Pubblicato su “Presenza Taurisanese”, anno XXXVIII, n. 8, agosto /
settembre2020, pp. 10-11]
A Quintino Scozzi, appassionato ricercatore e studioso della storia di
Melissano, la spinta decisiva ad
affrettare i tempi e a intensificare gli sforzi nel portare a termine tanti dei
suoi lavori fu data da un avvenimento tanto paradossale quanto grave, in quanto
artefice ne era proprio la pubblica Amministrazione Comunale del momento [dei
beni culturali difensore per suo compito naturale e protettore per suo dovere
istituzionale], avallata dalla «massima indifferenza della popolazione [ugualmente colpevole e complice, perché
noncurante delle proprie memorie],
presa da ben altri interessi e soprattutto ignara del valore storico e artistico dell’antico monumento»[1].
Infatti, intorno al 1950 Quintino Scozzi aveva dovuto assistere – ancor giovane
e disarmato – all’abbattimento del trecentesco Castello appartenuto agli
Amendolia e dopo qualche decennio a Orso Minutolo, per giungere nel 1723 nelle
mani dei Conti Caracciolo. Pertanto, unica testimonianza superstite delle
origini del trecentesco Casale di Melessano
rimaneva la cinquecentesca chiesa parrocchiale dedicata al protettore
Sant’Antonio da Padova. Questa in seguito alla permuta decisa dalla Curia
Vescovile di Nardò, nel novembre 1978 era divenuta proprietà del Comune di
Melissano, il quale subito ne decretava – tra l’assoluta indifferenza dei
cittadini[2]
- la demolizione, onde ricavare spazi
per parcheggi. Quintino Scozzi, ormai uomo maturo e di un’apprezzabile cultura,
si muove presso tutte le Autorità competenti, - Soprintendente alle Belle Arti
di Bari, Vescovo di Nardò, Prefetto di
Lecce, Sindaco, Parroco e Cittadinanza di Melissano - perché fosse evitato
quell’oltraggio incivile e dissacratorio, e il 28 febbraio 1979 pubblica una Lettera Aperta, nella quale dichiara le
motivazioni del suo gesto: «Mosso –
scrive - da un sentimento fatto di
rispetto, di pietà e di venerazione, chiesi e chiedo ancora oggi alle Autorità competenti che l’antica chiesa
sia recuperata in tutta la sua interezza – in omaggio al passato al futuro, alla vita dell’arte – al culto dei
fedeli così come i padri l’affidarono ai loro figli. […]. Si provveda, dunque,
al restauro, col contributo di quanti hanno a cuore i monumenti onusti di
antichità e palpitanti di vita secolare»[3]. I
contenuti della lagnanza dettagliatamente documentata e l’afflato umano e religioso della perorazione conclusiva sono
incontestabile documento di raro senso civico e di profondo religioso rispetto
delle proprie radici morali ed etiche: «Quella chiesa – conclude lo Scozzi - che
in passato generazioni di melessanesi per educarli al bene e avvertirli che tutto viene, tutto passa , tutto ritorna a
Dio; quella chiesa accolse i vagiti dei neonati, le preghiere dei credenti, le
speranze dei giovani, la letizia degli sposi, i lamenti dei sofferenti; quella
chiesa, infine, in cui giacciono scheletri di lontani predecessori in
un’atmosfera ovattata di arcano silenzio, possa riprendere il suo antico
fulgore per continuare ad accogliere i figli dei figli in solenne, affettuoso,
materno amplesso»[4]. L’antico monumento fu
salvato e già da un quarto di secolo è divenuto la sede decorosa ed efficiente
del Centro Culturale a lui
intitolato, come è stato pubblicato su questo stesso Giornale[5].
Prima dell’inizio dei lavori per il restauro del monumento Scozzi non mancò di
tracciarne la storia e di descriverne l’esistente, comprese le cinque splendide
pale d’altare, di cui ora non è rimasta traccia[6].
