interiore, tutto e solo suo, dentro il quale egli cova, feconda e alimenta sentimenti spontanei suoi e sue emozioni involontarie, affetti liberi suoi e sue speranze inaspettate, desideri impensati suoi e sue paure improvvise, incertezze incontrollate sue e suoi progetti accarezzati, suoi sogni sempre bramati e mai abbandonati: cioè, tutto quel mondo interiore, che costituisce la sostanza più vera della singola vita umana; quella sostanza che dà l'audacia delle proprie visioni totali e delle scelte vere, radicali e definitive, che niente e nessuno, nemmeno la morte, potrà mai mutare e nemmeno soltanto scalfire. La realtà storica, tuttavia, condizionerà le idealità e addirittura determinerà le modalità della realizzazione delle scelte; il mondo reale imporrà tempi e spazi d'azione e di comportamento, richiederà coraggio estremo, causerà dolori sovrumani, infliggerà tormenti strazianti. Però, rimarrà intatta, sempre e comunque, l'essenza reale del mondo ideale d'ognuno, cioè dell'unico mondo veramente pieno, perchè popolato dalle scelte autentiche, perchè scelte libere, estreme, “ideali”, totali, che l'uomo, dovendo vivere concretamente negli angusti confini della storia terrena, momentaneamente realizza solo nelle dimensiomi della speranza e dell'attesa, ma che che è sicuro di realizzare nella piena totalità della loro entità nell'eternità dell'Infinito. Il mondo delle idealità è il mondo che ognuno vive nel proprio animo: e lo gestisce liberamente, lo custodisce gelosamente, lo difende tenacemente. Ecco perchè abbiamo definito l'animo umano come “lo scrigno più prezioso, più sicuro, più impenetrabile, più sacro che è dato in dote a ciascun uomo”. E la dimensione dell'animo umano è così importante che l'abbiamo considerato “l’essere sostanziale d’ogni individuo, la sua vera essenza esistente e vivente in sé e per sé, nella sua singolarità totale, che rende l’esistente umano (che in sé e per sé è individuale e contingente) partecipe della Totalità somma dell’unico Essere infinito: quell’Essere che tutto comprende e tutto accoglie; che tutto realizza e tutto esprime; che tutto verifica nell’assoluta trasparenza immediata della verità immortale (…); che mai viene meno, mai dubita, mai tradisce; quell’Essere totale che nessuno e nulla può ingannare”.
Ecco la drammacità della situazione esistenziale dell'uomo. Da una parte, egli è un essere storico, che “deve” vivere in tempi storici ben definiti e dentro spazi geografici ben circoscritti, per cui è “parte” di una ben determinata cultura, dentro la quale “deve” realizzare la sua esistenza. Si trova immerso, quindi, in un mondo storico, che s'impone per la concretezza degli elementi che lo costituiscono: cioè, successo, benessere, ricchezza, potere, piacere, salute... E' un mondo che forma un insieme ben compatto di solidi elementi che interagiscono tra di loro, condizionandosi e determinandosi, creando, così, “situazioni oggettive” concrete e inoppugnabili, che governano sostanzialmente la vita storica degli uomini. Dall'altra parte, però, l'uomo, in quanto dotato anche di animo, di mente, di cuore, di sentimento, è pure un essere che vive – anche se in un mondo fatto di tempo e di spazio - un'esistenza “senza tempo e senza spazio”, un essere incondizionato, “libero”, tendente all'infinito. Come tale, l'uomo è ”cittadino” del mondo “ideale” (non meno reale del primo): quel mondo che vogliamo indicare come il “mondo ideale dei sogni”, che, sgorgando e sviluppandosi nella profonda intimità dell'animo umano, abita totalmente nel pensiero e vive pienamente nei cuori degli uomini.
