Il matrimonio è un diritto universale, non più
legato al genere dei coniugi: è questo il significato ultimo della sentenza
emanata il 26 giugno scorso dalla Corte Suprema degli USA e valida per l’intero
territorio statunitense: “Non c’è unione più profonda del matrimonio – si dichiara
- perché esso incarna gli ideali più alti di amore, di fedeltà, di devozione,
di sacrificio e di famiglia (…). Significherebbe non comprendere questi uomini
e queste donne, sostenere che mancano di rispetto all’idea di matrimonio (…).
La loro speranza è non essere condannati a vivere in solitudine, esclusi dalla
più antica istituzione della civiltà. Chiedono un’uguale dignità di fronte alla
legge”. Il presidente Obama,
da parte sua, ha celebrato l’evento come una significativa conquista americana di
civiltà giuridica, in quanto “l’uguaglianza matrimoniale”, finalmente sancita
anche giuridicamente, considera di fatto tutte le persone esclusivamente nella
loro comune natura umana, senza che alcuni debbano sentirsi “diversi” e mal
sopportati. Di sicuro rimane certificato con assoluta chiarezza che nel donare
amore e nel desiderare famiglia tutti
gli esseri umani sono uguali.
A ottobre
prossimo la chiesa cattolica, dal canto suo, celebrerà il Sinodo ordinario
sulla famiglia, portando a conclusione il non facile percorso iniziato già lo
scorso anno e che ha messo in tutta evidenza quanto i problemi della famiglia
debbano costituire argomento di discussioni libere e franche anche nel terreno
religioso, per poterne dedurre conclusioni oneste e responsabili. Forse sarà
uno dei momenti più delicati dell’intero pontificato di papa Francesco, che ha
deciso con coraggio e risolutezza quale tema di discussione “La vocazione e la
missione della famiglia nella Chiesa nel mondo contemporaneo”, mostrandosi consapevole
che i problemi della famiglia dei nostri tempi hanno urgente bisogno di analisi
realistiche e di soluzioni concrete. E già nel documento-base, su cui l’intero
episcopato discuterà per tre settimane intere (4-25 ottobre), da una parte si
conferma che per la chiesa cattolica solo le unioni tra uomo e donna sono
destinate alla procreazione, dall’altra parte per le coppie omosessuali si
ribadisce che “ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale,
va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia
nella Chiesa che nella società”. Atteggiamento, quindi, di assoluta chiusura a
ogni tentativo di “scarto” di differenze e diversità, e di acclarata necessità
d’inclusione di ogni essere umano senza alcuna forma di pregiudizi.
Dunque, una delle più grandi e autorevoli
democrazie occidentali e una delle più antiche e consolidate chiese universali
prendono atto e discutono su un traguardo, che sta segnando una svolta concreta
nel cammino della cultura soprattutto del mondo occidentale. Si resta
perplessi, allora, nel constatare come proprio negli stessi giorni a Roma sono
scesi in piazza alcuni movimenti insieme a rappresentanti di alcuni partiti
politici “per difendere – così almeno recitavano gli slogan - la famiglia”, e
si dicevano convinti che la maggioranza degli Italiani stesse dalla loro parte,
in quanto erano tutti preoccupati delle sorti della famiglia tradizionale, per
cui rimarcavano che “Il
problema non sono i diritti delle persone, ma la destrutturazione della
famiglia naturale”.
E’ uno scenario multiforme e in parte anche
provocatorio, che invita sicuramente a riflettere con particolare attenzione,
ma che obbliga a fare qualche puntualizzazione preliminare. In primo luogo la
pura e semplice constatazione che ad abitare il pianeta Terra non è l’Uomo
ideale, ma gli uomini biologicamente dotati, culturalmente condizionati e
storicamente determinati (come testimonia lo stesso papa Francesco, che è, tra
l’altro, uomo di scienza, avendo anche un master in chimica). La molteplicità e
la diversità tra gli umani, pertanto, sono la legge che governa la terra. E’ un
dato di fatto, che nessuna volontà umana può disattendere e nessuna forza d’un
preteso pensiero unico può illudersi d’ignorare. Da questa realtà oggettiva e indiscutibile,
pertanto, conseguono sia la “naturalità” della convivenza delle diversità e sia
la “necessità” di relazioni continue e corrette tra tutti i componenti il
tessuto sociale.
