Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

giovedì 14 maggio 2020

ORGANIZZAZIONE DEI PARTITI E DEMOCRARAZIA IN ITALIA Ripensando la Costituzione della Repubblica Italiana


In Italia il panorama della vita politica e il tenore dei rapporti tra i partiti non sono certo rassicuranti. Specialmente in questo periodo di pandemia lo scenario presentato dalle condizioni psicologiche,  sociali ed economiche dei cittadini è davvero preoccupante, a causa anche della congiuntura sanitaria. Le programmazioni proposte dai protagonisti politici e governativi appaiono piuttosto deboli e inadeguate, attente per lo più a questioni settoriali e di breve respiro, anche se non prive di una loro intrinseca importanza; la stessa vita interna dei partiti politici non dà spettacolo né di responsabilità collettiva né di concreti contributi individuali; anche la libertà dei cittadini risulta di fatto sostanzialmente limitata. Barcollano i fondamenti della vita sia privata sia pubblica, benché siano sorretti da una ben salda tradizione. Infatti, il ritmo, con cui da ogni parte si reclamano modifiche e si rivendicano interventi di giustizia sociale, è così convulso e caotico da dominare e spaventare l’animo dei cittadini, i quali, di conseguenza, osservano con superficialità gli accadimenti, senza prendersi il tempo necessario per riflettere con pacatezza, valutare con saggezza e scegliere con cognizione di causa. In tale situazione caotica, pertanto, mancano le condizioni indispensabili per una chiara visione complessiva dei problemi, adeguata a trovarne soluzioni assennate e utili. In simili momenti difficili e confusi, infatti, vengono meno il controllo delle volontà e il dominio sugli istinti dell’egoismo e del rancore. In questi ultimi anni, inoltre, le menti dei cittadini sono offuscate e le loro coscienze sono smarrite, poiché assistono a tutti i livelli, al posto del dialogo civile e del confronto politico, a scontri passionali e a funeste lotte intestine.

Per un futuro desiderabile per il nostro Paese è necessaria, perciò, una pausa di riflessione pacata e concreta, al fine di restaurare l’unità degli spiriti e ristabilire le difese naturali dell’onestà morale, dell’etica politica e della solidarietà sociale. Conquiste, queste, tutelate soltanto dalla libertà di pensiero e dall’autonomia di giudizi critici da parte di tutti i cittadini. Quando, invece, prevale lo spirito di parte, allora emerge minaccioso il fanatismo dei singoli e dei gruppi, con tutte le sue nefaste conseguenze. Lo sviluppo dei cittadini, delle società e degli stati è il risultato del loro avanzamento soprattutto culturale, grazie al quale  da agglomerato d’individui reciprocamente sospettosi, diventino popoli, cioè  insieme di cittadini operosi e corresponsabili. Per realizzare concretamente quest’obiettivo sociale, è indispensabile riferirsi e affidarsi a un’idea di uomo oggettivamente vera e globale, e non parziale e settoriale. Ora, è universalmente condiviso che l’uomo è un essere di natura e di cultura, cioè che si nutre, che pensa e che si unisce in società. Di conseguenza, ogni modello di uomo, che neghi o sopravvaluti una qualunque delle componenti umane, non potrà mai pretendere di formare l’uomo-cittadino autentico.

Nel mondo attuale generalmente non godono di molto credito – benché in alcuni Paesi se ne tessa l’apologia e se ne tenti la pratica - le tradizionali opposte dottrine del sociologismo collettivistico e dell’individualismo borghese. Oggi, in verità, si osanna, si sostiene e si promuove - quale valido e invidiabile protagonista – il moderno uomo democratico, che, come profetizzava già due secoli or sono Alexis de Tocqueville, rivendica decisamente le proprie connotazioni: intolleranza per ogni norma e disciplina perché deprimenti, fiducia piena nello spontaneismo della natura e dell’umanità, certezza piena dell’autosoluzione d’ogni congiuntura economico-sociale. A questo punto sembra necessario indagare e verificare la possibilità d’una concezione socio-politica alternativa, che – in chiave personalistica integrale – possa dar vita a una democrazia, in cui ogni uomo sia riconosciuto e rispettato come persona di pari dignità ed escluda, in un contesto di condivisa solidarietà, le opposte pericolose soluzioni dell’omologazione e dell’esclusione.