I due mondi, quello delle idealità e quello delle realtà storiche, si trovano spesso in disaccordo e in contrasto tra di loro e generano, perciò, dissidi interiori e tormenti esistenziali. Molti pensatori hanno rappresentato esemplarmente questo stato umano: poeti, artisti, filosofi. La sofferenza maggiore deriva dall'impotenza umana di dare pieno sviluppo a tutti gli aneliti dell'animo, mortificati dalla necessità che domina la contingenza dei fatti umani. Il divario tra realtà e idealità è troppo grande e, storicamente durante questa vita, a dominare è la tirannia della realtà. Però, quanto maggiore è il dominio del mondo reale tanto più si rinforza la “fede razionale” nelle idealità, che accrescono sempre di più la loro consistenza e la la loro urgenza. Addirittura, si assiste al paradosso per cui quanto più vuole prevalere la realtà, tanto maggiore diventa la forza dell'ideale, vincendo ogni ostacolo e superando ogni difficoltà. L'animo umano, allora, si slarga gradualmente e incessantemente, sentendo sempre più urgente il bisogno dell'infinitudine, tanto da desiderare sempre di più di liberarsi dai suoi limiti esistenziali e sciogliersi nella Totalità dell'Essere, dove albergano solo certezze e regnano solo scelte estreme, definitive ed eterne.
Questo mondo ideale – si chiedeva, tra gli altri, Kant - raggiungerà mai la sua piena realizzazione, o è condannato a rimanere un'aspirazione dell'animo e un anelito dello spirito umano? Mondo ideale e mondo reale, pur essendo in dissonanza e talora anche in contrasto, tuttavia interagiscono; anzi, è proprio la loro interazione che tesse la trama concreta dello svolgersi dell'esistenza umana. E, mentre il mondo della storia à destinato a passare, il mondo delle idealità è destinato all'eternità, dove c'è solo vita perenne e indistruttibile. Per cui la realtà più solida è quella delle idealità, che costituiscono la vera forza motrice dell'esistenza umana: sono le idealità che dànno impulso al vivere umano. L'uomo vive in questo mondo, ma non è di questo mondo: la sua avventura esistenziale è un perenne tendere e un progressivo avanzare verso i cieli dell'immortalità e dell'eternità. Vive incatenato ai ceppi della contingenza e del transeunte, ma “sogna” e tende all'assoluto, per il quale è fatto, per il quale vive e a cui aspira. Tutto ciò può sembrare piuttosto astratto, se non poco sensato; e non a caso è lo stesso Kant che, prevenendo tale osservazione, ammonisce gli uomini: se, anziché deridere le “idee” platoniche, essi si impegnassero e si dedicassero a realizzarle nella storia del mondo, il mondo sarebbe certamante meno ingiusto e più a dimensione d'uomo.
Felice, allora, chi può pregustare, già durante la sua esistenza storica, le gioie del mondo “ideale”. Egli vivrà sicuramente momenti anche di strazio e di sofferenza, ma si sentirà sempre più puro e sempre più vicino all'Assoluto: si vivrà sempre più estraneo al mondo reale e sempre più partecipe del mondo ideale, dove sa che diverrà Unità indissolubile. L'animo umano, allora, s'espande fino a bramare di contenere in sé l'Universale e l'Infinito, anche se nelle sole dimensioni della speranza e dell'attesa. Paradosso: solo così l'animo umano “finito” supera le limitazioni e le angustie della realtà storica e si slarga sempre più fino a contenere in sé lo stesso “infinito” perennemente bramato e sempre più intensamente agognato. Nello stesso tempo l'Infinito accoglie e scioglie in sé l'animo dell'uomo, che ha coltivato idee rette e sublimi.Tutto ciò, mentre scorre il tempo, fatto di frammenti che svaniscono, perdendosi nel nulla del passato; mentre il dominio dell'Eterno Infinito s'accresce.
