Vale la pena dedicare alcuni
minuti, per leggere e riflettere su alcuni stralci della “Opinione”, che Maurizio
Ferrera ha pubblicato sull’odierno “Corriere della Sera”, con l’auspicio che
sia fatto oggetto di un sereno “dialogo” fra cittadini europei.
L’EUROPA NON È SOLO BUROCRAZIA di Maurizio
Ferrera
Le elezioni europee del prossimo maggio avranno
luogo alla fine di un vero e proprio «decennio orribile» per la Ue. Prima
il terremoto finanziario importato dagli Usa, poi quello del debito sovrano. La
Grande Recessione, con i suoi costi sociali. E, ancora, gli attentati
terroristici, la crisi dei rifugiati, lo tsunami dell’immigrazione, la Brexit.
Un’inedita sequenza di choc, che hanno fatto vacillare le fondamenta
dell’Unione. Eppure l’edificio non è crollato. Al contrario, sono stati
intrapresi alcuni passi verso una maggiore integrazione economica, avviando un
delicato percorso di condivisione dei rischi. Non si è fatto abbastanza, certo,
e su alcuni fronti (ad esempio la dimensione sociale) si è persino tornati un
po’ indietro. Ma nel suo complesso l’Unione ha saputo resistere alle enormi
tensioni. Anche se insicurezza e paure non sono scomparse, la stragrande
maggioranza dei cittadini europei (Regno Unito escluso) ha recuperato oggi
fiducia nella Ue. A dispetto delle varie tempeste, quella che potremmo chiamare
l’«Europa di tutti i giorni» ha continuato imperterrita a funzionare (…).
Nel grande dibattito sulla Ue, nessuno considera
questa Europa di tutti i giorni. La ragione è semplice: fa così parte del
nostro mondo che abbiamo smesso di percepirla. Siamo diventati come i «bambini
viziati» di cui parlava il filosofo spagnolo Ortega y Gasset negli anni Trenta
del secolo scorso. Così come la democrazia liberale, diamo ormai per scontata
anche l’Europa integrata: i suoi benefici, le sue opportunità quotidiane. Della
Ue i media e i politici parlano in genere come un’entità astratta e lontana,
tendono a vederne gli aspetti che non funzionano. Per sentire parole di
apprezzamento e ammirazione dobbiamo attraversare i confini esterni, entrare in
contatto con chi vive sotto un regime oppressivo (…).
Sottolineare la vitalità e i pregi dell’Europa di
tutti i giorni non significa disconoscerne i difetti come sistema
istituzionale. Al contrario, è una ragione in più per dispiacersene e per
spronare chi ci governa a correggerli. Ortega y Gasset diceva che sono proprio
le élite a dover difendere tutto ciò che i «bambini viziati» danno per
scontato. I sondaggi rivelano che esiste ancora un vasto potenziale elettorale
per un rilancio del progetto d’integrazione. Le indagini sugli orientamenti
delle classi politiche nazionali sono meno confortanti. A questo livello
prevale una percezione «strumentale»: la Ue è un bene solo se è vantaggiosa per
il proprio Paese, è un sistema di regole da usare finché conviene. Non lo
dicono solo i leader sovranisti (che giocano a fare i «bambini arrabbiati») ma
anche segmenti importanti dei popolari e, seppur in misura inferiore, di
socialisti e democratici. Le prime comunità europee furono create da Padri
Fondatori responsabili e lungimiranti. La Ue di oggi sembra invece un’orfana
lasciata a se stessa.
L’infrastruttura dell’Europa di tutti i giorni ha
dato prova di robustezza e può procedere col pilota automatico. Ma non a
lungo. In vista delle elezioni di maggio, abbiamo un disperato bisogno di élite
capaci di far leva sul tessuto «banale» di connessioni a livello economico e
sociale per smorzare i conflitti politici. Servono nuovi leader che emergano
dal basso, espressione di quelle maggioranze silenziose che si trovano a
proprio agio in una Unione sempre più stretta. E che proprio per questo
vorrebbero che la Casa Europa diventasse meno litigiosa, più solida e
resistente alle inevitabili intemperie della globalizzazione.
Maurizio Ferrera
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