Pubblicato su Affaritaliani il 25 maggio 2016
Nel maggio dell’anno
scorso, su iniziativa
del
mensile de “L’Osservatore Romano” Donne
Chiesa Mondo, nella Casina Pio IV in
Vaticano,
s’era celebrato un seminario
internazionale di tre giorni (28-31 maggio)
sul tema riguardante i diritti umani e la
salvaguardia della dignità della donna. I partecipanti erano tutte donne, ma a
relazionare erano stati chiamati due uomini, “persone competenti ed
appassionate”. Dall’articolato e ricco dibattito vennero fuori testimonianze interessanti
e proposte coraggiose, che furono riassunte in tre ambiti problematici:
a) la violenza sessuale subìta e vissuta con vergogna
da parte della donna, b) il comportamento della famiglia di
fronte all’emancipazione femminile, c) la definizione
della nuova identità della donna.
Trascorso
un anno, il 3 maggio scorso, il Segretario di Stato
Vaticano, cardinale Pietro Parolin, la coordinatrice della rivista Lucetta Scaraffia e la sorella di Bose Elisa Zamboni hanno presentato - ufficialmente e solennemente nella sala della Filmoteca Vaticana a
Palazzo San Carlo - il medesimo
mensile Donne
Chiesa Mondo, che compiva quattro anni di vita e veniva
arricchito di contenuti nuovi e
di rinnovata veste tipografica.
Venti giorni
dopo, su proposta di Anelay of St Johns, ministro e
rappresentante speciale del governo britannico per la prevenzione della
violenza sessuale nei conflitti, l’ambasciatore di Gran Bretagna presso la
Santa Sede ha organizzato, con l’aiuto del Pontificio Consiglio della Giustizia
e della Pace, un seminario per discutere della violenza sessuale, primo ambito
emerso dal seminario tenuto l’anno precedente e dolorosa emergenza causata
soprattutto dalla crescente belligeranza tra le nazioni.
“La riunione – sottolinea
con sofferta amarezza e attenta precisazione Lucetta Scaraffia - si è svolta a porte chiuse, in un luogo
appartato di Roma, perché molte delle religiose e dei religiosi coinvolti
rischierebbero la vita, se si sapesse cosa fanno. E comunque si è capito che la
rischiano ugualmente. È infatti molto
pericoloso cercare di difendere le donne in Paesi dove domina incontrastata
la guerra civile, che comporta una violenza continua e inesorabile: un
cappuccino congolese ha parlato di trecento donne violentate al giorno solo
nella sua regione. È una realtà
terribile, di cui non si parla molto, oppure vi si accenna solo per dire “è
sempre stato così”. E ancor meno si parla di chi cerca di porre rimedio a
questa tragedia”.
A
conclusione dei lavori del seminario sono stati suggeriti e sottolineati alcuni rimedi immediati e
indispensabili, per contrastare la violenza sessuale a danno delle donne. Innanzitutto la produzione d’una
legislazione seria, ferma e decisa contro l’impunità diffusa dei violentatori: infatti, la prospettiva d’una punizione del
colpevole certa, sicura e ben proporzionata al misfatto, se non scoraggia del
tutto l’aggressività dei molestatori, almeno incoraggia la donna a denunciare,
superando e vincendo il senso di colpa, che quasi sempre s’addossa, rimanendone
attanagliata. In secondo luogo, l’impegno
necessario per unire gli sforzi da parte di tutti, al fine di dare vita –
in questi tempi caratterizzati da movimenti di rivendicazione dei diritti
d’ogni natura e a ogni livello - a ogni possibile iniziativa capace di trasformare,
con gradualità e continuità, la visione culturale spesso carente dei valori peculiari
della persona umana e della donna.
A
giusta ragione il ministro britannico ha predisposto un protocollo - firmato da
140 Paesi
– in cui sono contemplate e dettagliatamente spiegate le istruzioni per l’avvio
delle indagini e per la protezione dei testimoni e delle donne disponibili a
denunciare. Il protocollo si pone anche come un ottimo strumento offerto agli avvocati e ai giudici,
perchè affrontino un problema al quale,
per ovvi motivi, non sono stati preparati.
Per
ora il protocollo riguarda i casi di violenza perpetrati nei paesi divenuti
teatro spesso stabile di guerre oppure in nazioni devastate da frequenti conflitti civili
fratricidi fatti anche di funeste politiche di pulizia etnica. Questo, pur attirando giustamente
l’attenzione su ciò che succede quotidianamente in luoghi alquanto “lontani”, non può e non deve distrarre l’interesse per
quanto accade in luoghi a noi “vicini”. Le donne, infatti, subiscono
violenze fisiche e morali anche nel chiuso dei muri domestici di “amorevoli
case”, nelle strade popolate di “civilissime città” e spesso da parte d’individui
insospettabili che, da uomini “per bene e di cui fidarsi”, si trasformano in esseri
perversi e snaturati, privi d’ogni sensibilità e schiavi d’istinti brutali.
Pertanto,
è dovere universale di solidarietà umana e di giustizia sociale unire in un unico
potente impegno
le forze di tutti gli esseri umani, al fine di debellare l’inciviltà contro le
donne e di lottare per la salvaguardia dei loro diritti umani e, in primo luogo,
della loro dignità di persona. Gli incontri realizzati grazie anche
all’iniziativa del mensile Donne Chiesa Mondo hanno scoperto un piccolo lembo della coltre che
copre una realtà tanto disumana quanto trascurata. Infatti, la narrazione e la
conoscenza di tante coraggiose esperienze, di tante vite eroiche, sinora quasi
sempre sotterrate dal pudore personale e imprigionate dal timore sociale, sono
state l’occasione che ha messo in luce l’immagine almeno d’una parte di umanità,
che vuole schierarsi dalla parte dei più deboli, ai quali la frenesia del
profitto economico, la brama del potere politico e la sordità morale d’interi
paesi hanno tolto persino la voce, con cui poter denunciare soprusi patiti e difendere
elementari diritti negati.
In
primo luogo, pertanto, urge l’impegno comune per una radicale trasformazione
culturale,
che faccia capire - agli uomini e anche alle donne – che la donna è una persona appartenente al genere umano e, quindi, con
gli stessi diritti umani, con la stessa dignità e con il medesimo dovuto
rispetto; e lo è sempre, anche quando –
disgraziatamente – è stata deturpata nel corpo e dissacrata nell’anima; essa
resta sempre persona che ha le carte in regola, per vivere da elemento attivo della
propria società e da parte vitale della comunità umana. Anzi, diventa persona
più degna, perché più provata; più meritevole, perché più sperimentata; più
amabile, perché riconsacrata. Nella
storia secolare dell’umanità, quella della donna è una storia a sé e registra lunghe ed
estenuanti lotte per rivendicare e ottenere il riconoscimento almeno
dell’uguaglianza di genere, per lungo tempo sopraffatta e negata dalla
prepotenza ottusa del genere maschile.
Prevenire,
impedire, difendere, punire debbono essere, quindi, i cardini d’ogni valida
iniziativa di rieducazione permanente al rispetto reciproco di tutti gli
esseri umani e, quindi, anche della donna. A cominciare dalle famiglie, a
continuare con la scuola, a proseguire con le istituzioni nazionali e gli
organismi internazionali