L’insicurezza è uno dei compagni inseparabili dell’essere umano: essere razionale e mortale. Nasce insieme a lui; e insieme a lui vive sino all’ultimo istante di vita.
Essa può essere la nemica dell’entusiasmo nel pensiero e nell’azione dell’uomo; ma può essere anche uno dei migliori suoi consiglieri, che lo guidano per la via della prudenza e della saggezza. In ogni caso è, comunque, causa di disagio diffuso e fonte di sofferenza continua e profonda.
Lo stato esistenziale della vita umana è “contingenza”: contingenza, però, che in sé non è né incertezza né dubbio. Dal momento della sua nascita, l’uomo esiste e vive: catapultato in una realtà a lui ignota e, quindi, contingente, egli deve affrontare un viaggio attraverso vicende che lo “sommergono” in una fittissima rete di rapporti e relazioni necessariamente contingenti, siano essi particolari che universali. Ogni uomo deve dire a se stesso: “Mi scopro esistente, ma intuisco benissimo che avrei potuto non esistere; e così, non so se, d’ora in poi, potrò decidere di continuare a esistere oppure di cessare d’esistere”.
L’insicurezza s’insinua in ogni angolo dell’animo umano; e s’insinua sempre, senza alcuna interruzione. L’uomo, evocato dal suo “nulla” con un atto cui lui non ha minimamente partecipato, si ritrova in situazioni assolutamente imperscrutabili: non gl’importa se sia stato un momento d’evoluzione o di creazione; egli non si rassegna a rimanere mistero a se stesso. Messe da parte le risposte, che gli hanno suggerito tante volte e spesso anche autorevolmente, in conformità alle profonde esigenze del suo spirito razionale e libero, sfidata e vinta ogni tentazione di paura o d’angoscia, dominato ogni senso di panico, dà l’avvio a un duro e delicato cammino di ricerca, durante il quale spera possa approdare a qualche conclusione “umana”.
Emerso dal suo nulla, s’intuisce tuttavia connotato da alcuni caratteri, che lo individuano e lo identificano: si sente uguale solo a se stesso; diverso da tutto e da tutti; solo, con un suo compito esclusivo, che solo lui può realizzare. Unico; ma non isolato; con una missione esclusiva che solo lui deve e può attuare, ma immerso in un ordine cosmico, di cui si sente parte e, quindi, necessitato a unirsi in una totalità, che tutto attua, proprio mentre conserva l’irripetibile individualità delle singole parti. Un’unità totale che non nega, anzi, richiede le unità particolari: non in nessi dialettici, ma in relazioni di storico realismo e di esistenziale operosità.
Ecco l’intimo “dramma” dell’uomo. Nelle vicende della sua vita non può e non deve avere sostegni necessari, ma ne sente il bisogno; né saprebbe chi e che cosa potrebbe essere un “sostegno” vero e costruttivo. Ragiona e parla; razionalizza e urla; si chiude e precipita nel dubbio; si arrende e lo assale una tragica malinconia, che distrugge le radici del suo vivere; si stanca e dispera; piange e riprende a pensare.
Evita, però, sempre e comunque, di ridursi alla banalità, perché la vita (cioè il tempo) passa, ma lui non vuole “passare”. Non perché ha paura di ritornare nel suo “nulla”, ma perché si sente fatto per la vita che dura e non finisce mai, che non finirà mai. Ecco perché vuole vivere il Tutto: per rimanere con e nel Tutto.
Rimane sempre presente, però, l’insicurezza: compagno inseparabile dell’uomo. Compagno bello, proprio perché costitutivo della natura dell’uomo.