Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.
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martedì 14 aprile 2020

LA PANDEMIA DI COVID-19 Aggressione della Natura e rinascita del senso dell’Umanità

L’umanità all’improvviso è stata risvegliata da un sonno profondo, che le conquiste della scienza moderna, i progressi della tecnologia e la floridezza dei mercati economico-finanziari  le avevano promesso lungo e tranquillo. A riportarla coi piedi per terra nel mondo concreto della realtà, sono stati l’insorgere repentino e il rapido diffondersi d’una pandemia imprevista, causata dalla diffusione d’un virus finora sconosciuto, che ha già mietuto un sorprendente numero di vite. Gli uomini, che si credevano possessori e dominatori invincibili della terra, improvvisamente hanno visto la terra rivoltarsi tacitamente e costringerli a prendere coscienza della loro fragile piccolezza e soprattutto della loro mortalità naturale, che li rende solo abitanti pellegrini sul pianeta Terra e di cui di cui non dovrebbero mai dimenticarsi.

L’ottimistica serenità d’animo degli uomini non è, tuttavia, da attribuire totalmente a una loro maldestra superficialità o a una loro colpevole ignoranza, ma anche e soprattutto all’influsso del periodo storico e culturale, in cui hanno vissuto nei decenni del secondo dopoguerra. Lo sfruttamento senza scrupoli delle risorse naturali, l’inquinamento crescente d’ogni ambiente, la corsa all’arricchimento scandaloso di alcuni e l’indifferenza per la povertà di molti, la supremazia dell’economia e della finanza costituivano una pericolosa minaccia e creavano sempre più problemi enormi e visibili, ma che le nazioni e i popoli non coglievano a tempo debito né risolvevano adeguatamente, perché costantemente sovrastati dal pericolo della guerra fredda (1947-1991), che con la sua minaccia sempre incombente “alienava” le menti e gli animi degli uomini, riducendoli a ingranaggi di Stati ideologizzati. Il mondo era diviso – e di fatto anche dominato - sostanzialmente dagli interessi di due “imperialismi”: quello economico dell’Occidente e quello ideologico dell’Oriente, che si fondavano (e continuano a fondarsi) su due concezioni dell’uomo e del mondo, opposte, ma paradossalmente convergenti nella corsa verso il progressivo stravolgimento della Natura e l’inesorabile sbriciolamento dell’inviolabile dignità della Persona umana, fino alla loro completa distruzione. In entrambe queste forme d’imperialismo, infatti, la Natura è qualcosa solo da sfruttare e l’uomo non è soggetto titolare di propri diritti inalienabili, e soprattutto non è dotato d’una propria finalità esistenziale, ma vale solo come mezzo per il raggiungimento di scopi a lui estranei e imposti arbitrariamente dal altri. E’ l’uomo unidimensionale, come aveva consapevolmente accusato Herbert Marcuse già nel 1964,

In quest’ultimo trentennio, poi, l’intenso dinamismo  della vita individuale e collettiva ha consolidato a poco a poco lo stato di fiducia illimitata e di sicuro benessere economico, per cui - ingannando la ragione e seducendo le speranze soprattutto dei ceti agiati e dei responsabili della cosa pubblica – l’evolvere del tempo, grazie all’intervento della “mano invisibile” già preconizzata da Adam Smith, avrebbe sistemato qualche eventuale carattere sfavorevole e tutto sarebbe proceduto verso il meglio: gli uomini potevano disporre a loro piacimento di tutto ciò che offriva la natura con le sue risorse minerarie e con tutte le sue dotazioni di flora e di fauna. A confermarli in questo convincimento hanno contribuito decisamente, tra l’altro, il diffondersi e il consolidarsi della democrazia contemporanea come forma si Stato  e di Governo. Agli inizi, in verità, a reggere i governi - a ogni livello e d’ogni dimensione - venivano chiamate  personalità di sicura competenza, di profondo senso dello Stato e di radicata coscienza civica. Accanto a loro, però,  spuntavano e mettevano sempre più piede, alcuni che faticavano a comprendere e ad accettare il ruolo, che compete a un governante “democratico”, cioè di “servitore dello Stato” al servizio del bene comune. Questa distorsione concettuale gradualmente ha deformato e cancellato quasi del tutto l’anima stessa della democrazia, in cui è nato l’odierno “uomo democratico”, che perlopiù coltiva e persegue, quale ultima finalità del vivere e dell’agire umano il profitto individuale e di parte, da ottenere a qualunque costo e con qualunque patto, perché si sente libero da pastoie giuridiche, morali ed etiche. Non solo nei rapporti con gli esseri umani a lui simili e uguali, ma anche nei riguardi della Natura. Ha dimenticato, però, l’accorto ammonimento dello scienziato-filosofo Francesco Bacone: “La natura non la si vince, se non ubbidendole”.

