Che la vita concreta ormai insediata e stabilizzata sul globo terrestre sia determinata dalle dimensioni dell’uomo “democratico” è un dato ormai indiscutibile e, quindi, acquisito e accettato da quasi tutti i protagonisti della storia attuale.
Forse meno condiviso è l’altro fatto pure indiscutibile: cioè, che il problema delle relazioni internazionali deve scegliere tra due posizioni, cioè quella del cosmopolitismo e quella del realismo o dello statismo.
Il cosmopolitismo rivendica la pari dignità di ogni essere umano, in qualunque parte del globo abiti e a qualunque idea aderisca: caduti i confini geografici e demolite le dighe ideologiche, l’uomo può veramente vivere dimensioni universali di uguaglianza giuridica e di diritti politici.
Lo statismo rivendica la sovranità di ciascuno stato, che ha il compito fondamentale di difendere la propria identità e la propria sovranità.
Ora, è facile comprendere come il cosmopolitismo in realtà si riduce a semplice dichiarazione di buona volontà: dal momento che lo Stato è la fonte del diritto, senza uno “stato” non c’è concreta possibilità di uguaglianza e di libertà. E così, d’altra parte, è evidente l’astrattismo di ogni stato che pretenda di difendere sempre e comunque la sua individuale identità, dimentico che l’evoluzione del mondo globalizzato ha dei risvolti radicali in campo economico, politico e culturale.
Si può immaginare un cosmopolitismo che si confronti con i problemi reali della legalità e della politica e, nello stesso tempo, di uno statismo che si apra a confronti nuovi e più realisticamente efficaci?
Non si dimentichi, comunque, che nel frattempo l’umanità desidera e attende il riconoscimento concreto e l’attuazione pratica di diritti uguali e di dignità a vera dimensione di uomo!
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