Pubblicato su Affaritaliani
il 16 giugno 2015
Non è difficile immaginare lo stupore che susciterebbe una
situazione di questo genere: il malato ferito mortalmente disteso sul tavolo
operatorio e l’équipe di esperti medici che, anziché intervenire con tutti i
mezzi a loro disposizione, dissertano dottamente sulle varie metodologie
possibili e discutono animatamente per stabilire il ruolo di ciascuno. Con
ragionevole certezza il malato nel frattempo morirà, ed essi potranno continuare
a scontrarsi e scaricarsi reciprocamente la colpa. A questa scena fanno pensare
i fatti attuali dei migranti: da una parte, esseri umani d’ogni età e
condizione in cerca di salvezza o di libertà o di benessere sbarcano sempre più
numerosi sulle coste italiane e, dall’altra parte, i potenti che governano
nazioni piuttosto ricche e guidano popoli liberi e alquanto prosperi si
battibeccano sul chi e sul come dare qualche aiuto.
In questi sentimenti d’incredulità ci conferma la dichiarazione
resa in queste ore dal Segretario Generale di
Amnesty International: “Stiamo assistendo - ha detto - alla peggiore
crisi di rifugiati del nostro tempo, con milioni di donne, uomini e bambini che
lottano per la sopravvivenza, coinvolti in guerre brutali, o schiavi delle reti
di trafficanti di esseri umani”. Sono conflitti civili, lotte brutali e
situazioni di disumana schiavitù causati non raramente dalle politiche
spartitorie d’espansione territoriale, di dominio politico e di potere militare
proprio di molti dei Paesi, che ora o fanno finta di non sapere, o ne
sminuiscono la dimensione e l’urgenza o addirittura si rifugiano in
bizantinismi giuridici o in cavilli interpretativi di accordi firmati, con il
solo risultato di non dare una pur minima risposta a catastrofi spesso da loro
stessi causate. Ecco allora spiegabile la triste considerazione del
responsabile di Amnesty International, secondo il quale questi esseri umani
(qualunque sia il caso del singolo certamente da non sottovalutare, ma da
verificare e gestire accuratamente) vengono “anche abbandonati dai governi, che
perseguono interessi politici egoistici, miopi, invece di mostrare compassione
e compiere scelte umanitarie”.
Stando ai dati di Amnesty International gli sfollati in
tempi brevi supereranno a livello globale i 50 milioni; un fenomeno, quindi,
più grave e allarmante di quello avvenuto dopo la seconda guerra mondiale. Tutti
i governi, pertanto, debbono aprire gli occhi e prendere atto del fenomeno della
migrazione di masse di esseri umani. Non si tratta di una emergenza del
Mediterraneo, ma di una realtà mondiale, che essi dovranno comprendere
adeguatamente, per gestirla con competenza economica, responsabilità giuridica
e solidarietà umana. E l’Europa. che è stata avviata come comunità economica, è
stata ideata, creduta e difesa da tutti i “popoli” membri col sommo obiettivo
di un insieme di “concittadini” tutti con gli stessi doveri e diritti, nella
prospettiva, cioè, di divenire col tempo comunità di esseri umani accomunati innanzitutto
e soprattutto da valori integralmente umani, morali ed etici. Tradire questi
ideali significa rinnegare chi l’ha costruita e affidata.
In tempi dominati dal pragmatismo e dall’efficientismo non
è certo semplice rivendicare l’importanza dei “valori morali” e il ruolo della
“solidarietà umana”; anzi sono suggerimenti che potrebbero suscitare persino il
sorriso dell’uomo concreto che pensa ai fatti dell’immediato: le priorità da
rivendicare e perseguire sono ben altre: l’accrescimento del potere politico,
la crescita economica, il profitto dei capitali, i pareggi dei bilanci
stabiliti. Quelli sì sono da osservare a ogni costo e con ogni sacrificio! Il
resto è astrattezza e poesia, inutili per il singolo e addirittura pericolose
le comunità degli uomini, condannate alla sopportazione e alla rassegnazione.
E’ stato smarrito, infatti, il valore del rispetto dell’ordine giuridico:
infatti, ormai le leggi non sono da rispettarsi, ma da interpretare e modificare
caso per caso; i bisogni degli altri non sono più da comprendersi e risolvere,
ma da orientare secondo direttrici di mercato; la dignità dell’uomo non è da
rispettarsi in ogni essere umano, ma solo in quelli che corrispondono ai propri
modi di vedere. Bisogna essere concreti.
Pensare e difendere altri indirizzi è inseguire ideali
chimerici e sogni fuorvianti. E invece la storia insegna che proprio gli “ideali”
sono la molla della vita dei singoli, dei popoli e delle nazioni. Le grandi rivoluzioni davvero radicali,
che hanno segnato svolte storiche, sono sempre germinate dai grandi ideali e
dai sogni audaci. Senza grandi ideali non c’è avanzamento umano, civile e
politico: cioè autentica crescita culturale. Chi resta irretito dall’immediato
non respira aria che possa dirsi umana e sarà incapace di operare davvero in
concreto. Ogni sano realismo si fonda sempre sul ragionevole ottimismo: quello
che solo gli ideali prudentemente progettati e fortemente perseguiti possono generare.
E’ l’insegnamento platonico sopravvissuto e praticato già da 2.500 anni e non
da ultimo rinverdito dal tedesco Kant, non certo incline alla fantasia e al
sentimentalismo: s’è liberi, quando s’ascolta il dettato della propria ragione,
che è capace di sollevarsi fino al cielo stellato. Solo allora gli uomini guarderanno i problemi
umani sotto prospettive diverse e più veritiere, e ne sorgeranno soluzioni più
alte; gli occhi rivolti verso il suolo, non potranno che guardare il suolo e
ciò su di esso si posa. L’umanità, invece, ha bisogno di crearsi mondi più
vivibili. Ideali, certo, ma verso i quali camminare con audacia e costanza,
nella consapevolezza che essi non saranno mai realizzati totalmente, ma nella
certezza che si sarà sempre meno lontani dalla loro altezza.
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