Si esprimono queste riflessioni, con l’ausilio del
pensiero e della testimonianza di personalità del passato, non per una comoda cautela
nell’esprimere palesemente nostri convincimenti personali e nemmeno con la mira
d’accattivarci il consenso altrui, bensì perché possa sollecitare efficacemente
la riflessione critica e la valutazione serena di molte situazioni, in cui oggi
si vive, in Italia e non solo. Per questo richiamiamo il pensiero di Platone e
di Cicerone: il primo, voce esperta e autorevole della cultura greca; il
secondo, audace testimone e solutore acuto di non poche crisi della vita
politica della Roma del suo tempo; entrambi contrari a forme governative di
natura autoritaria e favorevoli a forme, che oggi chiameremmo democratiche.
Premesso che le forme di governo di quei tempi
avevano senso, modalità e nomi diversi da quelli odierni, si possono, tuttavia,
individuare alcune concezioni e alcune funzioni comuni a quelli dei nostri
giorni: come “sovrano e sudditi”, “governanti e governati”, “giustizia sociale e
libertà individuale”, “diritti e doveri”, cioè, alcuni capisaldi d’ogni
dottrina politica, morale privata, etica pubblica, convivenza civile. Ora, nel
quadro politico delle nazioni e degli stati odierni si dà quasi per scontato – eccetto per i governi
palesemente tirannici e dittatoriali - che i governi siano generalmente ispirati
a “democrazia”, in quanto di dà per acquisito che la fonte e la garanzia d’ogni
autorità sia il “popolo” nelle modalità più disparate.
Platone, già due millenni e mezzo or sono, manifestava
molte perplessità sulla democrazia, poiché dubitava della reale capacità del
popolo “governato” di dettare con saggezza e di controllare con giustizia l’azione
dei governanti. E documentava il suo atteggiamento con due considerazioni
d’ordine generale. Primo, ogni sistema democratico – come testimoniano i fatti
della storia - è destinato o a corrompersi in demagogia (oggi si direbbe
“populismo”) o a far germinare nel suo stesso seno la “malerba della tirannia” (oggi molto
diffusa, anche se in modo camuffato e sfrontatamente negato). Secondo, il
popolo è un’astrazione; nella realtà è un insieme eterogeneo di soggetti, che
vanno formati con responsabilità per tutto il corso della loro esistenza e
orientati saggiamente nelle diverse congiunture. E rimane sempre, comunque, un
attore fallibile, come dimostrarono largamente le vicende occorse al suo
maestro Socrate, il quale - primo vero martire della democrazia - fu condannato a morte, ufficialmente per le
accuse (infondate e smentire) di corrompere i giovani e di incitare
all’ateismo, ma in realtà perchè politicamente nemico della democrazia appena
nata in Atene. Fu condannato da giudici designati democraticamente proprio dal
popolo, il quale però, riconosciuto subito dopo il proprio errore, condannò e
punì gli stessi giudici che prima aveva ritenuto capaci e competenti.
A questo punto il filosofo greco cerca di trovare i
motivi per cui il popolo, che ha tanto lottato per conquistare la democrazia, fa
quasi di tutto per farsela strappare. E ritiene di giungere a questa
conclusione: “In un ambiente, in cui il maestro
teme ed lusinga gli scolari e gli scolari non tengono in alcuna
considerazione i maestri; in cui tutto si rimescola e si confonde; in cui chi
comanda, (per poter comandare sempre di più), finge di mettersi al
servizio di chi è comandato e ne blandisce tutti i vizi, per poterli
sfruttare meglio; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati
soltanto dalle rispettive convenienze nelle rispettive tolleranze (…) la
democrazia, per sete di libertà e per l’incompetenza dei suoi capi, precipita nella
corruzione e nella paralisi. Allora la gente si
separa da coloro, cui attribuisce la colpa di averla condotta a tale disastro e
si prepara a rinnegarla: prima coi sarcasmi, poi con la violenza. Così la democrazia
muore: per abuso di se stessa. E prima che nel
sangue, nel ridicolo (La Repubblica, cap.
VIII). In questo senso
Platone si rivela molto moderno: i giovani vogliono apparire più preparati
degli anziani e spesso pensano che con l’urlare dimostrano la maggiore validità
del proprio pensiero; gli alunni spesso deridono gli insegnanti, i quali, per
non esser considerati troppo autoritari e fuori moda, accontentano le loro
richieste, non preoccupandosi di trasmettere loro cultura sostanziata di valori
e di regole. Gli alunni, invece, che si mostrano ligi ai doveri nel rispetto
delle norme, vengono esclusi dal gruppo, divenendo talora vittime di bullismo.
Ogni popolo – si sentenzia - ha il governo che si merita. E’ probabile.
Ma, se ciò è vero, è molto più vero che ogni popolo è il risultato dell’educazione
umana e della formazione politica, che i governanti gli hanno consentito
d’acquisire. Ciò che è certo ce lo documenta la storia: in tutti i tempi molti
potenti sono sorti e si sono retti sulla “ignoranza” dei cittadini, ai quali
viene negata tutta o in parte la verità. Populismi e statalismi nascono e si
sostengono sulla progettata carenza di cultura del popolo. Di conseguenza, quando un cittadino non è tempestivamente
educato al senso d’appartenenza e al sentimento di solidarietà corresponsabile,
accade che, mirando solo a vivere bene, non s’interessa più al bene comune, ma
al bene proprio anche a danno dell’altro. Perdendo la propria libertà, in
quanto divenuto “schiavo” del suo egoismo asfittico.
“La libertà – interviene, infatti, Cicerone - non
consiste nell'avere un padrone giusto, ma nel non averne alcuno” (De Re Publica, II, 23). Non avere
alcun padrone significa, però, essere padroni di se stessi, sviluppando, controllando
e gestendo ogni dimensione propria dell’essere umano. E questo richiede la
formazione dell’uomo e del cittadino. L’uomo non nasce essere umano, ma lo
diventa gradualmente mediante lo sviluppo della propria personalità in tutti i
suoi aspetti, primo fra tutti il senso della socialità, cioè del bisogno
dell’altro per una vera completa umanità. L’altro non sminuisce né frena la
nostra totalità, anzi è l’elemento necessario grazie al quale possiamo dirci ed
essere partecipi del genere umano.
Il bambino nasce nella famiglia, cresce nella
famiglia e nella scuola, si prepara ad affrontare la vita nella società. La
adulterazione di uno di questi ambienti comporta, di necessità, la carenza di
umanità nell’adulto futuro. Per non cadere nel gioco dello scaricabarile, è
sufficiente che ciascun ambiente adempia al suo compito. Certo, dovremmo
immaginare famiglia, scuola, società ideali, e l’ideale non è e non può mai divenire
reale. Ma l’ideale è la forza motrice
dell’agire umano, in quanto indica e illumina, regolandola, la meta verso cui dirigersi.
Forse, oggi, queste tre istituzioni basilari indicano ben altri ideali. E l’uomo
e l’umanità marciano verso di essi, il cui esito finale è difficile prevedere.