La pandemia in atto porge all’uomo – quale quadro complessivo delle conseguenze documentarie del suo comportamento disinvolto nei riguardi della Terra e dell’Umanità -  la rappresentazione d’una la realtà planetaria drammatica e dolorosa, ch’egli mai avrebbe potuto immaginare. In quale stato di decadimento s’andava riducendo il pianeta Terra, stava e sta davanti agli occhi di tutti, ma nessuno ne intuiva tutta la gravità e ne prevedeva gli esiti funesti e orribili. Quando, però, gli uomini, ammutoliti, hanno dovuto assistere alla lunga e triste teoria di camion militari col carico di salme destinate alla cremazione; quando, increduli, hanno visto dormire stese sull’asfalto d’un ampio parcheggio, antistante ad alberghi di lusso vuoti nell’opulenta città d’un grande Stato, decine di senzatetto; quando, attoniti, hanno assistito al seppellimento in fosse comuni di cadaveri di persone umane, allora i loro occhi si sono aperti e, ascoltando gl’impressionanti “numeri” quotidiani delle vittime e dei contagiati in Europa e nel mondo, hanno riflettuto: dietro ognuno di quei numeri c’erano una vita umana spenta, una famiglia smembrata e depauperate di affetti per lei vitali, energie fisiche, doti intellettive e morali sottratte prematuramente a tutto il genere umano. Allora hanno cominciato a chiedersi cosa stesse succedendo e perché; e soprattutto hanno cercato di capire cosa si potesse fare, anzi cosa si dovesse fare.

Il mondo degli scienziati, del governanti e della politica ha messo subito in moto tutte le conoscenze di cui disponeva; essendo, per, un’epidemia del tutto sconosciuta, sta andando alla ricerca, per scoprire terapie, che possano debellare il contagio. E pare che c’è qualche indizio che induce a ben sperare. E, quindi, soprattutto governanti e politici e forze sociali hanno cominciato a prefigurare e programmare un futuro possibile e sicuro per l’avvenire dei singoli popoli e dell’umanità intera. A ragione e doverosamente si occupano concretamente di ripresa del lavoro, di blocco della occupazione, di garanzie per la salute, di sviluppo dell’economia, di tutela della finanza: insomma di tutto ciò che occorre perché la vita degli uomini possa “ripartire”. Ed è a questo punto che nascono non poche perplessità e riserve. Si tratta, infatti, d’interventi necessari e urgenti, ma insufficienti e destinati al fallimento, se privi della condizione sostanziale e indispensabile. Infatti, interpretando rigorosamente il significato dell’evento che sta stravolgendo la vita umana, è richiesta la rinascita della coscienza morale degli uomini, che debbono essere chiamati non a “ripartire”, per proseguire, come se nulla fosse successo, per le vecchie strade, ma debbono spronati e convinti a “svoltare”, cambiando totalmente e decisamente la loro ragione e i loro sentimenti. 

Michail Gorbaciov. in un congresso tenuto a Milano nel 1995, volle svelare il suo stato d’animo nell’intraprendere nel 1985 da neo segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, il difficile e insidioso cammino della sua Perestroika: convinto, infatti della necessità di curare prima le anime e poi i corpi per “svolte” imposte dalla storia, “In fin dei conti – disse - la fonte dei problemi contemporanei non è all’esterno, ma dentro di noi, nel nostro rapporto reciproco, nel rapporto verso la società e verso la natura. Tutto il resto è un derivato. E dobbiamo innanzitutto cambiare noi stessi”(Costruire la pace, Comunità S. Egidio, Milano, 1996, p. 40).                  

martedì 7 giugno 2011

GIOVANI, MORALE E FELICITÀ

Il mondo dei giovani d’oggi è una realtà complessa e mutevole e, proprio per questo, non si presenta come un sistema immediatamente e chiaramente riconoscibile. Esso è, piuttosto, come un universo aperto, nel quale s’incontrano e si scontrano inclinazioni diverse, talora contraddittorie. Questo potrebbe far pensare che è problematico formulare e presentare una proposta morale fatta su misura delle necessità dei giovani. Infatti, da una parte, negli ultimi decenni sono intervenuti mutamenti così rapidi e profondi che è quasi impossibile fare un confronto con il passato anche recente; dall’altra parte, le diversità del presente sono così importanti che non consentono di fare riferimento a modelli culturali certi. Ciò non toglie, però, che nel comportamento dei giovani dei nostri giorni esistano e si possano rintracciare tratti caratteristici, ai quali riferirsi, per sviluppare una proposta di morale. Questa proposta, però, non dovrà solo puntare a prescrivere precetti dettagliati e precisi, ma dovrà anche (e soprattutto) mirare a illuminare il campo della libertà dei giovani, offrendo loro la possibilità d’autonomia di giudizio e di responsabile autodeterminazione.

