DEMOCRAZIA - PARTITI POLITICI
- SOVRANITA’ POPOLARE
Pubblicato su "IUNCTUTAE"
Il quadro
ideologico e il panorama della situazione politica italiana non sono certo rassicuranti;
lo scenario presentato dalle condizioni sociali ed economiche dei cittadini è
davvero preoccupante. Le offerte formative e le pianificazioni operative della
maggior parte degli attori politici appaiono piuttosto deboli e inadeguate, attente
per lo più a questioni settoriali e di breve respiro, pur nella loro indiscutibile
intrinseca importanza; anche la vita interna dei partiti politici non invia messaggi
confortanti di responsabilità collettiva né fornisce esempi di atteggiamenti
costruttivi; la libertà dei cittadini risulta sostanzialmente limitata, povera,
talora perfino negata nella vita reale. Vacillano fondamenti importanti della
vita privata e pubblica, anche se ben consolidati dalla tradizione. Il ritmo
delle richieste di trasformazioni è divenuto così frenetico e caotico da
impossessarsi dell’animo dei cittadini, i quali, di conseguenza, discutono acriticamente
e frettolosamente tutto, senza prendersi il tempo giusto per riflettere, valutare
e scegliere. In tale situazione caotica, perciò, mancano le condizioni necessarie
per una chiara visione complessiva dei problemi, idonea a trovarne soluzioni
assennate e utili. In simili momenti difficili vengono meno il controllo delle volontà (con
cui solamente si preserva il senso della concretezza() e il dominio sugli
istinti dell’egoismo e del rancore (con cui solamente si salvaguarda la
lucidità della razionalità). In questi ultimi anni, invece, le menti dei
cittadini sono offuscate e le loro coscienze sono smarrite, poiché assistono,
al posto del dialogo civile e del confronto politico, a scontri passionali e a lotte
funeste: come, la dissennata denigrazione delle autorità statuali, i furiosi
tentativi di delegittimazione degli istituti governativi, l’assalto impulsivo
al potere legislativo del Parlamento, denunciato di dilettantismo e da qualche
parte minacciato apertamente di inevitabile estinzione per la presunta sua inconcludente
inefficienza.
Per un futuro auspicabile per
il nostro Paese s’impone la necessità d’una pausa di riflessione pacata e
positiva, al fine di restaurare l’unità degli
spiriti e ripristinare le difese naturali della rettitudine morale, della libertà
sociale e dell’etica politica. Qualità, queste, garantite soltanto dalla libertà
di pensiero e dall’autonomia di giudizio morale critico. Quando, infatti, lo
spirito partitico arriva a prevalere su questi punti, emerge allora cupo e minaccioso
il fanatismo dei singoli e dei gruppi, con tutte le sue nefaste conseguenze. La
crescita della vita delle società e degli Stati è, ovviamente, il risultato anche
del progresso sociale e dell’avanzamento culturale dei popoli, i quali non
vanno guidati faziosamente e, peggio, violentemente fomentati, ma tempestivamente
educati e saggiamente formati, affinchè diventino un insieme di cittadini operosi,
corresponsabili e coerenti, cioè un ‘popolo’. Questo compito formativo è
affidato a tutte le agenzie formative: dalla famiglia alla scuola, dall’associazionismo
laico e religioso ai partiti politici, dagli Enti Locali a tutte le Autorità
governative e statuali.
Nel perseguimento di quest’opera
di formazione sociale e politica del popolo è sempre sottesa una concezione
generale di uomo, di società e di stato. Ora, da tempo ormai non si possono più
invocare strutture sociali e ordinamenti statuali ispirati esclusivamente alle
dottrine d’un collettivismo acritico, astratto e per certi aspetti irrealizzabile:
ne deriverebbero inevitabilmente l’assolutizzazione della società e dello
Stato, l’immolazione della concretezza delle individualità singole e degli organismi
sociali intermedi, premessa rischiosa di svolgimenti pubblici ambigui e
d’imprevedibili esiti totalitari. Ma non sono ugualmente i tempi delle altrettanto
teoriche rivendicazioni delle dottrine liberali e dell’ottimistico dominio
dell’economia liberista: l’entusiastica idolatria del mito del libero mercato,
profeta invocato di benessere individuale e collettivo, ha già generato gravi situazioni
d’ingiustizia sociale disumana e d’intollerante assoggettamento culturale.
