Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

domenica 20 dicembre 2015

SOLITUDINE INTERIORE E VERTIGINE ESISTENZIALE


Pausa di solitudine “interiore”: indefinita densa profonda. Momenti interminabili d’uno smarrimento totale, insospettato. Angosciata sospensione di tutto, strana misteriosa interruzione di realtà. 

Non la riflessione distaccata sull’origine del proprio esserci, o la ricerca appassionata del come del proprio esistere, o la struggente inquietudine d’indovinare la destinazione della propria vita. E neppure il dolente rimuginare i pochi o molti rapporti più o meno sinceri e disinteressati o calcolati o falsi intercorsi nel tempo. E nemmeno il rimembrare le passate vicende: belle e gratificanti oppure tristi, frustranti, talora quasi fatte e destinate per il peggiore andamento della vita. 

Forse importante, ma certamente penoso, è il bisogno d’intrattenersi mestamente con se stessi, per poter prendere atto della realtà del naturale evolvere della vita cosmica in generale e umana in particolare, che inesorabilmente ha un inizio, uno svolgimento, un termine, secondo una propria inarrestabile ciclicità esistenziale, dall’incomprensibile criterio. Non meno angosciosa è la voglia di confortarsi, magari con un malinconico sorriso di auto-commiserazione e di rassegnata auto-sopportazione; momentanea è anche l’illusione di sostenersi, rannicchiandosi in un’inerte accettazione di tutto il passato e in una spenta disponibilità a partecipare a qualunque accadimento futuro. Non si sente neppure lo stimolo a tentare almeno di non sentirsi e di non viversi fuscello di paglia in balia d’un arcano destino. Nessun impulso a tentare d’evitare di dover concludere che tutto è soltanto coincidenza o casualità o addirittura caos.  

Ma .... “toccarsi concretamente” quasi con mano nel fondo della propria realtà, intuirsi profondamente nel proprio nucleo esistenziale senza alcuna mediazione di ragionamenti o sentimenti o volontà, verificare inesorabilmente che colui che si sta quasi toccando con mano, che si sta intuendo identico a sè, che si sta constatando realmente e con sicurezza come un esistente vivente già nel passato, nel presente come pensante all’oggi ma nel tentativo anche d’intuire un qualche flusso premonitore del futuro … è proprio lui!

Lui, ora, da solo, unico come identico a se stesso e necessariamente diverso e diviso da ogni altra realtà: lui che vive come gettato - insieme al tempo - nel cosmo universale, immerso nell’infinità che scorre ora dolcemente ora crudelmente verso un’eternità agognata ma ignota, sperata ma spesso evanescente, forse anche del tutto inconoscibile. Solo; con tutto ciò che è stato e ha fatto. Intuirsi, allora; e viversi nell’assoluto isolamento da tutto e da tutti.

Dichiararsi pronto a riconoscersi serenamente e accettarsi eroicamente come l’unico vero protagonista della propria vita, per cui può e, qualora ne sia il caso, deve dare conto di se stesso solo a se stesso: mai, allora, potrà ingannare la sua intelligenza né circuire la sua coscienza. Per questo diventa ormai pronto ad accogliere tutto ciò che è successo nello scorrere del tempo, sorridendo del bene che gli occorre alla memoria, rammaricandosi del non bene che potrà aver fatto, addolorandosi di qualche eventuale male, di cui però non ricorda nulla in particolare, che spera non sia esistito, ma che sa, qualora l’avesse fatto, che può correlarlo sicuramente alla sua buona fede, perché è sempre stato del tutto estraneo al suo modo di vivere ogni intenzione malevola o malefica. 

Solitudine interiore. Vertigine da panico. Enorme. Dapprima angosciante con tremore, poi immobile e serena, infine dolce e benevola: tutto, allora, acquista colore e valore. Momenti sublimi: godersi pacificamente, pacatamente, piacevolmente la calma morale che rinvigorisce, l’alito della speranza che vivifica, la brezza dell’entusiasmo che ristora. E gradualmente “toccarsi concretamente” quasi con mano come esistente pervaso da senso, da serenità, perché purificato da ogni scoria colpevole o innocente d’un passato vissuto tra speranza e disperazione, tra amore e odio, tra fatica e passione, tra entusiasmo e depressione. Da essere umano.

