In Italia il panorama
della vita politica e il tenore dei rapporti tra i partiti non sono certo rassicuranti.
Specialmente in questo periodo di pandemia lo scenario presentato dalle condizioni
psicologiche, sociali ed economiche dei
cittadini è davvero preoccupante, a causa anche della congiuntura sanitaria. Le
programmazioni proposte dai protagonisti politici e governativi appaiono piuttosto
deboli e inadeguate, attente per lo più a questioni settoriali e di breve respiro,
anche se non prive di una loro intrinseca importanza; la stessa vita interna dei
partiti politici non dà spettacolo né di responsabilità collettiva né di concreti
contributi individuali; anche la libertà dei cittadini risulta di fatto sostanzialmente
limitata. Barcollano i fondamenti della vita sia privata sia pubblica, benché
siano sorretti da una ben salda tradizione. Infatti, il ritmo, con cui da ogni
parte si reclamano modifiche e si rivendicano interventi di giustizia sociale, è
così convulso e caotico da dominare e spaventare l’animo dei cittadini, i
quali, di conseguenza, osservano con superficialità gli accadimenti, senza prendersi
il tempo necessario per riflettere con pacatezza, valutare con saggezza e
scegliere con cognizione di causa. In tale situazione caotica, pertanto, mancano
le condizioni indispensabili per una chiara visione complessiva dei problemi, adeguata
a trovarne soluzioni assennate e utili. In simili momenti difficili e confusi,
infatti, vengono meno il controllo delle volontà e il dominio sugli istinti dell’egoismo
e del rancore. In questi ultimi anni, inoltre, le menti dei cittadini sono
offuscate e le loro coscienze sono smarrite, poiché assistono a tutti i livelli,
al posto del dialogo civile e del confronto politico, a scontri passionali e a funeste
lotte intestine.
Per un futuro desiderabile
per il nostro Paese è necessaria, perciò, una pausa di riflessione pacata e concreta,
al fine di restaurare l’unità degli spiriti e ristabilire le difese naturali
dell’onestà morale, dell’etica politica e della solidarietà sociale. Conquiste,
queste, tutelate soltanto dalla libertà di pensiero e dall’autonomia di giudizi
critici da parte di tutti i cittadini. Quando, invece, prevale lo spirito di
parte, allora emerge minaccioso il fanatismo dei singoli e dei gruppi, con
tutte le sue nefaste conseguenze. Lo sviluppo dei cittadini, delle società e degli
stati è il risultato del loro avanzamento soprattutto culturale, grazie al
quale da agglomerato d’individui reciprocamente
sospettosi, diventino popoli, cioè
insieme di cittadini operosi e corresponsabili. Per realizzare
concretamente quest’obiettivo sociale, è indispensabile riferirsi e affidarsi a
un’idea di uomo oggettivamente vera e globale, e non parziale e settoriale. Ora,
è universalmente condiviso che l’uomo è un essere di natura e di cultura, cioè che
si nutre, che pensa e che si unisce in società. Di conseguenza, ogni modello di
uomo, che neghi o sopravvaluti una qualunque delle componenti umane, non potrà
mai pretendere di formare l’uomo-cittadino autentico.
Nel mondo attuale generalmente
non godono di molto credito – benché in alcuni Paesi se ne tessa l’apologia e se
ne tenti la pratica - le tradizionali opposte dottrine del sociologismo
collettivistico e dell’individualismo borghese. Oggi, in verità, si osanna, si
sostiene e si promuove - quale valido e invidiabile protagonista – il moderno uomo
democratico, che, come profetizzava già due secoli or sono Alexis de
Tocqueville, rivendica decisamente le proprie connotazioni: intolleranza per ogni
norma e disciplina perché deprimenti, fiducia piena nello spontaneismo della
natura e dell’umanità, certezza piena dell’autosoluzione d’ogni congiuntura economico-sociale.
A questo punto sembra necessario indagare e verificare la possibilità d’una
concezione socio-politica alternativa, che – in chiave personalistica integrale
– possa dar vita a una democrazia, in cui ogni uomo sia riconosciuto e
rispettato come persona di pari dignità ed escluda, in un contesto di condivisa
solidarietà, le opposte pericolose soluzioni dell’omologazione e dell’esclusione.
Il popolo italiano potrebbe
ritenersi già ben incamminato per questa strada, grazie all’ordine giuridico e
all’ordine politico codificati nella
Carta Costituzionale, frutto della collaborazione positiva e leale delle tre
grandi anime culturali, che hanno ricostruito l’Italia nell’ultimo dopoguerra:
l’anima socialista, quella liberale e quella cattolica. Primo insostituibile
fondamento, infatti, è l’equivalenza cittadino-lavoro, considerato come
rapporto economico, ma rivendicato anche e soprattutto come valore umano;
quindi, non come criterio di appartenenza a una delle classi sociali, ma come inalienabile
diritto-dovere di realizzare la propria vita personale (artt. 1 e 4) e di
ottemperare, come cittadini, ai “doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale” nell’ambito della nazione (art. 2) e nel contesto
internazionale (art. 10). La solidarietà viene estesa, poi, a confini sempre più
vasti, fino a farli coincidere con i confini del mondo: l’Italia, - fu
stabilito - “in condizioni di parità con gli altri Stati, consente alle
limitazioni di sovranità necessarie”, per realizzare “la pace e la giustizia fra
le Nazioni” (art.11). D’importanza non meno rilevante è, ancora, il riferimento
al principio di solidarietà dovuta – in virtù della pari dignità dell’uomo - a
proposito della tutela della salute, riconosciuta “diritto fondamentale
dell’individuo e interesse della collettività” (art.32) e a garanzia dell’istruzione
universale, dichiarata come diritto a una “scuola aperta a tutti” (art.34).