Questo percorso conduce all'isolamento dell'individuo, sfocia nel solipsismo, condanna al nichilismo? No, si risponde con l'autorevolezza dello stesso Platone, prima che lo facesse Kant. In questa avventura esistenziale si autocondanna all'isolamento e al nichilismo solo chi si pasce del suo miope egoismo e si chiude grettamente a ogni forma di gratuita generosità. Ma chi ama l'Umanità e la Realtà, chi ricerca l'Infinito e la Totalità, chi si vota sinceramente al culto della Verità non sarà mai solo, ma possederà una vita colma di senso, a patto però che nutra il bisogno sincero di ricercare l'afflato dell'Amore Totale e senza riserve, che coltivi il coraggio d'intuirne la presenza viva, d'ascoltarne con disponibilità tutte le richieste, d'accoglierne tutte le esigenze con audacia e fino all'estremo, rimanendovi fedele, sempre e comunque, fino a essere pronto al supremo sacrificio del proprio io, se sarà necessario, perchè vi rimanga fedele per l'eternità. Quest'afflato universale, che unisce e sublima, storicamente non è un'astratta aspirazione, né si concretizza solo nel solitario quotidiano operare dell'individuo; ma, perchè sia autentico e vivificante, ha bisogno - come direbbe Jonas - d'incontrarsi con qualche “Altro” dotato di uguale sensibilità e capace di simili eroiche scelte. Solo chi ha la bella ventura d'incontrare sulla sua strada, nel corso della vita, altra anima assetata d'Amore Universale e di senso della Totalità dell'Infinito, vive veramente la pienezza dell'esistenza e realizza tutto il senso della vita umana. Nell'incontro di queste due esistenze s'incarnerà e durerà imperituro l'Amore Universale: quell'Amore che rimarrà l'unico vero Angelo che annuncia l'Aurora di giornate sempre radiose, anche quando saranno momentaneamente turbate dal rumore di qualche tuono, brutto nunzio d'ingiustizia e d'assurdità: ma niente scuoterà l'unità ormai indissolubile dei due esseri, i quali, votatisi insieme alla sublime purezza della generosa gratuità e della fiduciosa libertà, vinceranno tutto il mondo storico, rimarranno in mirabile intima fusione e attenderanno, con fiducia ed entusiasmo, di realizzare le idealità, per le quali sono vissuti, nella loro pienezza totale. Felice chi già in questo mondo incontra, conosce, sceglie, accoglie l'altro, donandosi, a sua volta, senza alcuna riserva e preoccupandosi solo di non venir mai meno alle promesse giurate. Vivrà non nell'isolamento, ma nella “suprema solitudine” piena d'ogni scelta imperitura che condurrà all'assoluta Totalità: eterno evento cosmico retto da arcane ragioni, ignote a noi, che forse conosceremo, quando esse vorranno svelarsi. Mistero di oggi, che sarà verità chiara di domani: così sente l'animo umano, che crede e vive il mondo delle idealità.
Solo nell'intimità dell'animo umano, cioè nel segreto dello “scrigno più prezioso, più sicuro, più impenetrabile, più sacro che è dato in dote a ciascun uomo”, si intuisce il senso dell'avventura esistenziale dell'uomo. Sarebbe molto facile scegliere di riconoscere solo uno dei due mondi (il mondo delle idealità o il mondo delle realtà), sarebbe comodo decidere di rimanere entro i confini o della sola spiritualità o della sola concretezza, sarebbe agevole accogliere la sfera o della sola progettualità o della sola realizzabilità: ma sarebbe solo debolezza e ipocrisia. L'uomo integrale è fatto di molte dimensioni; e, se vuole portare a termine tutto il suo compito e realizzare l'intero senso del suo esistere, deve avere la forza di realizzare l'intera armonia del suo essere e la totalità della sua natura. Negare una qualunque dimensione della natura umana significa rinnegare il proprio ruolo nella sorte dell'intera Umanità, lasciandola carente e imperfetta; intuire e rispettare, invece, la complessa e sublime Armonia della Totalità significa essere consapevoli del proprio ruolo e realizzare il senso del proprio esistere. E non è impresa facile capire sempre il giusto posto da assegnare a ogni elemento che costituisce l'Armonia Universale, la quale talora richiede estremi sacrifici, talora veramente duri ad accettare e a portare fino in fondo: ma l'Amore vince tutto! Felice chi saprà affrontare e superare ogni prova fino in fondo, rimanendo sempre affascinato dal mondo delle idealità, dove tutto è trasparenza e certezza definitive.

