L’uomo è da sempre alla
ricerca della sua dimensione esistenziale. Individuo catapultato a caso nei
vortici assurdi d’una realtà ignota e incomprensibile, oppure esistente partecipe
d’un cosmo ordinato e razionalmente governato? Individuo collocato accanto ad altri
individui, tra loro estranei e addirittura in lotta continua tra loro per il
predominio o per la sola sopravvivenza, oppure persona protesa per sua natura verso
altre persone, tutte in uguale tensione alla reciproca integrazione? Vale a
dire, gli uomini sono singolarità intrinsecamente indipendenti e diverse oppure
individualità autonome sì, ma anche aperte agli altri, col cui ausilio ciascuno
realizzerà la propria realtà e il proprio progetto esistenziale? Insomma, cos’è
veramente l’essere umano in sè e per sè? In che rapporto stanno gli uomini e il
mondo, il singolo e gli altri, l’individuo e la società.
L’uomo
ha sentito sempre il bisogno di trovare risoluzioni adeguate e soddisfacenti a questo
problema; e, al fine di soddisfarlo, ha fatto ricorso a procedimenti logici, s’è
servito della ragione e delle sue argomentazioni, ha invocato il sostegno
dell’esperienza e l’autorevolezza della tradizione. E, tuttavia, ha trovato raramente
risposte veramente appaganti. La sete conoscitiva dell’uomo, infatti, non
s’estingue con i risultati del solo intelletto, ma esige il coinvolgimento e il
sostegno della totalità della natura umana. Spesso, invece, l’uomo si limita a
ragionare, s’aggrappa all’evidenza della sola logica astratta, ricorre a congetture
personali, formulate secondo parametri soggettivi. Ma ogni realtà va scrutata e
accettata così com’essa si mostra oggettivamente. Ora, anche le dimensioni vere
della sociabilità dell’uomo non pare possano attingersi con la sola
razionalità, ma necessitano della totalità della natura umana e, quindi, senza
facili e comodi ricorsi a eventuali realtà sovrumane e soprannaturali.
L’uomo,
allora, ponendosi da questa prospettiva e avvalendosi dell’ausilio d’ogni risorsa
a sua disposizione, s’intuirà come immerso in una realtà dialettica, di cui dovrà
cogliere e accogliere anche innegabili contrasti e opposizioni. Si sentirà,
infatti, partecipe d’un universo multiforme e armonico, ma nello stesso tempo pervaso
da strane inspiegabili contraddizioni e da assurde incongruenze. All’uomo,
però, manca talora l’ardire di guardare in faccia questa realtà con la
distaccata freddezza, necessaria per coglierne e accoglierne le verità ch’essa
svela e che, quindi, l’uomo non può farsi a modo suo, ma deve solo accettare nella
cruda oggettività, compresi, quindi, anche i tratti incomprensibili e gli aspetti
persino misteriosi. Proprio come si comporta l’uomo saggio al cospetto del sole
splendente nel cielo: egli non argomenta nè congettura nè dimostra la presenza
del sole, si limita solo a sollevare gli occhi, guardare, narrare quello che gli
si presenta davanti. Dovrebbe essere questo il comportamento da tenere anche
riguardo la realtà del mondo e dell’umanità: conoscere veramente il mondo
significa accoglierlo nella sua integralità costituita da finalità proprie, palesi
o celate.
A
fondamento d’ogni scelta teoretica e d’ogni opzione etica si deve preporre,
quindi, innanzitutto una concezione antropologica e socio-politica globale e integrale,
entro cui trovi e abbia senso il problema delle responsabilità, che ricadono
sui singoli, sui popoli e sull’umanità intera. Di conseguenza, gli uomini debbono
optare non solo e non tanto per alcuni valori anziché per altri, ma debbono prima
e soprattutto ricercare e accogliere con responsabilità una concezione chiara e
condivisibile di uomo e di mondo, su cui fondare e giustificare il senso delle scelte
storicamente concrete: si tratta, quindi, d’una scelta preliminare e globale.
Ogni
scelta storica, infatti, interessa indubbiamente il destino del singolo, ma
nello stesso tempo coinvolge anche le sorti dell’evoluzione del mondo e la qualità
della vita della società di cui è parte e, in prospettiva cosmopolita, dell’intera
umanità. Questa naturale vocazione alla responsabilità verso l’altro (inteso
come cosmo e come umanità) non può essere né affidata agli umori dei singoli né
lasciata in balia degli interessi dei popoli e nemmeno delegata all’arbitrio di
eventuali governanti non sempre animati da autentico spirito umano. Si
rischierebbero molti pericoli. Per questo s’impone la necessità d’un’adeguata “legislazione”,
cioè d’un insieme saggiamente strutturato di principi e di precetti, che determinino
il fine verso cui indirizzare ogni iniziativa, definendone tempi e modalità
d’attuazione. Il compito delle leggi e delle norme, infatti, è di indicare
l’ideale, cioè di orientare verso il “dover essere”, vero regno dei fini, cui gli
uomini possono ragionevolmente e debbono moralmente aspirare. Le leggi e le
norme non limitano né condizionano, ma salvaguardano e concretizzano libertà e
dovere del singolo, moralità ed eticità delle nazioni e dei popoli. I diritti e
i doveri così sanciti non provengono, quindi, dall’esterno della natura e della
storia dell’uomo, bensì risiedono dentro di esse e ne sono elementi costitutivi.