Il popolo italiano potrebbe ritenersi già ben incamminato per questa strada, grazie all’ordine giuridico e all’ordine  politico codificati nella Carta Costituzionale, frutto della collaborazione positiva e leale delle tre grandi anime culturali, che hanno ricostruito l’Italia nell’ultimo dopoguerra: l’anima socialista, quella liberale e quella cattolica. Primo insostituibile fondamento, infatti, è l’equivalenza cittadino-lavoro, considerato come rapporto economico, ma rivendicato anche e soprattutto come valore umano; quindi, non come criterio di appartenenza a una delle classi sociali, ma come inalienabile diritto-dovere di realizzare la propria vita personale (artt. 1 e 4) e di ottemperare, come cittadini, ai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” nell’ambito della nazione (art. 2) e nel contesto internazionale (art. 10). La solidarietà viene estesa, poi, a confini sempre più vasti, fino a farli coincidere con i confini del mondo: l’Italia, - fu stabilito - “in condizioni di parità con gli altri Stati, consente alle limitazioni di sovranità necessarie”, per realizzare “la pace e la giustizia fra le Nazioni” (art.11). D’importanza non meno rilevante è, ancora, il riferimento al principio di solidarietà dovuta – in virtù della pari dignità dell’uomo - a proposito della tutela della salute, riconosciuta “diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività” (art.32) e a garanzia dell’istruzione universale, dichiarata come diritto a una “scuola aperta a tutti” (art.34).

Il popolo italiano - così concepito, definito, indirizzato e governato – è l’unico titolare della sovranità nazionale (art 1), che esercita sostanzialmente e concretamente in conformità del dettato del disposto combinato degli articoli costituzionali 48, 49 e 67, cioè. mediante l’associazione libera e la responsabile partecipazione attiva ai “partiti politici democraticamente fondati” al fine di “concorrere a determinare la politica nazionale”; mediante l’esercizio del voto “personale, libero, segreto”; mediante la delega al Parlamentare eletto di “rappresentare la Nazione” e di “esercitare” le funzioni del potere delegatogli per il bene comune dell’intera Nazione “senza vincolo di mandato”. I Padri Costituenti, quindi, hanno voluto individuare i limiti di competenza d’ogni soggetto coinvolto, allo scopo di definire e tutelare la sostanza e le modalità del sistema democratico italiano, con cui dev’essere governata la Nazione-Italia, tutelandola dai pericoli di perniciose trasformazioni involutive, prodromo di tentativi oligarchici e di tentazioni autoritarie. Il nerbo, quindi, della Repubblica Democratica Italiana – per esplicita risoluzione e ripetuta dichiarazione dei Padi Costituenti - è il partito politico. Microcellula che dà vitalità e legittimazione a ogni struttura governativa e a ogni funzione amministrativa, il partito è  la realtà presente e operante in ogni luogo dell’intero territorio nazionale ed è in esso che i cittadini partecipano liberamente, discutono responsabilmente e comunicano ai loro parlamentari deputati le risultanze dei loro dibattiti, propongono iniziative ritenute necessarie e indicano progetti e traguardi convergenti verso  il bene comune. Solo nel rispetto sostanziale di queste norme nel Parlamento siedono delegati del popolo, altrimenti la realtà diventa decisamente diversa, soprattutto perché la voce del popolo rimane ignorata e le sue volontà  manipolate o soffocate del tutto.

