“Questo è, dunque, il problema che vi
presentiamo - affermavano sessant’anni fa il filosofo Russel e lo scienziato
Einstein -, è problema orrendo e terribile, ma non eludibile: metteremo fine al
genere umano oppure l'umanità saprà rinunciare alla guerra? La gente non vuole affrontare questa
dicotomia, perchè abolire la guerra è difficile”. Anche oggi, purtroppo, nonostante siano trascorsi sessant’anni ricchi
di esperienze umane e di conquiste culturali, l’umanità si ritrova in
situazioni ugualmente “orrende e terribili”.
Alla metà del secolo scorso dominava paurosamente la
“guerra fredda” e incombeva pericolosamente il rischio d’una guerra nucleare,
che avrebbe devastato il pianeta terra e annichilito l’umanità intera. Nel marzo
1954, infatti, gli USA avevano sperimentato la potentissima bomba all’idrogeno,
provocando una pioggia radioattiva vasta e micidiale. La BBC inglese, allora,
invitò lo scienziato polacco Joseph Rotblat a evidenziare gli aspetti tecnici
della bomba H insieme all’arcivescovo di Canterbury e al filosofo Bertrand
Russell, che ne avrebbero discusso le implicazioni morali. Fu l’occasione
perché ci si rendesse concretamente conto dell’enorme pericolo che incombeva
sull’umanità intera. Russel partecipò le conclusioni del confronto ad altri intellettuali
e fisici, tra cui Einstein, col quale concordò sull’opportunità di estendere a
tutti la conoscenza del rischio, coinvolgendo soprattutto i maggiori
responsabili della vita dei popoli e della salvaguardia della terra: il mondo
dell’intellighenzia, i governanti, i pionieri dell’industria, i magnati
dell’economia e della finanza. Nacque il
documento noto come “Manifesto Russel-Einstein”, ma che fu subito condiviso e
sottoscritto anche da Max Born,
Percy W.Blidgeman, Leopold Infeld, Frederic Joliot-Curie, Herman J. Muller,
Linus Pauling, Cecil F. Powell, Joseph Rotblat e Hideki Yukawa. Il Manifesto fu pubblicato ufficialmente il
9 luglio 1955, proprio nel pieno della Guerra Fredda.
Sono trascorsi ormai 60
anni, ma ancor oggi l’umanità corre gravi rischi di catastrofe umanitaria e di
distruzione planetaria. Siamo nel pieno di quella che è stata definita a
ragione “guerra mondiale a pezzi”, combattuta con armi sempre più potenti e impensabili,
sino a trasformare esser umani in bombe vaganti. Una guerra “mondiale” perenne
e disumana, che quotidianamente divora vite umane anche innocenti, devasta
valori culturali faticosamente conquistati, schiaccia come un rullo compressore
ogni sentimento proprio del genere umano. I potenti del mondo, i possessori
delle ricchezze, i produttori e commercianti delle armi belliche, insieme ai
governanti dittatoriali e tirannici (in qualche luogo persino sanguinari) si
fanno trascinare dai loro propositi di forza e di prepotenza, divenendo sempre
più insensibili agli strazi di esseri simili a loro, ma che conducono nel
baratro della miseria e della morte, preludio di distruzione totale d’ogni civiltà.
Fanno sospettare il peggio le rivalità, spesso mascherate ma sempre ugualmente forti
e accese, tra Russia e Stati Unit d’America, tra Occidente e Medio Oriente, tra
Paesi ricchi e Paesi poveri, tra Potenze consolidate e Potenze emergenti. E non
meno pericolosi sono le rivendicazioni e le azioni dei fanatismi di matrice
religiosa.
Non è fuor di luogo, quindi, rileggere e
ripensare oggi quel “Manifesto Russel-Einstein”, meditandone responsabilmente
alcuni passaggi significativi per la loro attualità.
Il primo ammonimento lasciatoci in eredità è l’appello
indirizzato al mondo della cultura, della ricerca, della scienza e della tecnologia.
Gli intellettuali, sacerdoti di verità e di
progresso, debbono salvaguardare sempre e comunque la propria libertà di
pensiero, operando con assoluta autonomia di giudizio e ispirandosi a una
visione umana universalistica. “Non parliamo – avvertono gli
Autori del Manifesto - come membri di questa o quella nazione, continente o
fede, ma come esseri umani, membri della specie Uomo. II mondo è pieno di
conflitti; per questo, chiunque abbia un qualche interesse per la politica
nutre diverse opinioni su queste questioni; ma noi vorremo che ognuno metta da
parte questi sentimenti e si consideri solo come parte di una specie biologica
che ha avuto una evoluzione notevole, e la cui sparizione nessuno di noi può
desiderare”.
In secondo luogo rimarcano la necessità d’un modo
di pensare rinnovato e richiesto dalla giusta evoluzione e mirato a un proficuo
cammino di tutti i popoli, e non dettato dall’interesse economico, culturale,
religioso solo di alcuni a danno di altri. La gara da affrontare non è di
rendersi sempre più forti e più temibili, ma di “armarsi” di corresponsabilità
e onestà. Infatti, sostengono senza esitazione: “Dobbiamo imparare a pensare in
un nuovo modo. Dobbiamo imparare a chiederci, non già quali misure occorre
intraprendere per far vincere militarmente il gruppo che preferiamo. Quel che
ci dobbiamo chiedere è come impedire un conflitto armato, il cui esito sarebbe
catastrofico per tutti?”.
Ecco, quindi, il dilemma di allora, ma anche
del nostro tempo e che tutti siamo chiamati a risolvere: “Si apre di fronte a noi, se lo vogliamo un
continuo progresso in felicità, conoscenza e saggezza. Sceglieremo invece la
morte, perché non sappiamo dimenticare le nostre contese?”. Dalla risposta data
oggi dipende, di conseguenza, tutto il futuro nostro e e il destino delle
generazioni future. Solo lo sguardo lungimirante degli uomini e la cultura dell’accoglienza
delle diversità e delle minoranze salveranno l’umanità. Spinti e sostenuti da
questa consapevolezza, Einstein e Russel insistevano: “Ci appelliamo, come
esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate
il resto. Se vi riuscirete, si apre la via verso un nuovo paradiso; se no,
avete di fronte il rischio di morte universale”.
L’aver smarrito il senso di comune
appartenenza al genere umano è la causa prima della guerra; il riscoprirne la
realtà ne sarà il rimedio. Ma è necessario uscire dagli egoismi e pensare agli
altri e al futuro: “Forse – i due Autori annotavano con un velo di sfiducia - quel
che impedisce maggiormente la piena comprensione della situazione è il termine
‘umanità’, che suona vago e astratto. La gente fa fatica ad immaginare che il
pericolo riguarda le loro stesse persone, i loro figli e nipoti, e non solo un
vago concetto di umanità. Essi faticano a comprendere che davvero essi stessi,
ed i loro cari, corrono il rischio immediato di una mortale agonia”.
Anche
oggi dobbiamo meditare su questi appelli. Dobbiamo chiederci cosa è rimasto oggi
di quegli insegnamenti e di quegli ideali, come possiamo riconquistare quella
consapevolezza di umanità, per comprendere ciò in cui siamo immersi. Gli errori
possono essere ottima occasione per correggersi e migliorare; ma quelli della
storia passata e recente sembrano essere stati disastrosi allora e inutili oggi.
Forse l’uomo contemporaneo deve ricercare e riconquistare la lucidità razionale
necessaria per capire che non c’è più tempo; che è giunta l’ora di cambiare e di
impegnarsi in prima persona a “lottare” per la salvezza e la felicità propria e
dell’umanità.