Il cittadino
delle democrazie contemporanee, di fatto, non è né il ‘socialista’ devotamente sottomesso,
né il ‘liberale’ osservante senza riserve, e nemmeno il testimone d’una presunta
‘democrazia popolare’. L’odierno cittadino democratico, in realtà, è un
individuo indifferente al valore delle virtù umane, sordo al richiamo degli
ideali etici, insensibile alle istanze dei doveri sociali e politici. L’uomo
democratico, con cui bisogna fare i conti oggi, in concreto, è sorretto e
motivato unicamente dalla categoria del tornaconto privato, da raggiungere esclusivamente
mediante l’astuto calcolo dell’interesse personale, prevedibile con certezza nello
scambio da proporre o da valutare o da accettare. Del resto, già Alexis de
Tocqueville aveva tratteggiato i connotati di questo moderno cittadino: insofferente
d’ogni regola e disciplina; convinto sostenitore della spontaneità della natura
e soprattutto dell’umanità; ottimistico profeta dell’autosoluzione d’ogni congiuntura;
paladino eroico della singolarità d’ogni uomo, ritenuta unica titolare d’ogni diritto
senza alcun corrispettivo dovere. E’ necessario, pertanto, indagare la
possibilità d’una concezione, che conduca a una democrazia autentica e umana,
che superi, cioè, da una parte l’idolatria dello stato e, dall’altra parte, il
calcolo combinato di interessi privatistici. Si tratta di ricercare una cultura,
che concili in armonia le diversità, evitando le opposte pericolose soluzioni
dell’omologazione e dell’esclusione, in un contesto di condivisa solidarietà.
Il ‘popolo’
italiano, tutto considerato, potrebbe essere già ben incamminato per questa
strada, grazie alla visione dell’uomo, su cui è fondata la Costituzione
Repubblicana, nella quale il cittadino è valutato come persona integrale in sé e
solidale con gli altri. Siccome in questi ultimi
decenni essa è stata dimenticata, talora anche svilita, spesso chiamata in
causa solo reclamarne la revisione e addirittura la riscrittura, forse sarebbe
utile approfondirne almeno alcuni valori e principi sottesi, tenendo nella giusta considerazione che essi sono il risultato della
collaborazione delle tre grandi anime culturali, che hanno contribuito
alla ricostruzione fisica e morale dell’Italia dopo la guerra: l’anima socialista,
quella liberale e quella cattolica. Si tratta di alcuni articoli, in cui si statuiscono
in primo luogo la centralità della persona umana nell’organizzazione dello
Stato in tutte le sue attività e, in secondo luogo, un sistema di
partecipazione sociale ed economica ispirato a solidarietà nazionale e
internazionale.
Per quest’ultimo
aspetto, basta rileggere e ripensare i vari ambiti, in cui sono chiamati i
cittadini a operare come singoli e come popolo. In primo luogo, il
lavoro, fondamento della Repubblica Democratica Italiana, considerato sì come
rapporto economico, ma rivendicato anche e soprattutto come valore umano e
sociale; quindi, non come criterio di appartenenza a una delle classi sociali,
ma come diritto di realizzare la propria vita personale (artt. 1 e 4) e di
ottemperare, come cittadini, ai “doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale” nell’ambito della nazione (art. 2) e nel contesto
internazionale (art. 10). La solidarietà viene estesa, poi, a orizzonti sempre più
vasti, fino a farli coincidere con i confini del mondo: l’Italia, “in
condizioni di parità con gli altri Stati, consente alle limitazioni di
sovranità necessarie” per realizzare “la pace e la giustizia fra le Nazioni”
(art. 11). D’importanza non meno rilevante è, ancora, il riferimento al
principio di solidarietà, richiesto proprio dalla dignità dell’uomo, a
proposito della tutela della salute, dichiarata “diritto fondamentale dell’individuo
e interesse della collettività” (art. 32) e, infine, nella dichiarazione del diritto
di una “scuola aperta a tutti” (art. 34).
Il
rispetto della persona umana, a sua volta, dev’essere esteso a tutti i
cittadini, in quanto “hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3). Essi, inoltre,
come unitario popolo italiano, sono gli unici titolari della sovranità nazionale.