In secondo luogo, appare non poca confusione tra
sessualità, amore, matrimonio e famiglia. Sinteticamente: il matrimonio e la
famiglia sono istituti creati nel lungo e faticoso cammino di civilizzazione
grazie alle conquiste culturali degli uomini (basta rileggere La scienza nuova del nostro Giambattista
Vico), e sono, quindi, istituzioni di natura sociale e di valenza giuridica: il
matrimonio è nato a salvaguardia dell’assolvimento del “dovere (munus) matrimoniale” da parte dei coniugi; la famiglia, come tramandato già
da Aristotele, è nata per garantire il benessere dell’eventuale prole, per custodire
e assicurare ogni comune possedimento necessario per il benessere di tutti i
componenti la piccola molecola sociale. In sé e per sé, quindi, e in senso
stretto, l’istituto matrimoniale e familiare non coinvolge la sfera
dell’interiorità morale del singolo e non richiede un’intima convinta e
condivisa adesione a una particolare etica pubblica. Si ferma tutto al visibile,
al rilevabile e al verificabile, cioè a quello che ricade nella sfera del
diritto positivo e che può essere, quindi, giudicato e sanzionato.
Ben diversa è la natura della sessualità e
dell’amore degli umani. Il nesso tra questi due mondi è stato oggetto di continue
ricerche e d’interessanti dibattiti. Comunque, per rilevare la possibilità di sesso
scisso da sentimento amoroso è sufficiente affacciarsi sul mondo; per
confermare, poi, la probabilità d’un amore senza sesso, è sufficiente dialogare
discretamente con giovani e meno giovani, che siano educati all’amore autentico
e ne vivano con coerente fedeltà le dimensioni. D’indubbio significato è stato
il comportamento del papa nel parlare giorni fa a migliaia di giovani.
Consapevole di “entrare” nell’intimità umana di quei giovani, chiesto quasi permesso
e in punta di piedi, li ha esortati devotamente a vivere un “amore casto”, cioè
un amore umano integrale, fatto di corpo e di anima coinvolgente tutto
l’essere, ma sempre e solo nei termini propri dell’amore autentico, fatto di
reciproco rispetto e di sacra devozione per l’essere altrui, titolare di uguale
naturale dignità umana. L’amore, infatti, non è un sentimento romantico cui
abbandonarsi, ma un’arte da apprendere e perfezionare con fatica dura e non
facile. A ricordarcelo ha pensato, tra gli altri, Erich Fromm:
amare è l’esatto opposto dell’egoismo e dell’ipocrisia, sotto le cui vesti si
camuffano spesso inconfessate frustrazioni genitoriali, dolorose carenze
affettive, brucianti sconfitte professionali. Amare è cercare e dare senso
personale all’arco di tempo della propria esistenza, il cui inizio resta
nell’inconoscibile e la cui fine rimane nell’ignoto. Si può “riempire” l’esistenza
con tante cose: dal potere, al piacere, al denaro. La si riempie con l’amore,
solo quando ci si dona liberamente e gratuitamente agli altri, senza attesa di
riconoscimenti e ricompense.
Affrontare,
pertanto, il tema della famiglia dei nostri tempi significa innanzi tutto
indagare le motivazioni per cui la si fa nascere e le finalità per cui la si
costituisce, se siano bisogni dettati da motivi di convenienza individuale o aspirazioni
suggerite dall’amore umanamente inteso. E per quest’aspetto possono fare ben
poco le leggi degli uomini: è impresa vana fidare sulla legge per toccare gli
animi: solo un’adeguata maturazione culturale e una profonda coscienza morale
possono guidare e indirizzare. Del resto è la legge che deve mutare col mutare
dell’uomo vivente e non l’uomo ad adattarsi alla legge scritta per un tempo ben
preciso, come già 2500 anni aveva avvertito il filosofo greco Protagora. Non è
inutile, quindi, sottolineare per chiunque voglia difendere tradizioni o proporre
innovazioni che prima delle strategie vengono gli uomini, anzi ciascun uomo
concreto, che ha tutto il diritto di vivere in pienezza e libertà la propria
esistenza, senza sentirsi quasi in dovere a chiedere scusa d’essere nato, senza
peraltro che lo abbia richiesto.
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