Considerando la situazione attuale della politica italiana non si fa fatica a prendere atto che l’ordine giuridico e l’ordine politico stabiliti dalla Costituzione sono stati lentamente, tacitamente, subdolamente - ma sostanzialmente -  tramutati. E’ una realtà manifesta che sta sotto gli occhi di tutti.  E con preoccupata attenzione ci soccorre quanto ha scritto nelle “Leggi” più di due millenni orsono” Cicerone, uno dei  “Padri salvatori della Repubblica Romana”.  “La Legalità – scrive perentoriamente - è elemento Morale, che corrisponde a un’idea di Giustizia; la mente, l’anima, la ragione, l’intelligenza di una comunità, tutto è basato sulle Leggi”. A constatare, invece, che a bistrattare la Costituzione – origine sicura e garanzia provata d’ogni Legge - spesso sono organismi governativi e a disattendere le leggi sono quelli che dovrebbero, dopo averle scritte, anche applicarle e rispettarle, ci soccorrono le avvertenze dateci due millenni e mezzo fa da Platone nel VI libro della Repubblica: “In una nave – si legge - i marinai ignoranti tengono incamerato il  capitano Demos, che è un uomo più grande e più forte, anche se un  po’ sordo e dalla vista cagionevole; i marinai,  si contendono il timone; se non riescono a ottenerlo con le preghiere, ammazzano o buttano fuori bordo i concorrenti, o drogano il capitano. Ed esaltano chi li aiuta in queste loro iniziative, trattandolo come un esperto, anche perché, pur essendo privi di conoscenze tecniche e di pratica, pensano che l'arte del pilota si acquisisca semplicemente prendendo il governo della nave, mentre viene trattato come un inutile chiacchierone con la testa fra le nuvole il pilota competente, che  sa molto bene che ci si deve preoccupare dell'anno e delle stagioni, del cielo e degli astri”.

Per una vita politica d’una società veramente all’altezza e coerente con la dignità degli uomini, sono richieste saggezza e prudenza, competenza ed equilibrio, saper riconoscere e accettare ciò che i singoli momenti richiedono senza la presunzione di poter orientare il corso degli eventi da soli, senza il confronto disponibile all’ascolto e il dialogo   pacato e ragionevole. Per evitare il doppio opposto errore della cattiva politica, è quanto mai opportuno, nei momenti di crisi, riflettere sull’insegnamento, che ha lasciato per i posteri di tutti i tempi il vecchio Platone: "Quando un Popolo – avverte nell’VIII libro della Repubblica - divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere come capo alcuni coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, allora accade che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati reazionari e tiranni.
E avviene pure che colui che si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito uomo senza carattere e servo, che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffa di lui e lo contestano, che i giovani pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi, e questi per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo né rispetto per nessuno.
In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia".




martedì 14 aprile 2020

LA PANDEMIA DI COVID-19 Aggressione della Natura e rinascita del senso dell’Umanità

L’umanità all’improvviso è stata risvegliata da un sonno profondo, che le conquiste della scienza moderna, i progressi della tecnologia e la floridezza dei mercati economico-finanziari  le avevano promesso lungo e tranquillo. A riportarla coi piedi per terra nel mondo concreto della realtà, sono stati l’insorgere repentino e il rapido diffondersi d’una pandemia imprevista, causata dalla diffusione d’un virus finora sconosciuto, che ha già mietuto un sorprendente numero di vite. Gli uomini, che si credevano possessori e dominatori invincibili della terra, improvvisamente hanno visto la terra rivoltarsi tacitamente e costringerli a prendere coscienza della loro fragile piccolezza e soprattutto della loro mortalità naturale, che li rende solo abitanti pellegrini sul pianeta Terra e di cui di cui non dovrebbero mai dimenticarsi.

L’ottimistica serenità d’animo degli uomini non è, tuttavia, da attribuire totalmente a una loro maldestra superficialità o a una loro colpevole ignoranza, ma anche e soprattutto all’influsso del periodo storico e culturale, in cui hanno vissuto nei decenni del secondo dopoguerra. Lo sfruttamento senza scrupoli delle risorse naturali, l’inquinamento crescente d’ogni ambiente, la corsa all’arricchimento scandaloso di alcuni e l’indifferenza per la povertà di molti, la supremazia dell’economia e della finanza costituivano una pericolosa minaccia e creavano sempre più problemi enormi e visibili, ma che le nazioni e i popoli non coglievano a tempo debito né risolvevano adeguatamente, perché costantemente sovrastati dal pericolo della guerra fredda (1947-1991), che con la sua minaccia sempre incombente “alienava” le menti e gli animi degli uomini, riducendoli a ingranaggi di Stati ideologizzati. Il mondo era diviso – e di fatto anche dominato - sostanzialmente dagli interessi di due “imperialismi”: quello economico dell’Occidente e quello ideologico dell’Oriente, che si fondavano (e continuano a fondarsi) su due concezioni dell’uomo e del mondo, opposte, ma paradossalmente convergenti nella corsa verso il progressivo stravolgimento della Natura e l’inesorabile sbriciolamento dell’inviolabile dignità della Persona umana, fino alla loro completa distruzione. In entrambe queste forme d’imperialismo, infatti, la Natura è qualcosa solo da sfruttare e l’uomo non è soggetto titolare di propri diritti inalienabili, e soprattutto non è dotato d’una propria finalità esistenziale, ma vale solo come mezzo per il raggiungimento di scopi a lui estranei e imposti arbitrariamente dal altri. E’ l’uomo unidimensionale, come aveva consapevolmente accusato Herbert Marcuse già nel 1964,