E’ importante, allora, ripensare – specialmente in questi ultimi tempi - le
motivazioni e le finalità inerenti agli articoli 49 e 67, in cui è sancita con
chiarezza la forma di democrazia, che i Padri Costituenti hanno progettato: in Italia la democrazia non poteva essere né doveva divenire
oligarchia, ma rimanere sempre e comunque “governo del popolo”, che andava
posto nelle condizioni concrete di esercitare la propria sovranità in modo continuativo
e in ogni occasione, e non soltanto il giorno del voto; si stabilì, allora, la norma del voto libero, uguale, personale e segreto, grazie
al quale ogni cittadino, in possesso dei diritti richiesti, in condizione di
libertà e di uguaglianza, può (e deve) eleggere il suo rappresentante, che legifererà
per delega in ogni situazione particolare, ma sempre nella prospettiva dell’interesse
dell’intera Nazione. In concreto i Costituenti immaginarono e stabilirono la
libera formazione e la responsabile operosità dei partiti politici. Il
combinato disposto degli articoli 49 e 67, pertanto, potrebbe costituire la
chiave di lettura di tutto il tessuto strutturale della democrazia italiana: “Tutti i cittadini – è scritto nell’articolo 49
- hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale”; ovviamente mediante il proprio
eletto, il quale, sancisce l’articolo 67, “rappresenta la Nazione ed esercita
le sue funzioni senza vincolo di mandato”, essendo il suo mandato di natura
esclusivamente politica.
Il partito politico, quindi, nelle intenzioni dei Costituenti, è la
struttura politica realizzabile in ogni luogo dell’intero territorio nazionale,
in cui i cittadini partecipano e discutono idee, proposte, iniziative, per
formulare progetti di scelte politiche. Da ciò scaturiscono gli elementi
costitutivi del partito politico, cioè: libertà di associazione, pluralità di associazione,
adozione del metodo democratico nella vita organizzativa interna d’ogni partito
e nei rapporti tra di loro e nei confronti con tutti i cittadini, libero contributo
di ciascun partito per determinare la politica nazionale. La ragion d’essere
dei partiti è la formazione della coscienza politica dei cittadini, che dovranno
scegliere tra i più meritevoli i propri “rappresentanti”. In concreto tutto ciò
è affidato alle disposizioni delle leggi ordinarie e particolarmente a quelle
che disciplinano le competizioni elettorali. Se questo modello costituzionale
fosse attuato, si creerebbero situazioni, in cui i dibattiti di idee e le proposte d’iniziative operative fra tutti i
cittadini porterebbero sicuramente al “libero concorso” di tutti nella
formazione delle scelte politiche nelle diverse istituzioni della Repubblica
nell’ossequio dei tre poteri “sovrani”: legislativo, esecutivo, giudiziario.
Nella realtà odierna ciò non succede. Ed è facile comprendere che, se i partiti
non vivono nell’alveo delle regole democratiche, ma si trasformano in comitati
d’interessi particolari, se non addirittura personali, allora, tradendo la
Carta Costituzionale, diventano organizzazioni oligarchiche, guidate (e talora
dominate) da gruppi dirigenti preoccupati di conservare la propria posizione egemonica.
Sarà inevitabile, allora, che siano i dirigenti di partito a controllare
l’accesso di nuovi ‘tesserati’, ovviamente non sempre veramente degni e capaci
Ma questo è la negazione della democrazia popolare, perché si spezza l’anello
che lega la sovranità popolare alla democrazia dei partiti e questa alla
democrazia delle istituzioni pubbliche. E’ il trionfo della partitocrazia,
corruzione pessima della democrazia. La situazione della democrazia italiana oggi
è sotto gli occhi di tutti. Aldo Moro nel 69,
nel pieno di un grave sconvolgimento del sistema politico, avvertiva: «Questa
crisi va fronteggiata, rendendo acuta la sensibilità dei partiti, aperta la
loro azione, ricco di riflessione e di adesione il loro modo di essere nella
realtà sociale. Non si tratta, dunque, di annullare i partiti, ma di renderli
consapevoli del limite che scaturisce da una più grande ricchezza e vivezza
della vita sociale. Riconosciuto, però, il limite, nel quale del resto è
implicita una straordinaria occasione di arricchimento e di umanizzazione,
dev'essere fermamente riconfermata la ragion d'essere dei partiti, il loro
naturale pluralismo, la dialettica democratica della quale essi sono parte, la
loro distinzione, la loro polemica, il loro convergere come il loro contrastare».
Non è compito della filosofia
prevedere se e quando si possano superare e vincere errori e distorsioni. La
filosofia può solo additarli e indicare la via meno incerta della verità
politica. Ma tutto presuppone una trasformazione culturale radicale e un audace
ritorno alle fonti vere dello spirito anche della Carta Costituzionale. Il
compito tocca tutti indistintamente, come uomini e come cittadini: nessuno può sottrarsi
alle proprie responsabilità, che richiedono coraggio, azione e lotta, ripudio
d’ogni forma di neutralità e accettazione di una parte da sostenere.
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