Ora,
è certo che non si può mai misconoscere e tanto meno trascurare il legame, che
unisce norma e morale, diritto ed etica; è un nesso essenziale, che s’impone,
però, con maggiore forza in tempi, in cui nelle scelte dei singoli e negli
orientamenti dei popoli e delle nazioni, prevale talmente l’affannosa ricerca
dell’interesse dei privati e dei gruppi che restano sovrastati e talora addirittura
annichiliti il naturale sentimento dell’altruismo e la coscienza delle comuni responsabilità.
In questi periodi è più che mai necessario rinverdire, se non addirittura
rifondare, una concezione dell’uomo il più integrale possibile, evitando chiusure
concettuali preconcette e aprendosi a comportamenti ispirati alla vera dignità
dell’uomo.
Infatti,
concezioni parziali, anche se legittime, sarebbero insufficienti e, quindi, necessariamente
non del tutto esatte ed esaustive. Non pare, perciò, possano ritenersi accettabili
le teorie dell’individualismo e del collettivismo, che considerano l’uomo
rispettivamente o individuo autosufficiente ed egocentrico (quasi atomo
insignificante d’un mondo caoticamente strutturato) oppure parte significativa
solo nel necessitante nesso col tutto (quasi tessera d’un immenso misterioso
mosaico cosmico). Non sembra fuor di luogo, pertanto, il suggerimento di ripensare
le proposte antropologiche e socio-politiche avanzate da dottrine ”integrali “
antiche e contemporanee e di diversa matrice culturale, quali il pensiero umanistico
di Erasmo da Rotterdam e del latitudinarismo in generale, l’induismo di Mahatma
Gandhi aperto al buddismo e al cristianesimo, il personalismo cattolico soprattutto di Emmanuel Mounier e di Jacques Maritain, il
principio di responsabilità degli ebrei Huns Jonas e Emmanuel Lévinas, ovviamente
senza disattendere le esigenze espresse anche dalle contemporanee teorie della
filosofia sia continentale che analitica. L’obiettivo finale cui aspirare è di
ritrovare quelle motivazioni etiche prima che giuridiche, capaci di offrire
vitalità nuova alla convivenza pacifica e costruttiva tra gli uomini, in una
rafforzata visione del dovere civile e morale dell’impegno anche politico, che
incombe su ogni uomo e, in primo luogo, su chiunque scelga di dedicare – a tempo
e comunque finchè ne sia richiesto - le sue energie al governo della cosa
pubblica.
Ecco, a
questo punto, l’urgenza di affiancare al politico di professione una nuova
generazione di politici “di vero e solo servizio”, che possano convivere, nella
reciproca stima, con i primi. Si tratterebbe di persone dedite ordinariamente
ad un mestiere o a una professione, che scelgono di dare la propria
disponibilità per un loro impegno nella politica attiva e, qualora ne sia il
caso, di assumere impegni, in cui porre a disposizione di tutti le proprie
competenze ed esperienze, ma sempre con il formale e pubblico impegno ad una
partecipazione “solo a tempo” nelle istituzioni.
Sembra ormai
inevitabile che una politica, che si proponga d’essere espressione di valori
fondati sull’innegabile primato della persona umana, debba riprendere con
urgenza indicazioni di elevato spessore umano e sociale, tali che innalzino il
livello del confronto politico, spostandolo dalla mortificante combinazione di
interessi materiali alla più vasta visione di obiettivi di portata generale,
capaci di orientare la condivisione e la partecipazione anche di tutti i
cittadini. Per questo è richiesta la presenza di personalità d’indiscussa
esperienza, in grado di individuare gli interessi reali sottesi alle varie
proposte politiche, dedicandosi con saggezza e prudenza alla ricerca di soluzioni sempre aggiornate
dei problemi specifici, ma nello stesso tempo tenendo sempre presente che
bisogna costruire nuove stagioni di rifioritura etica e sociale nella vita sia
tra i cittadini e sia tra e nelle
istituzioni. E’ un progetto certamente faticoso, ma è forse l’unico per ridare senso alla partecipazione del “cittadino”
all’impegno pubblico per il bene comune. E’ una proposta che richiede spirito
di fiducia e di speranza: si tratta di gestire il presente, ma senza rimanere oppressi dalla logica dell’imminente; è questo
che si richiede a una società efficacemente partecipativa nelle vicende reali
della vita comune. E soprattutto nei nostri giorni, quando la crisi dell'etica pubblica
è sotto gli occhi di tutti.
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