Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

venerdì 2 ottobre 2015

LA LECTIO DI GALANTINO SU DE GASPERI

Pubblicato su Affaritaliani il 18 agosto 2015

La Fondazione Trentina “Alcide De Gasperi” ha invitato a tenere - domani martedì 18 agosto - la Lectio degasperiana 2015 su “La ricostruzione italiana. Il modello e l’esempio di Alcide De Gasperi”, il vescovo Nunzio Galantino, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana. Il prelato ha dichiarato che, dopo un’iniziale titubanza, ha deciso di accettare per due motivi: che “non è mai giusto sprecare occasioni di confronto e di riflessione” e per “il desiderio di poter rendere onore, come figlio di un antico militante democristiano nella terra di Giuseppe Di Vittorio e come vescovo, a un cristiano così libero e coraggioso come è stato Alcide De Gasperi”. Valide e nobili motivazioni. Come davvero significativa appare la scelta – per quanto è stato anticipato anche dalla stampa – dei tre “cardini” su cui verterà la sua dissertazione. Cioè: le istituzioni, ossia il rispetto delle Istituzioni e, in particolare, del Parlamento; il bene comune, ossia  l’ideale supremo dell’azione politica; la laicità, ossia la libertà dell’agire politico da ogni influenza ideologica, finanziaria e religiosa. Galantino porrà l’accento su questi tre aspetti rilevanti lasciati in eredità dal grande statista trentino, per cui emergerà sicuramente la figura di un De Gasperi quale costruttore tenace e convinto del sistema costituzionale italiano e quale infaticabile difensore delle scelte da lui operate sia come capo del suo partito e come Presidente del Consiglio dei Ministri.

I tre “cardini” sottolineati sono indiscutibilmente fondamentali. Ma, in considerazione anche delle ultime vicende che hanno visto coinvolti il vescovo e parte del mondo della politica, particolarmente rilevante sarà il tema della laicità della politica. Infatti, è di enorme rilevanza che la Chiesa italiana – per bocca dei suoi vescovi – riproponga il modello e la testimonianza di De Gasperi, e che voglia farsi promotrice di una ripresa della sua eredità anche cattolica. E’ un fatto positivo indiscutibile, di cui sembra esserci bisogno in questi nostri tempi di turbolenze ideologiche e di smarrimento etico. A patto che non si voglia  dimenticare (o anche solo sottacere) il coraggioso atteggiamento di Alcide De Gasperi nei riguardi anche del Pontefice e della Curia romana di quegli anni, segnati da grandi fermenti culturali e politici e impegnati nel difficile lavorio di ricostruzione materiale e morale dell’Italia. Non si può dimenticare, infatti, che nel 1952 Pio XII propugnò con estremo autoritarismo e con ogni forza un patto politico di tutti i cattolici, al fine di preparare, proporre, difendere e realizzare un programma mirante a preservare la Roma cristiana: “E' tempo – disse il papa - di scuotere il funesto letargo (…). E’ tutto un mondo che occorre rifare dalle fondamenta, che bisogna trasformare da selvatico in umano, e da umano in divino, vale a dire secondo il cuore di Dio”. De Gasperi si oppose e, insieme ai suoi compagni, influenzati anche dal pensiero di Jacques Maritain (peraltro già ambasciatore di Francia presso la Santa Sede) propugnò un partito politico e, quindi, uno Stato laico e aconfessionale. Ne seguirono comportamenti non certo adeguati alla gerarchia ecclesiastica. Dopo poche settimane, infatti, il Papa rifiutò di ricevere De Gasperi in udienza, in occasione del suo trentesimo di matrimonio e della professione perpetua della figlia suor Lucia. Il Presidente De Gasperi allora, umile ma fermo, credente cristiano ma uomo integrale, convocò l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, al quale dichiarò che come cristiano accettava l'umiliazione, ma come Presidente del Consiglio protestava e chiedeva spiegazioni a chi di competenza. Né in seguito si fece problema di ribadire al Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana, il 20 marzo 1954, che la DC non era un “partito confessionale, emanazione dell'autorità ecclesiastica”, e rimarcava, con convinta e realistica visione politica, la necessità storica di chiamare e coinvolgere al governo forze di altra ispirazione, unico mezzo per consolidare la nascente democrazia italiana. Come tutta risposta Pio XII ordinò alla “Civiltà Cattolica” di scrivere un articolo contro De Gasperi, precisando quella che doveva essere l’unica vera dottrina della Chiesa. Non a caso veniva sempre meno in quegli anni l’autorevole influenza all'interno del  Vaticano di mons. Giovanni Battista Montini, che si era speso per far retrocedere Pio XII dalla decisione di non ricevere De Gasperi; anzi, nel novembre 1954 mons. Montini fu allontanato dalla Curia e nominato arcivescovo di Milano, ma senza essere creato cardinale. A ciò pensò papa Giovanni XXIII con uno dei primi atti del suo pontificato.  Montini percorse tutte le tappe nella vita ecclesiastica fino ad accettare il gravoso “servizio pontificale”; mantenne costantemente ferrea fedeltà ai suoi doveri pastorali e intatta coerenza ai dettami della sua coscienza. Seppe riconoscere, stimare e frequentare anche “laici” saggi, onesti e anch’essi servitori degli uomini: basti ricordare, per esempio, l’amicizia con Aldo Moro e la frequentazione di Jacques Maritain. Non a caso, alla chiusura del Concilio Vaticano II, il papa Montini consegnò simbolicamente proprio al filosofo Maritain il messaggio indirizzato “agli uomini di scienza e del pensiero”, riconoscendolo così degno rappresentante degli intellettuali. Il Maritain, da parte sua, scriveva pochi mesi ne “Il contadino della Garonna”: “E’ stata ora proclamata la libertà religiosa. Ciò che così si chiama non è la libertà che io avrei di credere o di non credere secondo le mie disposizioni del momento e di crearmi arbitrariamente un idolo, come se non avessi un dovere primordiale verso la Verità. E’ la libertà che ogni persona umana ha, di fronte allo Stato o qualsiasi altro potere temporale, di vigilare sul proprio destino eterno, cercando la verità con tutta l’anima e conformandosi ad essa quale la conosce, e di ubbidire secondo la propria coscienza. La mia coscienza non è infallibile, ma io non ho mai il diritto di agire contro di essa”. 