Dedicatosi alla ricerca, allo studio e alla divulgazione d’ogni utile
documento inerente alle vicende storiche, ai costumi morali, alle consuetudini
sociali e alle tradizioni popolari di Melissano[7],
Quintino Scozzi spese le sue energie migliori nella stesura di due pregevoli
volumi, unici nel loro genere; il primo il già citato Un
Paese del Sud. Melissano del 1981 e il secondo La morale attraversi i detti popolari del 1987[8]. Nel primo ci consegna una ricca e
delicata tavolozza di 65 affreschi
narranti – in una lingua semplice ma accurata, appropriata ma scorrevole, mai
ricercata o ambigua - fatti e personaggi artefici delle tappe
dell’evoluzione del Paese, a partire dal XIV secolo fino ai suoi giorni. A
prevenire eventuali osservazioni da parte dei lettori, l’Autore formula
espressamente tre puntualizzazioni. La prima è un’apparente giustificazione, ma
in realtà è un modo discreto per sottolineare la fondatezza storica delle sue affermazioni;
scrive, infatti, «Perché il lettore possa avere la sensazione di compiere un
tuffo nel passato, ho largheggiato nelle citazioni, che hanno il potere di
ritrarre, per il loro contenuto realistico e la suggestività, gli avvenimenti,
le condizioni, le vicende, la vita , insomma, di un tempo che fu»[9]. La
seconda puntualizzazione riporta i lettori - soprattutto melissanesi e
salentini - dal “tuffo nel passato” alle responsabilità, che detta il presente
mediante la testimonianza e l’esempio di “tre
figli di questa operosa cittadina”. «Don
Quintino Sicuro, asceta dalla fede eroica; Ferruccio Caputo, martire delle
fosse ardeatine; Luigi Corvaglia, scrittore di elevato pensiero e critico di
vastissima cultura»[10]. La
terza puntualizzazione è rivelatrice di sentimenti intimi dell’Autore [che
sente, però, di non poter né tacere né camuffare] e, nello stesso tempo, del
dovuto rispetto per la coscienza religiosa dei Melissanesi [che in quegli anni
aggredivano le dottrine e contestavano le condotte predicate dalla Religione
Cattolica]. Scrive, infatti, «Convinto che la storia di un paese è fondata
anche sui sentimenti, sulla devozione, sulla tradizione, sulla fede religiosa
della sua gente e che l’eliminazione, anche parziale, della vita ecclesiale
equivarrebbe alla distruzione del patrimonio storico-religioso del luogo, ho
inteso descrivere tutti i fatti
riguardanti la vita della Parrocchia che è, appunto, quella del paese »[11].
Nel secondo volume Quintino Scozzi ci regala un prezioso mosaico di
448 tessere di elegante e mirabile fattura. In esso, infatti, si leggono,
suddivisi in gruppi (nell’ordine delle le lettere dell’alfabeto), 448 proverbi, ivi comprese alcune espressioni
dialettali e qualche frase metaforica. Per ogni proverbio viene riportata la
dizione in dialetto melissanese, la sua traduzione letterale in lingua
italiana, e un commento, in cui è conservato e tramandato il senso morale
intrinseco. Abbiamo, quindi, conservati e tramandati i modi di intendere e di
vivere propri del melissanese, oggi forse ignaro del valore degli insegnamenti
dei propri progenitori e all'oscuro delle sue radici sociali e morali. A
evidenziare i pregi di quest’opera, rimane l’autorevole giudizio del compianto
Donato Valli, che scrive all’Autore: «Ho letto con interesse e con divertita
adesione il Suo libro sui detti popolari melissanesi. Quel che più ha
sollecitato la mia curiosità di lettore non è la raccolta in sé (fenomeno oggi
molto diffuso), ma il garbato commento che accompagna i proverbi e che è
anch’esso documento di popolare saggezza conservatasi intatta attraverso il
mutare dei costumi. Al pari del proverbio descritto, il commento ci riporta al
tempo perenne dell’infanzia dell’anima, ai miti incorrotti della nostra cultura
contadina e paesana, ricca di semplicità, di fede, di certezze. E’ commovente
pensare come lei abbia saputo mantenere
intatto il bagaglio di tali valori:
prenderne coscienza significa anche contribuire alla salvaguardia dell’uomo»[12].