In quest’ultimo trentennio, poi, l’intenso dinamismo  della vita individuale e collettiva ha consolidato a poco a poco lo stato di fiducia illimitata e di sicuro benessere economico, per cui - ingannando la ragione e seducendo le speranze soprattutto dei ceti agiati e dei responsabili della cosa pubblica – l’evolvere del tempo, grazie all’intervento della “mano invisibile” già preconizzata da Adam Smith, avrebbe sistemato qualche eventuale carattere sfavorevole e tutto sarebbe proceduto verso il meglio: gli uomini potevano disporre a loro piacimento di tutto ciò che offriva la natura con le sue risorse minerarie e con tutte le sue dotazioni di flora e di fauna. A confermarli in questo convincimento hanno contribuito decisamente, tra l’altro, il diffondersi e il consolidarsi della democrazia contemporanea come forma si Stato  e di Governo. Agli inizi, in verità, a reggere i governi - a ogni livello e d’ogni dimensione - venivano chiamate  personalità di sicura competenza, di profondo senso dello Stato e di radicata coscienza civica. Accanto a loro, però,  spuntavano e mettevano sempre più piede, alcuni che faticavano a comprendere e ad accettare il ruolo, che compete a un governante “democratico”, cioè di “servitore dello Stato” al servizio del bene comune. Questa distorsione concettuale gradualmente ha deformato e cancellato quasi del tutto l’anima stessa della democrazia, in cui è nato l’odierno “uomo democratico”, che perlopiù coltiva e persegue, quale ultima finalità del vivere e dell’agire umano il profitto individuale e di parte, da ottenere a qualunque costo e con qualunque patto, perché si sente libero da pastoie giuridiche, morali ed etiche. Non solo nei rapporti con gli esseri umani a lui simili e uguali, ma anche nei riguardi della Natura. Ha dimenticato, però, l’accorto ammonimento dello scienziato-filosofo Francesco Bacone: “La natura non la si vince, se non ubbidendole”.

La pandemia in atto porge all’uomo – quale quadro complessivo delle conseguenze documentarie del suo comportamento disinvolto nei riguardi della Terra e dell’Umanità -  la rappresentazione d’una la realtà planetaria drammatica e dolorosa, ch’egli mai avrebbe potuto immaginare. In quale stato di decadimento s’andava riducendo il pianeta Terra, stava e sta davanti agli occhi di tutti, ma nessuno ne intuiva tutta la gravità e ne prevedeva gli esiti funesti e orribili. Quando, però, gli uomini, ammutoliti, hanno dovuto assistere alla lunga e triste teoria di camion militari col carico di salme destinate alla cremazione; quando, increduli, hanno visto dormire stese sull’asfalto d’un ampio parcheggio, antistante ad alberghi di lusso vuoti nell’opulenta città d’un grande Stato, decine di senzatetto; quando, attoniti, hanno assistito al seppellimento in fosse comuni di cadaveri di persone umane, allora i loro occhi si sono aperti e, ascoltando gl’impressionanti “numeri” quotidiani delle vittime e dei contagiati in Europa e nel mondo, hanno riflettuto: dietro ognuno di quei numeri c’erano una vita umana spenta, una famiglia smembrata e depauperate di affetti per lei vitali, energie fisiche, doti intellettive e morali sottratte prematuramente a tutto il genere umano. Allora hanno cominciato a chiedersi cosa stesse succedendo e perché; e soprattutto hanno cercato di capire cosa si potesse fare, anzi cosa si dovesse fare.

