Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

mercoledì 7 novembre 2018

L'EUROPA NON E' SOLO DEMOCRAZIA


Vale la pena dedicare alcuni minuti, per leggere e riflettere su alcuni stralci della “Opinione”, che Maurizio Ferrera ha pubblicato sull’odierno “Corriere della Sera”, con l’auspicio che sia fatto oggetto di un sereno “dialogo” fra cittadini europei.

L’EUROPA NON È SOLO BUROCRAZIA di Maurizio Ferrera

Le elezioni europee del prossimo maggio avranno luogo alla fine di un vero e proprio «decennio orribile» per la Ue. Prima il terremoto finanziario importato dagli Usa, poi quello del debito sovrano. La Grande Recessione, con i suoi costi sociali. E, ancora, gli attentati terroristici, la crisi dei rifugiati, lo tsunami dell’immigrazione, la Brexit. Un’inedita sequenza di choc, che hanno fatto vacillare le fondamenta dell’Unione. Eppure l’edificio non è crollato. Al contrario, sono stati intrapresi alcuni passi verso una maggiore integrazione economica, avviando un delicato percorso di condivisione dei rischi. Non si è fatto abbastanza, certo, e su alcuni fronti (ad esempio la dimensione sociale) si è persino tornati un po’ indietro. Ma nel suo complesso l’Unione ha saputo resistere alle enormi tensioni. Anche se insicurezza e paure non sono scomparse, la stragrande maggioranza dei cittadini europei (Regno Unito escluso) ha recuperato oggi fiducia nella Ue. A dispetto delle varie tempeste, quella che potremmo chiamare l’«Europa di tutti i giorni» ha continuato imperterrita a funzionare (…).

Nel grande dibattito sulla Ue, nessuno considera questa Europa di tutti i giorni. La ragione è semplice: fa così parte del nostro mondo che abbiamo smesso di percepirla. Siamo diventati come i «bambini viziati» di cui parlava il filosofo spagnolo Ortega y Gasset negli anni Trenta del secolo scorso. Così come la democrazia liberale, diamo ormai per scontata anche l’Europa integrata: i suoi benefici, le sue opportunità quotidiane. Della Ue i media e i politici parlano in genere come un’entità astratta e lontana, tendono a vederne gli aspetti che non funzionano. Per sentire parole di apprezzamento e ammirazione dobbiamo attraversare i confini esterni, entrare in contatto con chi vive sotto un regime oppressivo (…).

Sottolineare la vitalità e i pregi dell’Europa di tutti i giorni non significa disconoscerne i difetti come sistema istituzionale. Al contrario, è una ragione in più per dispiacersene e per spronare chi ci governa a correggerli. Ortega y Gasset diceva che sono proprio le élite a dover difendere tutto ciò che i «bambini viziati» danno per scontato. I sondaggi rivelano che esiste ancora un vasto potenziale elettorale per un rilancio del progetto d’integrazione. Le indagini sugli orientamenti delle classi politiche nazionali sono meno confortanti. A questo livello prevale una percezione «strumentale»: la Ue è un bene solo se è vantaggiosa per il proprio Paese, è un sistema di regole da usare finché conviene. Non lo dicono solo i leader sovranisti (che giocano a fare i «bambini arrabbiati») ma anche segmenti importanti dei popolari e, seppur in misura inferiore, di socialisti e democratici. Le prime comunità europee furono create da Padri Fondatori responsabili e lungimiranti. La Ue di oggi sembra invece un’orfana lasciata a se stessa.

L’infrastruttura dell’Europa di tutti i giorni ha dato prova di robustezza e può procedere col pilota automatico. Ma non a lungo. In vista delle elezioni di maggio, abbiamo un disperato bisogno di élite capaci di far leva sul tessuto «banale» di connessioni a livello economico e sociale per smorzare i conflitti politici. Servono nuovi leader che emergano dal basso, espressione di quelle maggioranze silenziose che si trovano a proprio agio in una Unione sempre più stretta. E che proprio per questo vorrebbero che la Casa Europa diventasse meno litigiosa, più solida e resistente alle inevitabili intemperie della globalizzazione.

Maurizio Ferrera 

martedì 20 giugno 2017

ARROGANZA SEGRETA DI COMPORTAMENTI BANALI


Nel “Corriere della Sera” di ieri, 19 maggio 2017, è stata proposta una “Opinione” a firma di Dacia Maraini. Lo stile piacevole e il contenuto interessante (col sorriso si correggono non poche stupidità, aveva già detto duemila anni fa il poeta latino Orazio) ne rendono davvero utile la lettura. E noi la riproponiamo.