Sotto quest’aspetto si rileva subito un elemento significativo e importante: cioè la forte aspirazione dei giovani a ricercare la felicità, a soddisfare i loro bisogni, a migliorare la qualità della loro vita. Allora, è quanto mai doveroso fare i conti con quest’aspirazione dei giovani, stando attenti, però, tanto a non cedere ad accondiscendenze frettolose e ingenue, quanto a non rimanere prigionieri di prevenzioni e di paure eccessive. Infatti, se è vero che il far prevalere nelle scelte la libera decisione dei singoli può condurre ai pericoli dell’indifferenza e del relativismo, è anche vero, tuttavia, che può costituire una preziosa occasione, perché il giovane conquisti una più alta forma di moralità, centrata sulla maturazione della sua coscienza e sull'assunzione concreta delle sue responsabilità.

Del resto, oggi i giovani rifiutano chiaramente e con fermezza le morali, che si fondano su leggi oppressive e su imposizioni esterne, e reclamano con decisione una morale fondata sulla coscienza personale formata ragionevolmente e sulle responsabilità assunte volontariamente. Naturalmente quest’atteggiamento può nascondere equivoci e ambiguità, in quanto talora vuol significare un volersi “liberare” da insegnamenti scomodi e da proposte impegnative, per aderire (o meglio, per “asservirsi”) a modi di pensare propri del consumismo e libertarismo. E questo è un atteggiamento molto pericoloso, perchè non permette di stabilire e rispettare una scala di valori credibili e condivisi, in quanto molti bisogni, che vengono sollecitati dalla società, hanno lo scopo di mantenere sistemi socio-economici, che coprono profonde ingiustizie e gravi sperequazioni tra gli uomini.

Questa situazione, però, ha i suoi aspetti costruttivi, che sono d’estrema importanza. Infatti, con questa loro rivendicazione i giovani (nella loro maggioranza) esprimono l’esigenza di liberarsi da divieti inutili e di sottrarsi a tradizioni ormai superate, ma imposte autoritariamente dall’esterno. Essi rivendicano il bisogno di vivere secondo una propria identità: e questo bisogno non dev’essere interpretato con superficialità come il tentativo di sfuggire ai propri doveri, ma va inteso come il segnale del loro legittimo e lodevole ricercare una morale, che sia espressione della propria coscienza, la quale, in verità, è la vera sede delle decisioni umane autentiche. E’ chiaro, comunque, che quest’esigenza dei giovani va gestita con estrema prudenza: ne va compresa e valorizzata la ricchezza dei contenuti, ma, nello stesso tempo, ne vanno previsti e neutralizzati i pericoli d’ogni eccesso.

Solo in questo contesto, però, si può collocare il problema delle regole morali per i giovani. Infatti, il pericolo del relativismo morale è generato dalla confusione tra “valori” e “norme” di comportamento, per cui è necessario intendersi sul loro significato. I “valori” sono fondati direttamente sui diritti fondamentali della persona, per cui costituiscono il punto di riferimento essenziale della condotta umana. Le “norme”, invece, hanno, per loro natura, il carattere di relatività, in quanto sono (e debbono) essere dettate dalle situazioni concrete e, come tali, sono destinate a mutare col mutare delle condizioni sociali e culturali. Pertanto, una morale della responsabilità, che faccia appello innanzi tutto alla coscienza del singolo, dev’essere per la maggior parte impostata come “morale dei valori”, senza preoccuparsi eccessivamente di somministrare “ricette” particolareggiate valide per tutte le situazioni. Sottolineare eccessivamente l’importanza delle norme dettagliate, non solo determina atteggiamenti di pura acquiescenza, ma finisce anche per rendere labile nelle coscienze il rapporto con i valori.

Di qui l'esigenza di assumere, nel campo dell'educazione morale, un atteggiamento propositivo, che punti a offrire uno stile di vita complessivo, in cui ognuno sia capace di articolare autonomamente la scala gerarchica dei valori, e tale che venga assimilato in profondità dalla coscienza dei singoli. La vita morale, cioè, non va presentata come un’astratta ipotesi di principi sganciati dall'esistenza, ma come un cammino di crescita verso una meta ideale, i cui lineamenti vanno, di volta in volta, identificati nella loro concreta possibilità di attuazione dentro la vita della quotidianità. Oggi i giovani colgono con maggiore realismo la compresenza del bene e del male nella realtà della loro vita quotidiana e vivono con sofferenza la crisi dei valori veri e la sfiducia nelle capacità umane. Possono uscire da questo stato di sofferenza, solo se ritroveranno la fiducia nella propria ragione, capace di discernere e di decidere. Il recupero del valore della coscienza individuale – se bene inteso e lealmente perseguito - può costituire un momento felice per il recupero d’una nuova morale umana.