Il mondo degli scienziati, del governanti e della politica ha messo subito in moto tutte le conoscenze di cui disponeva; essendo, per, un’epidemia del tutto sconosciuta, sta andando alla ricerca, per scoprire terapie, che possano debellare il contagio. E pare che c’è qualche indizio che induce a ben sperare. E, quindi, soprattutto governanti e politici e forze sociali hanno cominciato a prefigurare e programmare un futuro possibile e sicuro per l’avvenire dei singoli popoli e dell’umanità intera. A ragione e doverosamente si occupano concretamente di ripresa del lavoro, di blocco della occupazione, di garanzie per la salute, di sviluppo dell’economia, di tutela della finanza: insomma di tutto ciò che occorre perché la vita degli uomini possa “ripartire”. Ed è a questo punto che nascono non poche perplessità e riserve. Si tratta, infatti, d’interventi necessari e urgenti, ma insufficienti e destinati al fallimento, se privi della condizione sostanziale e indispensabile. Infatti, interpretando rigorosamente il significato dell’evento che sta stravolgendo la vita umana, è richiesta la rinascita della coscienza morale degli uomini, che debbono essere chiamati non a “ripartire”, per proseguire, come se nulla fosse successo, per le vecchie strade, ma debbono spronati e convinti a “svoltare”, cambiando totalmente e decisamente la loro ragione e i loro sentimenti. 

Michail Gorbaciov. in un congresso tenuto a Milano nel 1995, volle svelare il suo stato d’animo nell’intraprendere nel 1985 da neo segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, il difficile e insidioso cammino della sua Perestroika: convinto, infatti della necessità di curare prima le anime e poi i corpi per “svolte” imposte dalla storia, “In fin dei conti – disse - la fonte dei problemi contemporanei non è all’esterno, ma dentro di noi, nel nostro rapporto reciproco, nel rapporto verso la società e verso la natura. Tutto il resto è un derivato. E dobbiamo innanzitutto cambiare noi stessi”(Costruire la pace, Comunità S. Egidio, Milano, 1996, p. 40).                  

martedì 31 marzo 2020

GLOBALIZZAZIONE POLITICA E E SOVRANITA’ NAZIONALI Utopia o Ideale Storico Concreto secondo Jacques Maritain*