\Suonino di monito le parole pronunciate da papa Francesco il 14 giugno ultimo scorso: «E’ essenziale ricordare il bene ricevuto. Senza farne memoria, diventiamo estranei a noi stessi, passanti dell’esistenza. Senza memoria ci sradichiamo dal terreno che ci nutre, e ci lasciamo portare via come foglie dal vento. Fare memoria, invece, è riannodarsi ai legami più forti, è sentirsi parte di una storia, è respirare con un popolo»[13].
[1] Q. SCOZZI, Melissano. Il Circolo Vecchio. Lettera aperta del 28 febbraio 1979.
[2] Quintino Scozzi non hai scritto o proferito
verbalmente un giudizio negativo su fatti accaduti e da lui narrati o su enti e
persone coinvolte. L’unica eccezione è nel rilevare e documentare - davanti
alla decisione dell’amministrazione comunale di demolire lo storico monumento -
la totale indifferenza e
ignoranza del valore storico e culturale dell’antica chiesa patronale. Indignazione
lo mosse anche a a scrivere nei riguardi di di qualcuno, di cui mai rivelò il nome: «Quando si rimestano (senza
umiltà) argomenti già rimestati. Chi per
scrivere (o riscrivere) su Melissano, tragga, comodamente, notizie,
indicazioni, spunti, date eccetera (esumati dagli Archivi con infinita pazienza
e grandi sacrifici) […] è tenuto a citare per correttezza e serietà, i lavori consultati. Quanto sopra
in conseguenza di comportamenti vili, indecorosi (e perseguibili) tenuti da soggetto
in sfrenato delirio di grandezzaCommemorazione del Servio di Dio don
Quintino Sicuro, 1989, p. 9.
[3] Q. SCOZZI, Melissano. Il Circolo Vecchio. , Ibidem.
[4] Q. SCOZZI, Melissano. Il Circolo Vecchio. , Ibidem.
[5] C. SCARCELLA, L'antica
Chiesa Parrocchiale e il Centro Culturale 'Quintino Scozzi' - Storia di un
recupero, In «Presenza Taurisanese»,
, n. 310, aprile 2019, pp. 12-13.
[6] Q. SCOZZI,
Storia di una chiesa, Tipolito F.lli
Amato, Cutrofiano,1982; ristampata nel 1994 presso la Tipografia di Melissano.
[7] Si
ricordano i preziosi suoi interventi su aspetti specifici della storia di
Melissano degni di nota, accuratamente studiati e puntualmente pubblicati e
messi a disposizione dei suoi concittadini Leghisti
e fascisti a Melissano nel primo dopoguerra, Tipografia di Matino, 1983; Melissano
in alcuni documenti spagnoli del 1613, Tipografia di Matino, 1984; La grotta del SS. Crocifisso, Tipografia di Melissano, 1985; Notizie inedite su Melissano, Tipografia
di Matino, 1988; Commemorazione di don
Quintino Sicuro, Tipografia di Melissano, 1989; Note Melissanesi, Tipografia di Melissano, 198.
[8] Q. SCOZZI, La morale attraverso i detti popolari, Grafo 7 Editrice, Taviano,
1987.
[9] Q. SCOZZI, Un Paese del Sud. Melissano - Storia e
Tradizioni Popolari, Tipografia di Matino,
1981, p. 9.
[10] Q. SCOZZI, Idem, Idem, pp. 9-10.
[11] Q. SCOZZI, Idem, p. 9.
[12] D. VALLI, Lettera pubblicata nel volume di Quintino Scozzi, La morale, op. cit., p.3.
[13] PAPA FRNCESCO, in “L’Osservatore Romano” di lunedì, 15
giugno 2020.
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