 

IL “TERRORISMO” ISLAMISTA INTERROGA LA “CULTURA” OCCIDENTALE

Pubblicato su Affaritaliani il 25.11.2015

Dagli ultimi violenti attacchi terroristici sferrati contro Paesi europei da parte dell’autoproclamato Stato Islamico è trascorso un periodo di tempo sufficiente, perché si possano fare riflessioni attente e valutazioni obiettive, lontano da immediate commozioni umane e al riparo da comprensibili, ma fuorvianti passioni di parte. Questi episodi sono stati definiti da Obama un “attacco al mondo civilizzato”, mirando a coinvolgere non solo l’intero l’Occidente, ma anche e soprattutto la Russia; nello stesso tempo, però, ha fatto riemergere il singolare e ibrido connubio tra Roosevelt, Stalin, Churchill, contro i terrori nazifascisti del secolo scorso. Ovviamente con alcune differenze significative: la Germania e l’Italia erano Nazioni con una propria identità statuale, mentre gli odierni movimenti fondamentalisti islamici ne sono privi, benché siano stati presenti per quasi tutto il secolo scorso, opponendo resistenza al colonialismo e all’imperialismo occidentali, fino a dare origine a un vero  e proprio “nazionalismo arabo”, animato da crescente ostilità contro la presenza militare e l’influenza economico-culturale dell’Occidente.  

Ogni forma di terrorismo, compreso quello dell’Isis, professa e diffonde una propria visione dell’uomo e del mondo, con convinzioni e valori propri, con propri obiettivi sociali e politici; cioè ha una sua “cultura”, anche se da altri considerata sbagliata e pericolosa, perchè ideologica e utopica. Ma l’utopia per sua natura è, in ogni caso, sempre nuova e rivoluzionaria. Proprio per questo la chiave di lettura delle barbarie perpetrate dall’islamismo fondamentalista non può essere “la banalità del male” denunciata come causa del totalitarismo nazista da Hanna Arendt, cioè l’incapacità di ragionare con la propria testa, la mancanza di idee e di valori, l’appiattimento etico della società di massa. Oggi il fondamentalismo terroristico – e non solo religioso e nemmeno solo islamista – necessita d’una sua interpretazione, nuova e  storicamente veritiera, al fine di trovare adeguate soluzioni radicali ed efficaci.

Ora, i movimenti  terroristici – soprattutto quello islamista – vengono propagandati come progetti d’abbattimento dei valori essenziali del mondo “civilizzato occidentale”: libertà, uguaglianza, democrazia, solidarietà, economia di libero mercato. Ricercarne le ragioni – si sostiene - in cause politiche o socio-economiche di diversa natura, sarebbe del tutto sbagliato e deviante, in quanto le vere connotazioni d’ogni terrorismo sono proprio l’irrazionalità e l’assurdità. A ben riflettere, però, forse non è così; non si può mistificare la realtà e sostenere con superficialità che l’obiettivo unico del terrorismo è un assurdo attacco al modo di vivere delle civiltà democratiche, per cui si urla: “non ci faranno cambiare le nostre abitudini”. Nel terrorismo, invece, ci sono intelligenza e razionalità. Bisognerebbe conoscere obiettivamente la storia della millenaria cultura araba e valutare con rispetto la non facile evoluzione del mondo musulmano; o, almeno, bisogna non omettere ciò che il suo mondo ha sofferto anche recentemente negli anni ’90 con la guerra del Golfo, quando è stato colpito nell’essenza profonda della sua civiltà e nella sacralità della sua religione: la potenza economico-militare occidentale ha soverchiato e umiliato il fragile mondo arabo-islamico, e si persino insediato nei suoi territori. Da qui la discutibile propaganda che il mondo islamista vuole vendicarsi di tutto ciò, già a partire dall’attentato dell’11 settembre. Forse, però, più che come una vendetta, bisognerebbe vedere una reazione comprensibile (anche se discutibile) contro una situazione vissuta come occupazione, se non del tutto militare, certamente ideologica e culturale, con cui si vuole modernizzare i suoi territori, iniziando processi di democratizzazione e trasformando, quindi, anche le strutture socio-economico-politiche.