* Pubblicato in "Presenza Taurisanese", a. XXXVIII, marzo-aprile, 2020, n. 319

E’ ormai da decenni che si ostenta e si esalta il fenomeno progressivo della globalizzazione, intesa e accolta soprattutto come la realizzazione d’una meta vagheggiata e da tutti  agognata dopo i tragici eventi, che avevano segnato la prima metà del secolo scorso: era finalmente possibile sentire e desiderare il globo terrestre come casa e patria comune abitata da tutti gli uomini in comunanza intenzionale di sentimenti di cooperazione attiva e intelligente. S’immaginava, così, raggiunto e realizzato il vecchio progetto prospettato e proposto a suo tempo da Immanuel Kant (1724-1804): l’umanità s’incamminava costruttivamente verso una globalizzazione anche politica, cioè s’orientava verso la realizzazione d’una bsocietà umana, che sarebbe stata sostanziata e sorretta da valori umani autentici, accolti da tutti e unanimemente rispettati e vissuti con crescente consapevolezza, in quanto sarebbero stati salvaguardati e garantiti da un’autorità politica federale planetaria, che avrebbe dato all’antico principio di sovranità nazionale senso vero e significato nuovo, tale che avrebbe permesso per tutta l’umanità grande benessere economico e sicuri percorsi di felicità anche morale. Questo  auspicio formulato da Kant fu gravemente smentito dagli avvenimenti del  XIX secolo, che, al contrario,  vide il perseguire e il consolidarsi della sovranità nazionale dei singoli stati, intenti o a riprendersi il ruolo perduto o a inventare stratagemmi per ampliare il loro campo d’azione o anche solo per salvaguardare e consolidare il loro influsso. La storia registra e documenta gli effetti: la prima metà del secolo scorso fu teatro di  due guerre disumane e del radicarsi di autoritarismi tirannici, che, auto-investitisi d’un potere dittatoriale assoluto, credettero loro missione spargere ovunque e indiscriminatamente sangue, creare e preservare la razza pura, privilegiando il superuomo, annientare ogni diversità, difendere il potere e la potenza nazionali,
Trascorso un secolo e mezzo dalla proposta kantiana e avendo assistito ai nuovi tragici eventi, Jacques Maritain (1882-1973) riprese i sentieri di pensiero tracciati dal filosofo tedesco e li consolidò con la propria speculazione politica, arricchita dagli insegnamenti della storia a lui contemporanea. Il filosofo francese tenne nel 1949 un ciclo di lezioni a Chicago presso la “Fondazione Charles R. Walgreen”, che furono pubblicate due anni dopo col titolo  L’uomo e lo Stato” (Chicago, University of Chicago Press, 1951; qui si citerà dall’edizione Marietti, Milano 2003). Negli stessi anni, invero, da più parti si ricercavano e si proponevano possibili soluzioni per il superamento della difficile situazione e tentare la realizzazione d’un globalismo, che fosse non solo garanzia di scambio e d’equilibrio economico, ma anche e contemporaneamente di crescita civile e maturazione morale, cioè, degno d’essere vissuto dagli uomini. Si ricordano, tra gli altri, i contributi di Hans Kelsen (1881-1973) e Jürgen Habermas (1929), propugnatori entrambi di in globalismo, fondato e affidato a un ordine giuridico universale, accettato da tutte le nazioni; tale proposta rimarrebbe, tuttavia, carente del necessario e adeguato potere anche coercitivo e, quindi, in sostanza resterebbe legata alla volubilità della volontà delle singole nazioni. Vanno ricordati, inoltre, i contributi dottrinali, le esortazioni pastorali e i coraggiosi e concreti passi in avanti di papa Giovanni XXIII con la rivoluzionaria enciclica ”Pacem in terris” del 1963 e del suo successore Paolo VI con la “Populorum Progressio Del 1967.
Nel panorama culturale di questo periodo s’inserisce il contributo di Jacques Maritain,  che alla fine della seconda guerra mondiale fu scelto personalmente da Charles De Gaulle per dirigere l’ambasciata francese presso la Santa Sede e si trovò proiettato in un’esperienza difficile nuova. Veramente tra papa Paolo VI e Maritain correva un’amicizia personale sin dal  1928, quando il giovane Gianbattista Montini – assistente presso la Pontificia Università Gregoriana, esponendosi a un grave rischio personale - tradusse e curò la pubblicazione dell’opera maritainiana “I tre riformatori”; d’allora i due stettero costantemente in contatto anche durante l’intero svolgimento del Concilio Ecumenico Vaticano II; di questa reciproca stima s’era capito quando Paolo VI consegnò al filosofo-amico, l’8 dicembre 1965, uno dei messaggi del concilio con queste parole: “La Chiesa vi è riconoscente per il lavoro di tutta la vostra vita”.
