Nel discorso rivolto agli studenti della LUISS oggi
pomeriggio (lunedì 23 marzo), il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha
parlato a tutto campo, optando con decisione per la tattica dell’attacco
generalizzato. Non s’intende assolutamente mettere in dubbio la sincerità delle
convinzioni del premier, che del resto ha chiesto la copertura dello stesso
Montesquieu, né d’altra parte si ha
intenzione (almeno per il momento e per la natura e le finalità di quest’intervento) di entrare nel
merito del molteplice e notevole operato del suo governo. Ma solo alcune
precisazioni, per evitare che la vivacità della parola e la forza trainante
della retorica nascondano pericolosi fraintendimenti.
A ciò spinge anche l’ammonimento lanciato dal
filosofo-psichiatra austriaco Victor Emil Franckl: “L’uomo non agisce solo per
ciò che è, ma diviene anche per ciò che fa” e, ovviamente, anche per il modo
con cui lo fa: e vale sia per i singoli individui che per i popoli interi. Le
modalità con cui si decide una scelta, quindi, sono fondamentali soprattutto
oggi, nell’attuale società, dominata dall’insicurezza e dall’incertezza, per
cui è apprezzabile un atteggiamento ispirato a decisionalità. Decisionalità che,
però, non va confusa e tanto meno identificata con il decisionismo, alimentato
dalla tentazione di prendere decisioni in maniera rapida, senza la necessaria
ponderazione e, soprattutto, senza adeguate consultazioni, ostentando spesso
eccessiva sicurezza in se stessi, che fa rimanere chiusi nella logica del
proprio pensiero e non fa ascoltare nessun altro interlocutore. Per cui si
pensa d’avere sempre ragione, convincendosene sempre di più con il ripeterselo.
La decisionalità è davvero efficace solo e quando si sostanzia della
ponderatezza ragionevole, del dialogo disponibile, della responsabile
previsione d’ogni possibile conseguenza nel medio e lungo termine, dell’onestà
intellettuale di riconoscere propri eventuali errori e dell’umiltà morale di
porvi rimedio. Tutte qualità difficili a trovarsi simultaneamente in uno stesso
uomo e in una medesima situazione.
Quando il premiere afferma con convincimento per
noi sospetto: “Deriva autoritaria è il nome che tali
commentatori un po' stanchi danno alla loro pigrizia”, sembra confondere la “legittimazione
a prendere decisioni” con le modalità proprie di quel sistema politico
“democratico” che concede tale legittimazione. E certi procedimenti nel
prendere decisioni segnano un confine sottilissimo con il decisionismo, che fa
riemergere paure di sistemi non proprio democratici. Non sempre di “pigrizia”,
quindi, si può trattare, ma talora forse di quella saggia esperienza, che già
il vecchio e scaltro Cicerone attribuiva come prerogativa all’età avanzata (che
mai avrebbe pensato di “rottamare”, ma certo di fruirne!).
E
così suscita preoccupazioni l’altra affermazione del premier: "Se consentiamo di stabilire un
nesso tra avviso di garanzia e dimissioni, stai dando per buono il principio
per cui qualsiasi giudice può, non emettere una sentenza (che sarebbe anche
comprensibile), ma iniziare un'indagine e decidere sul potere esecutivo". Esatto.
Ma ci si sarebbe aspettato che il premier, nel rivendicare giustamente la
“centralità della politica”, avesse aggiunto - con franca onestà e autentica
libertà di pensiero - che la dignità del mondo della politica e la trasparente
intaccabile moralità del politico, da parte loro, non dovrebbero dare mai adito
alla magistratura di “dettare l’agenda dei governi”.