Il mondo occidentale deve imparare meglio a condividere – onestamente e senza calcoli di alcun tornaconto - le diversità, senza la presunzione di detenere ogni verità e felicità, che deve dare a tutti, usando anche la forza con chi non le volesse. Il mondo islamico non intende né tollerare protettorati ormai eccessivi, né subire processi imposti di democratizzazione, né condividere innovanti atteggiamenti etici non richiesti. Non sopporta, soprattutto, di dover accettare e rispettare frontiere territoriali segnate e imposte loro da potenze straniere (l’Occidente avrebbe dovuto imparare qualcosa dalla caduta del muro di Berlino). Insomma, il modello culturale dell’Occidente non deve imporsi, ma deve  aprirsi agli altri modelli culturali, compreso quello culturale arabo; e dialogare con tutti, disponendosi con sincerità anche ad ascoltare e accogliere ogni altro mondo. Emblematico diventa ciò cui s’è assistito in piazza san Marco per i funerali “laici” della giovane Valeria Solesin. In prima fila sedevano congiuntamente il laico Presidente Mattarella, il musulmano Imam, il cristiano-cattolico Patriarca, l’ebraico Rabbino.

L’Occidente – si dice – è in guerra, ma vincerà, conserverà la sua libertà, difenserà i suoi valori. Bisogna chiedersi: in guerra contro chi e per quali obiettivi? Contro il terrorismo islamista, forse? Ma è difficile a capirsi, sapendo quanto è successo qualche giorno fa al G20 di Antalya in Turchia. Più delle tematiche finanziarie all’ordine del giorno, l’incontro affronta il tema del terrorismo: “"Una minaccia per tutti noi", da contrastare "sia dal punto della sicurezza che dal punto di vista finanziario" esordisce il presidente turco Erdogan. Ma dopo, a chiusura dei lavori, Putin, da politico scaltro, denuncia apertamente davanti a tutto il mondo, “Isis è finanziato da individui di 40 Paesi membri del G20”, mettendo in grande imbarazzo lo stesso re dell’Arabia Saudita, Salman, che poco prima aveva tuonato contro i “terroristi diabolici da sconfiggere”, ma che ora veniva additato apertamente come uno dei massimi finanziatori dell’Isis. A chiarire la mente è intervenuta in queste ore la crisi Turchia-Russia per l’abbattimento dell’aereo russo. Vladimir Putin ha definito l’abbattimento “una pugnalata nella schiena da parte dei complici dei terroristi”; osservatori internazionali avvertono: ora “La Turchia mette l’occidente davanti a un bivio”.

E’, quindi, veramente strano (e soprattutto preoccupante) ascoltare Governanti che seminano ottimismo e certezza di trionfo sui nuovi barbari provenienti dall’Oriente. Proclamano libertà e sicurezza, quando nello stesso tempo i cittadini di molti Paesi si sentono sotto assedio e senza alcuna libertà di camminare per strada, vivere nel proprio mondo di lavoro, trascorrere qualche ora libera in luoghi tranquilli. Fare proclami di superiorità culturale, ostentare sicurezza, diffondere infondato ottimismo è facile; ma i popoli hanno paura. Anche perché le guerre sono decise dai pochi ricchi e potenti, ma sono combattute dai molti poveri e deboli. Se si vuole eliminare, o almeno controllare, la guerra, basterebbe che i pochi potenti si sedessero intorno a un tavolo e si imponessero almeno una moratoria per la costruzione e vendita di armi. Ma cosa farebbero le industrie belliche, tutte, nessuna esclusa?