mercoledì 15 aprile 2009

QUANDO NULLA E’ VERO …

Una riflessione sulla sensibilità del paradosso di Nietzsche

Nella storia dell’umanità restano confermati tutti gli sforzi compiuti dall’uomo, per tentare di trovare una risposta convincente e condivisibile all’inesplicabile, perenne, misteriosa domanda: cos’è vero?
C’imbattiamo in immensi sforzi veramente encomiabili, che sono rimasti, però, sempre e inesorabilmente senza alcun concreto risultato positivo. Le stesse vicende storiche delle numerose chiese e le traversie delle innumerevoli dottrine religiose testimoniano il fallimento d’ogni speranza da parte dell’uomo di conquistare qualche scaturigine feconda di certezze umane attendibili; e la delusione si acuisce, quando a naufragare sono dottrine, che si propongono nelle vesti di depositarie uniche e autentiche di messaggi trascendenti ogni umana capacità. Da parte loro, nemmeno le vicende della ricerca scientifica hanno prodotto migliori punti d'arrivo.
Dove cercare, allora, una qualche garanzia di una verità che possa, se non appagare, almeno sorreggere lo spirito dell’uomo, che aspiri a incamminarsi verso mete suggerite da motivazioni ragionevoli? Tendere alla conoscenza della verità è un’eccelsa connaturata aspirazione umana, che però viene puntualmente delusa nella realtà: ecco il conflitto esistenziale tra ideale e reale, tra aspirazione e realtà, tra essere e dover essere, di cui già Kant aveva sottolineato la drammaticità e nello stesso tempo l’elevatezza. In ogni uomo, che viva in totale pienezza il senso della propria vita, convivono l’insopprimibile aspirazione a mete impossibili e la realtà che inesorabilmente la nega. Gli esiti di questo contrasto possono essere diversi: o di avvilente depressione rinunciataria o di straordinaria vivacità creativa.
E questo è il risultato del pensiero e della vita di Nietzsche. Sembra, infatti, che, per approdare a una qualche certezza solida, sia necessario armarsi dell’audacia di macerarsi eroicamente negli intrichi d’un intimo radicale scetticismo: sembra, cioè, che, per conquistare qualche punto fermo non resti altro che la riflessione filosofica, da perseguire con perseveranza e con l’unico strumento di cui dispone realmente l’essere umano, ossia la propria ragione. E l’umana ragione è ben consapevole di poter contare solo su stessa e sulle qualità che la costituiscono: cioè, il suo limite, che la esorta a non cedere a false smanie; la sua fallibilità, che le rammenta di non congetturare mai l’indiscusso; la sua provvisorietà, che le suggerisce di non contare mai d’aver toccato il definitivo, ma solo qualche breve momento, che presto sarà oltrepassato. La filosofia, quindi, resta l’unica fonte, dalla quale gli esseri razionali possono attingere ciò che dà lucida stabilità all’uomo che vuole decidere liberamente del proprio destino, soprattutto quando gli vengono meno le certezze delle religioni e delle scienze. E la filosofia assolve a questo compito proprio perché è la sentinella della razionalità e della libertà, grazie alla quale si può coltivare la speranza del ritrovamento di verità. E’ la filosofia, infatti, che affissa lo sguardo anche sull’irrazionalità di molti aspetti della vita individuale e collettiva anche dei nostri tempi: e ne scruta argutamente la frammentazione e il paradosso, ne comprende amorevolmente le contraddizioni, ne esamina impietosamente persino le assurdità.
La ragione filosofica, però, vive già con se stessa un rapporto di paradosso e di contraddizione: è, infatti, un rapporto di fiducia in se stessa e nell’altro, e conseguentemente anche di libertà dall’altro e persino da se stessa. Un rapporto, quindi, d’intimo contrasto doloroso, ma costitutivo della totalità concreta dell’essere umano. Infatti, i sentimenti di fiducia e di libertà (certamente autentici, sinceri, validi, provati e reali) s’accompagnano a stati d’animo spontanei (ugualmente autentici, sinceri e reali) di cupo turbamento: turbamento talora pungente e momentaneo, talora profondo e duraturo, talora diffuso e insopprimibile; turbamento che diviene in alcuni momenti straziante spasimo, che straccia l’anima e sfibra lo spirito. Difficile distinguere, allora, i confini di fiducia e di diffidenza, di libertà e di zelo, di amore e di egoismo. Ma è un turbamento, comunque, che domina tutto l’essere umano e che, mettendo sottosopra tutta l’anima confusa, si ostina fino a togliere ogni forza fisica e morale, facendo precipitare l’animo in profondi abissi di buio e di disordine.
Abissi profondi ed estremi, che conducono la ragione dell’uomo quasi a uno sfinimento totale, che sembra annunciare la rassegnazione definitiva e la rinuncia assoluta. Ma ecco il disvelarsi della straordinaria grandezza della ragione umana: proprio in virtù dell’immenso carico dei suoi patimenti subìti, essa supera i successivi tormenti esistenziali, risvegliando nuova vitalità e nuova speranza: non rinuncia, infatti, pavidamente agli ulteriori sforzi che l’attendono, né si rassegna alla presunta ineluttabilità del destino; ma, arricchitasi di nuove rare sensibilità, si apre più largamente al dialogo con la vita, con l’umanità e con il mondo, fecondando nuove verità, mentre continua a rispettare verità vecchie.
Nonostante, anzi proprio grazie a questo connaturato paradosso, la filosofia ha il compito di studiare l’uomo: l’uomo in generale quale partecipe dei destini del genere che lo comprende, e l’uomo singolo quale unico responsabile d’una propria irripetibile storia. In questa prospettiva la ricerca filosofica apre una preziosa finestra, ricca d’intuizioni e di rivelazioni, sull’orizzonte dell’esistenza, la quale non si fa possedere mai sino in fondo, in quanto resta irriducibile a una parola esauriente. L’esistenza umana, infatti, è terreno della libertà; e, come tale, non si fa comprimere; soprattutto quando si tratta della “mia esistenza”, storicamente identificata, inconfondibile e singolare. Nessuno, infatti, è copia di un altro; per cui scoprirsi è la più grande conquista personale, che ci permette sia d’entrare nel territorio del significato e del senso, e sia di comunicare i nostri valori agli altri. L’uomo che si conosce consegna un sapere prezioso, che arricchisce ciascuno e collabora alla trama della storia; anche se bisogna guardarsi da eventuali distorsioni o travisamenti del pensiero, che alterano gli sviluppi, producono malintesi e inquinano i rapporti con la realtà e con la sua interpretazione.