La mente e l’animo di Maritain non restarono mai insensibili ai gravi problemi, che tormentavano l’Europa e il mondo, e in diverse occasioni era intervenuto per denunciarvi cause e proporre adeguati rimedi di natura giuridica, etica e politica. Nel 1936, con “Umanesimo integrale”, metteva in guardia dalla massificazione e dalla spersonalizzazione implicite nelle dottrine marxiste-comuniste; nel 1965, con “Il contadino della Garonna”, avvisava e denunciava la forza subdola e disumanante dell’individualismo borghese proprio delle idee del liberalismo e dei modelli dell’economa liberista. L’invito americano del 1949 gli diede l’opportunità d’esplicitare ordinatamente le sue preoccupazioni e di formulare coerentemente le sue proposte di rimedio. “L’uomo e lo Stato” costituisce, quindi, uno dei più importanti e completi documenti della sua visione della problematica politica.
Lo svolgimento delle lezioni americane si conclude con la delineazione d’un progetto di unificazione politica di tutte le nazioni del mondo, ossia della creazione d’una società politica mondiale, fondata sulla responsabilità solidale dei popoli e delle nazioni, dotata di suoi organismi strutturali e affidata a un’autorità mondiale costituita e rispettata da tutti, tenendo nel giusto conto che il globalismo - come processo graduale anche di “globalizzazione politica”, è un dato di fatto, in quanto il genere umano, essendo unico e uguale per natura, è di per sé globalità. Solo che i dilaganti messaggi e le allettanti prospettive dell’individualismo borghese di quegli anni – oggi vestiti con i paludamenti dell’uomo democratico, attento solo al proprio interesse privato e alla propria visibilità sia pure fugace – oscuravano e oscurano tuttora la realtà vera, e inventano, raccontano e insistono sulle differenze artificiosamente spiegate e giustificate, dando libero campo e facile vittoria ai sentimenti disumani di rabbia e di odio.
La formulazione della proposta maritainiana si differenzia dalla soluzione politica di Kant: infatti, l’universalismo umano non è un’idea regolativa della ragione degli uomini, ma l’ideale storico da perseguire e realizzare  concretamente grazie alla graduale maturazione morale degli uomini. Maritain ritiene che le istituzioni e le leggi possono ostacolare e impedire alcuni comportamenti umani, ma sono impotenti a far germinare l’intima convinzione e la totale adesione al bene comune esteso quanto il genere umano. Si tratta certamente d’un processo lungo e lento, ma di sicure conquiste.
Il discorso di Maritain si fonda su due presupposti, esposti nei primi due capitoli dell’opera. In primo luogo, la distinzione tra Stato e Società Politica, per rimarcare la preminenza e l’anteriorità della società sullo stato: lo Stato - puntualizza - non esaurisce la totalità della Società, ma ne è solo parte. In secondo luogo, la critica radicale del concetto di sovranità come progettato nei tempi moderni da Bodin, Hobbes e Rousseau e la definizione d’un nuovo schema di rela­zioni internazionali, in cui non c’è più posto per lo Stato, che non riconosce né accetta alcuna superiorità di  potere o di legge. I rapporti tra gli Stati moderni – argomenta il Maritain - si fondano sulla ragion di Stato, che si traduce e coincide con il piccolo interesse particolare di uni Stato ritenuto inviolabile, perché supremo. Questo è il il falso presupposto che interpreta lo  Stato come “Persona” superiore al corpo politico della società e produce la propensione sventurata al potere supremo caratterizzato da una sicura e chiara amoralità d’azione.
Le nazioni e i governi democratici o che vogliono essere tali debbono liberarsi dal totem della sovranità sia nei rapporti tra i propri cittadini e sia nelle relazioni internazionali. I cittadini di un unico Stato possono tutelarsi e difendersi dall’assoluta arbitrarietà della sovranità dei propri governanti con i limiti previsti dalla costituzione e dalle leggi, ma i governi delle nazioni sono costretti, quando il dialogo umano e l’arbitrato politico falliscono, a ricorrere al “diritto di fare guerra”, che il principio di sovranità concede loro. Oggi appare più urgente e necessario questo percorso di globalizzazione politica, in quanto è divenuta vitale e quasi strutturale l’interdipendenza tra le nazioni; solo che, conservando e difendendo le sovranità nazionali,  i rapporti sono più occasione di conflitti che di collaborazione, soprattutto perché si tratta di relazioni imposte  da processi tecnici  ed economici e non politici.
Il 10 dicembre 1948 fu approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite la “La dichiarazione universale dei diritti umani”, il cui articolo 1 recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fraternità vicendevole”. Guardando lo spettacolo che oggi ci fa vedere il mondo, non è facile capire come mai siano passati più di settant’anni, senza che l’umanità abbia lavorato per il suo progresso civile e morale. Forse non resta che continuare a credere nella bontà dell’animo umano e sperare in uomini migliori e tempi meno infausti. Nel frattempo facciamo nostro il consiglio che ci ha dato mezzo secolo fa Italo Calvino nelle Le città invisibili: “Cercare e saper riconoscere chi e che cosa - in mezzo all’inferno - non è inferno: per farlo durare e dargli spazio”.