ETICA PUBBLICA E DEMOCRAZIA

Pubblicato su Affaritaliani il 13.11.2015

“I cittadini, cui sono affidate funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”, sancisce l’articolo 54 della Costituzione Italiana. Non si può fare a meno, pertanto, di rimanere increduli e di riflettere con ponderatezza sullo scenario, che in questi ultimi giorni offre la realtà quotidiana della politica italiana e in quali situazioni il popolo è costretto a vivere. Quello che da qualche decennio s’impone alla constatazione di tutti nell’attività politica non riguarda un’astratta teoria del rapporto morale-politica, ma l’imprescindibile necessità di dignità morale e di decoro istituzionale, che deve avere chiunque voglia esercitare “funzioni pubbliche”, e che oggi il cittadino non riscontra facilmente nella concretezza quotidiana. E ciò non pone un problema limitato e circoscritto (anche se importante), ma coinvolge la qualità istituzionale dei governi e il destino quotidiano del tenore della vita dei cittadini. Ad avvertirne l’ampiezza e l’urgenza era già stato Enrico Berlinguer nel 1977, quando durante un’intervista puntò il dito contro i rischi derivanti dall’incompetenza e dall’immoralità della classe politica dirigente: “La questione morale, nell'Italia d'oggi – affermò - fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano (…). Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude”. 

Non è necessario uno sforzo particolare per verificare come la classe dirigente italiana negli ultimi decenni è andata perdendo a poco a poco la consapevolezza che le sue scelte non possono essere dettate da meschini tornaconti privati e nemmeno da interessati calcoli di partito, ma che debbono essere decisioni e risoluzioni dalle dimensioni nazionali, per cui necessitano di un robusto corredo di morale pubblica, sostanziata e alimentata da responsabilità e interesse generale. Proprio per questo è assurdo assistere allo spettacolo odierno, in cui apparati dello Stato e Istituzioni di Governo Locali – sotto l’apparente, ma obbligato rispetto - si criticano reciprocamente, gettando discredito su atti e fatti e demolendo ogni criterio di comprensione e di valutazione da parte del cittadino, che così perde ogni figura di riferimento etico e politico. Ma la moralità nell’azione politica non è questione di “divisione di poteri” né di militanza di destra o di sinistra, ma riguarda tutti come cittadini e reclama da tutti il “buon costume” proprio dei benpensanti. 

Davvero preoccupanti, allora, sono gli atteggiamenti di governo nazionale, regionale e persino comunale sempre più ispirati a idee monocratiche e “centralizzate”, sminuendo e addirittura misconoscendo il ruolo degli organismi sociali intermedi. Appena qualche giorno fa a Firenze, Papa Bergoglio avvertiva che “la società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media”; e metteva in guardia dalla tentazione di abusare del potere, “anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale”. Invece, nell’attuale politica italiana trionfa pericolosamente sempre di più la vecchia discutibile tecnica del trasformismo, per cui, pur di raggiungere i propri obiettivi particolari, ci s’accontenta di racimolare il numero di voti di volta in volta necessario, indipendentemente da valori e intenzioni. E’ il trionfo del trasformismo incondizionato, dettato dalla legge dell’unico profitto politico e del successo a qualunque costo, ovviamente sempre sotto le vesti d’un “potere utile e funzionale” per il bene di tutti gli italiani. E’ superfluo avvertire che questo modo di agire politico si fonda su un’idea autoritaria e accentratrice del potere: non al servizio del bene generale, bensì al perseguimento della vittoria della prossima consultazione elettorale.  

Nutrire queste preoccupazioni non significa pensare e agire da uomini schierati o di parte. Si tratta solo di dover vivere preoccupati una politica locale e nazionale fatta da pochi protagonisti, senza il consenso richiesto da una vera democrazia e, quindi, senza radici nella realtà sociale dei cittadini. Questo indica una sostanziale riduzione di democrazia, che si riverserà negativamente sulla stessa classe politica: i cittadini, accorgendosi che a contare sono sempre e solo quei pochi, che s’accordano sempre e che comandano comunque, si allontaneranno  dalla politica, andranno a  ingrossare le file del più numeroso partito nazionale, quello dell’astensionismo elettorale e dell’indifferentismo. E nasce un’inquieta percezione. Siccome su certi princìpi non si può accettare alcun compromesso, non si sottovalutino l’intelligenza e la responsabilità dei cittadini italiani, i quali non si fanno certo intimorire da atteggiamenti di falso potere e di forza accigliata. Non si vada troppo oltre la vera democrazia, perché “Ci sono uomini nel mondo – recita Liu Ji, da una favola cinese del 1300 - che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più”.