martedì 22 gennaio 2008

Grandezza dell'umana fragilità

Insicurezza, incertezza, dubbio; inquietudine, ansia, sofferenza: realtà non tanto da comprendere quanto da accogliere nel quotidiano scorrere del proprio vivere; inesorabile avvicendarsi di modi dell’esistenza. All’inquietudine subentra spesso un’irragionevole tranquillità, all’ansia segue una spavalda tranquillità, tra le sofferenze s’insinua stranamente un’improvvisa sicurezza, che rasenta un’incosciente apatia.

Diversità e contraddizioni che non si fanno spiegare facilmente, ma che inesorabilmente scandiscono gli attimi della via dell’uomo. L’uomo che si crogiola interiormente, ma vuole (e talora deve) apparire agli altri privo d’ogni problema; che soffre, ma si mostra pieno di esaltante felicità; che barcolla miseramente, ma che ostenta saldezza d’idee e tenacia di animo.

Sentimenti di simpatia cordiale e di antipatia totale; di amore profondo e di odio rancoroso; di generosità coraggiosa e di invidia incomprensibile; di solidarietà testimoniata e di egoismo meschino. Passioni di umiltà sorprendente e di superbia delirante; di lussuria estrema e di purezza angelica; di donazione ineffabile e di individualismo impressionante.

Ecco l’uomo: così semplice e così complesso, così chiaro e così misterioso, così ricco e così miserabile, così grande e così meschino.

Anziché accogliersi e accettarsi, preferisce sentirsi problema e spiegarsi. Sciupando l’intenso sapore della realtà umana, che è l’insieme meraviglioso di tante diversità, talora anche contraddittorie, ma sempre ugualmente esaltanti.

lunedì 21 gennaio 2008

Inquietudine

Insicurezza o, in verità, “male metafisico” (usando i termini agostiniani, cioè dolorosa esperienza dei suoi limiti, strazio spasimante per l’impotenza propria della natura umana)? Oppure, piuttosto, rifiuto profondo, se non addirittura rigetto inconsapevole, della natura umana nel suo imporsi realistico durante l’intero corso dell’esistenza individuale? E, quindi, l’inquietudine: lo stato d’animo generato dalla necessità ineludibile d’accettare il tormentoso “male metafisico”.

Orrore del proprio limite; angoscia di dover convivere sempre con il non-concluso, con il contingente, con il non-previsto. Incapacità di non gestire le proprie scelte, anzi di non poter mai essere certi della direzione della vita e della storia. Necessità di soccombere alla concatenazione dei fatti, che sfuggono, così, al nostro controllo, e talora non prefigurano alcun esito o alcuna finalità.