 Il linguaggio segreto, simbolo di fragilità.
Di Dacia Maraini

Le mode hanno qualcosa di stupido e devastante. Se chiedi a un ragazzo perché porti i capelli rasati di fianco e alzati sul capo come un panierino, ti dirà che fanno tutti così. Ma lo sai che questa moda della rasatura laterale vuole esprimere una rabbia militaresca ed è stata lanciata da Kim Jong, il piccolo grasso crudelissimo dittatore della Corea del nord? Mi si risponde con una alzata di spalle. Fanno pure ridere quelli che comprano a caro prezzo dei jeans pieni di strappi che imitano una finta povertà che piace soprattutto a chi povero non è. E che dire della moda delle scarpe a punta, (per fortuna ormai passata) che provoca deformazioni ai piedi? Il mito del piede piccolo nasceva in Cina dalla volontà di mostrare che una ragazza nobile e ricca non aveva bisogno di camminare. Andare a piedi era da contadine, per questo si torturavano i piedi fino a renderli inutilizzabili. Anche le scarpe a punta e i tacchi alti di oggi sono deleteri per un piede di donna che vuole camminare, correre, salire e scendere le scale. Ma se la moda lo chiede…

E che dire della barba lunga, spesso ingrigita, che gli adulti, soprattutto intellettuali, portano con disinvoltura? Sono stati i fanatici religiosi a cominciare. Per loro la barba è un simbolo di austerità e rigore morale. Il paradosso è che anche chi si dichiara laico e combatte i fanatismi, si fa crescere la barba. È la moda, e non ci posso fare niente, cara amica. Chi sa che il tatuaggio nasce nelle prigioni, come il linguaggio della pelle prigioniera? Erano gli analfabeti, i poveri schiavi che non sapevano né leggere né scrivere a parlare con le immagini del loro corpo. Il tatuaggio più ripetuto era la farfalla (ricordate Papillon?) o il gabbiano, che esprimevano il desiderio di attraversare le sbarre e inoltrarsi in un cielo libero. Anche una figura femminile o una barca dalle vele spiegate, parlavano della libertà perduta. Il corpo diventava la carta su cui si scrivevano i messaggi di un recluso infelice e solo. Come mai oggi ragazzi e ragazze, mai stati in prigione, si fanno infilare gli aghi nella pelle per imitare senza saperlo quei disperati segregati nelle carceri dei secoli scorsi? La moda si nutre di linguaggi segreti e memorie perse, e racconta una fragilità senza rimedio. L’arroganza sta nel ripetere un rito senza conoscerne le origini, per cieca allusione a una sofferenza non propria, come il crocifisso scintillante su un petto di donna, come l’anello infisso in una palpebra o sul labbro a memoria di una lontana schiavitù.


sabato 1 aprile 2017

MA COS'E' L'AMERICA DI OGGI?



Donald John Trump è un potente imprenditore, capace soltanto di accumulare denaro ed esercitare potere. Divenuto progressivamente insensibile ad ogni sensibilità umana, pensa soltanto in termini di dominio e agisce in prospettive di gretto malcelato egoismo individuale. Pronto a strumentalizzare intere generazioni, per celebrare la propria presunzione di onnipotenza, che vorrebbe genuflessa ai suoi piedi l’umanità. Del tutto incapace a prevedere le conseguenze pratiche delle sue azioni.

S’è trasformato misteriosamente in politico ed è divenuto il 45º presidente degli Stati Uniti d'America dal 20 gennaio 2017.

Non è forse opportuno ripensare ad Alexis De Tocqueville? E meditare come è stato visto da alcuni uomini di pensiero responsabile e ponderato?

"Non è affatto un ammiratore soddisfatto della società americana: nel suo intimo conserva una gerarchia di valori che assume dalla sua classe, l'aristocrazia francese”(Raymond Aron).

Diviso fra ammirazione e inquietudine per la democrazia e devozione e sollecitudine per la libertà, il dissidio egli lo portava dentro di sé(Norberto Bobbio).

La Democrazia in America, il miglior libro mai scritto sugli Stati Uniti, si basava su un viaggio durato non più di nove mesi(Eic Hobsbawn).

I moderni teorici della democrazia politica non sono interessati alla fondamentale condizione sociale di uguaglianza che Tocqueville aveva in mente(Ralf Dahrendorf).



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INVOLUZIONE DI UN CONCETTO. CORRUZIONE DI UNA PRATICA


Per “Politica” si è intesa – sin dalle culture più antiche – una concezione di indiscusso contenuto etico, generalmente appannaggio di persone probe e di chiara moralità anche privata.

Di conseguenza, la pratica della “Politica” era pensabile solo come attività da affidare solo a delle personalità capaci di “guidare” la “città” soprattutto grazie al patrimonio morale della loro vita coerente ed onesta, tale da essere esempio a tutti e, massimamente alle nuove generazioni: la politica era, quindi, la maestra e l’educatrice dei popoli e dei singoli, che apprendevano così le tradizioni virtuose e i valori fondamentali mirati alla reciproca crescita globalmente umana. 

Tali personalità, ovviamente, venivano richieste di dedicare un po’ della loro vita alla cosa pubblica: ed esse accettavano coerentemente ai loro principi di “servizio”. Mai avrebbero rivendicato un proprio “diritto di fare politica”, e tanto meno di costituire la “classe politica” esperta e capace.

Dopo il servizio “regalato” alla propria comunità, si ritiravano senza nulla pretendere, soddisfatti solo di “aver fatto politica”: e così contenti, assistevano alla vita pubblica della loro “città” guidata da altre persone ugualmente idonee e disponibili a “regalare un pò della loro vita alla cosa pubblica: ed esse accettavano coerentemente ai loro principi di servizio”. 

Chissà su quale pianeta sono andati a finire questi uomini veri, destinati dalla storia a vivere in tempi in cui era possibile una vita umana e sociale veramente a dimensione d’uomo!