Il popolo italiano -
così concepito, definito, indirizzato e governato – è l’unico titolare della
sovranità nazionale (art 1), che esercita sostanzialmente e concretamente in
conformità del dettato del disposto combinato degli articoli costituzionali 48,
49 e 67, cioè. mediante l’associazione libera e la responsabile partecipazione
attiva ai “partiti politici democraticamente fondati” al fine di “concorrere a
determinare la politica nazionale”; mediante l’esercizio del voto “personale,
libero, segreto”; mediante la delega al Parlamentare eletto di “rappresentare
la Nazione” e di “esercitare” le funzioni del potere delegatogli per il bene
comune dell’intera Nazione “senza vincolo di mandato”. I Padri Costituenti,
quindi, hanno voluto individuare i limiti di competenza d’ogni soggetto
coinvolto, allo scopo di definire e tutelare la sostanza e le modalità del
sistema democratico italiano, con cui dev’essere governata la Nazione-Italia, tutelandola
dai pericoli di perniciose trasformazioni involutive, prodromo di tentativi
oligarchici e di tentazioni autoritarie. Il nerbo, quindi, della Repubblica Democratica Italiana – per esplicita risoluzione
e ripetuta dichiarazione dei Padi Costituenti - è il partito politico. Microcellula
che dà vitalità e legittimazione a ogni struttura governativa e a ogni funzione
amministrativa, il partito è la realtà
presente e operante in ogni luogo dell’intero territorio nazionale ed è in esso
che i cittadini partecipano liberamente, discutono responsabilmente e comunicano
ai loro parlamentari deputati le risultanze dei loro dibattiti, propongono iniziative
ritenute necessarie e indicano progetti e traguardi convergenti verso il bene comune. Solo nel rispetto sostanziale
di queste norme nel Parlamento siedono delegati del popolo, altrimenti la
realtà diventa decisamente diversa, soprattutto perché la voce del popolo
rimane ignorata e le sue volontà manipolate o soffocate del tutto.
Considerando la situazione attuale
della politica italiana non si fa fatica a prendere atto che l’ordine giuridico
e l’ordine politico stabiliti dalla Costituzione sono stati lentamente,
tacitamente, subdolamente - ma sostanzialmente - tramutati. E’ una realtà manifesta che sta
sotto gli occhi di tutti. E con
preoccupata attenzione ci soccorre quanto ha scritto nelle “Leggi” più di due
millenni orsono” Cicerone, uno dei “Padri
salvatori della Repubblica Romana”. “La
Legalità – scrive perentoriamente - è elemento Morale, che corrisponde a
un’idea di Giustizia; la mente, l’anima, la ragione, l’intelligenza di una
comunità, tutto è basato sulle Leggi”. A constatare, invece, che a bistrattare la
Costituzione – origine sicura e garanzia provata d’ogni Legge - spesso sono
organismi governativi e a disattendere le leggi sono quelli che dovrebbero, dopo
averle scritte, anche applicarle e rispettarle, ci soccorrono le avvertenze
dateci due millenni e mezzo fa da Platone nel VI libro della Repubblica: “In una nave – si legge -
i marinai ignoranti tengono incamerato il
capitano Demos, che è un uomo più grande e più forte, anche se un po’ sordo e dalla vista cagionevole; i marinai,
si contendono il timone; se non riescono a ottenerlo con le preghiere, ammazzano
o buttano fuori bordo i concorrenti, o drogano il capitano. Ed esaltano chi li
aiuta in queste loro iniziative, trattandolo come un esperto, anche perché, pur
essendo privi di conoscenze tecniche e di pratica, pensano che l'arte del
pilota si acquisisca semplicemente prendendo il governo della nave, mentre
viene trattato come un inutile chiacchierone con la testa fra le nuvole il
pilota competente, che sa molto bene che
ci si deve preoccupare dell'anno e delle stagioni, del cielo
e degli astri”.
Per una vita politica d’una società veramente all’altezza
e coerente con la dignità degli uomini, sono richieste saggezza e prudenza,
competenza ed equilibrio, saper riconoscere e accettare ciò che i singoli
momenti richiedono senza la presunzione di poter orientare il corso degli
eventi da soli, senza il confronto disponibile all’ascolto e il dialogo pacato e ragionevole. Per evitare il doppio
opposto errore della cattiva politica, è quanto mai opportuno, nei momenti di
crisi, riflettere sull’insegnamento, che ha lasciato per i posteri di tutti i
tempi il vecchio Platone: "Quando un Popolo – avverte nell’VIII libro
della Repubblica - divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere come capo
alcuni coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, allora
accade che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti
sudditi, sono dichiarati reazionari e tiranni.
E avviene
pure che colui che si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito
uomo senza carattere e servo, che il padre impaurito finisce per trattare il
figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa
rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffa di lui e lo contestano, che i
giovani pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi, e
questi per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima
di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo né rispetto per
nessuno.
In mezzo a
tanta licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia".
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