Facile etichettare questo stato d’animo in termini “psicanalitici”; difficile, invece, confessare che si tratta di un vero tremore metafisico, il quale, facendo prevalere i nostri sentimenti di fragilità, scatena quasi un orrore per il limite naturale dell’uomo e ci fa fuggire lontano da noi stessi, cercando altri “spazi reali” creati dalla ragione e dalle sue capacità dimostrative.

La conclusione agostiniana, però, non è una costruzione della ragione umana: l’essere umano, finito e contingente, troverà l’appagamento del suo bisogno di infinitudine e d’assolutezza, nell’Essere infinito e assoluto. Questo, però, conclude un itinerario, non spiega nè dà ragione al tormentoso suo realizzarsi: l’attesa dell’Assoluto può, veramente, generare tormenti di insicurezza di tremore esistenziale?

domenica 20 gennaio 2008

L'insicurezza

L’insicurezza è uno dei compagni inseparabili dell’essere umano: essere razionale e mortale. Nasce insieme a lui; e insieme a lui vive sino all’ultimo istante di vita.

Essa può essere la nemica dell’entusiasmo nel pensiero e nell’azione dell’uomo; ma può essere anche uno dei migliori suoi consiglieri, che lo guidano per la via della prudenza e della saggezza. In ogni caso è, comunque, causa di disagio diffuso e fonte di sofferenza continua e profonda.

Lo stato esistenziale della vita umana è “contingenza”: contingenza, però, che in sé non è né incertezza né dubbio. Dal momento della sua nascita, l’uomo esiste e vive: catapultato in una realtà a lui ignota e, quindi, contingente, egli deve affrontare un viaggio attraverso vicende che lo “sommergono” in una fittissima rete di rapporti e relazioni necessariamente contingenti, siano essi particolari che universali. Ogni uomo deve dire a se stesso: “Mi scopro esistente, ma intuisco benissimo che avrei potuto non esistere; e così, non so se, d’ora in poi, potrò decidere di continuare a esistere oppure di cessare d’esistere”.

L’insicurezza s’insinua in ogni angolo dell’animo umano; e s’insinua sempre, senza alcuna interruzione. L’uomo, evocato dal suo “nulla” con un atto cui lui non ha minimamente partecipato, si ritrova in situazioni assolutamente imperscrutabili: non gl’importa se sia stato un momento d’evoluzione o di creazione; egli non si rassegna a rimanere mistero a se stesso. Messe da parte le risposte, che gli hanno suggerito tante volte e spesso anche autorevolmente, in conformità alle profonde esigenze del suo spirito razionale e libero, sfidata e vinta ogni tentazione di paura o d’angoscia, dominato ogni senso di panico, dà l’avvio a un duro e delicato cammino di ricerca, durante il quale spera possa approdare a qualche conclusione “umana”.

Emerso dal suo nulla, s’intuisce tuttavia connotato da alcuni caratteri, che lo individuano e lo identificano: si sente uguale solo a se stesso; diverso da tutto e da tutti; solo, con un suo compito esclusivo, che solo lui può realizzare. Unico; ma non isolato; con una missione esclusiva che solo lui deve e può attuare, ma immerso in un ordine cosmico, di cui si sente parte e, quindi, necessitato a unirsi in una totalità, che tutto attua, proprio mentre conserva l’irripetibile individualità delle singole parti. Un’unità totale che non nega, anzi, richiede le unità particolari: non in nessi dialettici, ma in relazioni di storico realismo e di esistenziale operosità.

Ecco l’intimo “dramma” dell’uomo. Nelle vicende della sua vita non può e non deve avere sostegni necessari, ma ne sente il bisogno; né saprebbe chi e che cosa potrebbe essere un “sostegno” vero e costruttivo. Ragiona e parla; razionalizza e urla; si chiude e precipita nel dubbio; si arrende e lo assale una tragica malinconia, che distrugge le radici del suo vivere; si stanca e dispera; piange e riprende a pensare.

Evita, però, sempre e comunque, di ridursi alla banalità, perché la vita (cioè il tempo) passa, ma lui non vuole “passare”. Non perché ha paura di ritornare nel suo “nulla”, ma perché si sente fatto per la vita che dura e non finisce mai, che non finirà mai. Ecco perché vuole vivere il Tutto: per rimanere con e nel Tutto.

Rimane sempre presente, però, l’insicurezza: compagno inseparabile dell’uomo. Compagno bello, proprio perché costitutivo della natura dell’uomo.