Se ciascun uomo non a il diritto di agire contro la propria coscienza, nessuno potrà imporre atteggiamenti che non siano prima capiti, accolti e condivisi. Non esiste “autorità” che possa dettare idee e prescrivere comportamenti. Soprattutto chi ha per proprio mandato la cura delle anime. E’ questo un insegnamento degasperiano che non può rimanere all’ombra delle celebrazioni teoriche e tanto meno delle strumentalizzazioni di parte. Si può costruire qualcosa di vero e di utile per tutti solo col dialogo rispettoso e argomentato, e giammai con la forza della irritazione, anche se fortemente sollecitata e ispirata al meglio. Si può contribuire a “ricostruire” la vita italiana - anche politica - con la fermezza nei propri convincimenti e con la fedeltà al senso del proprio compito, e non necessariamente ricorrendo allo scontro e all’offesa di chi la pensa diversamente o agisce con prepotenza.

 

 

 

 

mercoledì 19 agosto 2015

LA SCUOLA PARITARIA È PUBBLICA O PRIVATA? ORA IL PARLAMENTO LEGIFERI


L'analisi di Cosimo Scarcella/ Ha destato non poco stupore la virulenza con cui il segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, ha attaccato la pronuncia della Cassazione, secondo cui gli istituti religiosi dovranno pagare la tassa Imu anche sugli immobili sede di scuole paritarie...


 
Ha destato non poco stupore la virulenza con cui il segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, ha attaccato la pronuncia della Cassazione, secondo cui gli istituti religiosi dovranno pagare la tassa Imu anche sugli immobili sede di scuole paritarie. Non meno sorpresa hanno generato le tardive e tepide reazioni della politica, soprattutto da parte del governo italiano, che soltanto dopo un ragguardevole lasso tempo, lungi dall’esplicitare doverosamente il suo parere, s’è limitato ad “annunciare”, ovviamene solo tramite il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, che il governo avvierà un “tavolo di confronto”, per arrivare “a un definitivo chiarimento normativo”. 
Le leggi e le sentenze vanno accolte con la necessaria sottomissione, vanno rispettate con l’onore richiesto dall’ordine giuridico, vanno eventualmente emendate o addirittura sostituite con successivi procedimenti legislativi garanti della equità e della giustizia. Questa non è conquista civile e giuridica di recente scoperta, ma testimoniata già 25 secoli fa da Socrate, primo martire della libertà della ragione e dell’ossequio alla legalità; tanto che  22 secoli dopo il calvinista Gian Giacomo Rousseau confesserà che, quando pensava al sacrificio di Cristo si inginocchiava, perché era Dio, ma quando pensava al martirio di Socrate piangeva, perché era uomo. 
Atteggiamenti diversi e addirittura opposti di fronte all’ordine giuridico non sembrano né opportuni né consentiti. Non si può avere la presunzione di leggere nella mente e di scrutare nei cuori degli uomini. Pertanto, si fonda solo su “sensazioni nette”, ma sempre soggettive, l’affermare da parte del rappresentante dei vescovi italiani: "Siamo davanti a una sentenza pericolosa. Chi prende decisioni, lo faccia con meno ideologia”. Tra il politico che, colpito da sentenza scomoda, accusa di complotto la magistratura, e le attuali parole del prelato non passa molta differenza, almeno agli occhi del cittadino libero nel giudicare e disincantato nel valutare. Ugualmente immotivata è la sua “sensazione che con questo modo di pensare, si aspetti l'applauso di qualche parte ideologizzata”: chi la pensa diversamente non diventa subito nemico da abbattere, né in campo politico né in campo religioso. E’ solo un essere pensante che la pensa diversamente, senza per questo essere tacciato di asservirsi a qualcosa o a qualcuno.  
Prima di dare per accertato e incontestabile che quella della Cassazione è una sentenza “pericolosa e ideologica”, è davvero molto opportuno prendere atto – come rivendicato dal presule - che “è venuto il momento di smetterla con i tiri allargati e di cominciare a chiamare le cose con il loro nome”. Ebbene. Già il nostro Dante Alighieri 8 secoli fa parlava di politica e religione, ossia di stato e chiesa, come di due “soli” dotati di luce propria e autonoma, e nello stesso periodo Tommaso d’Aquino avvertiva che non c’è unità senza distinzione. Senza distinzione c’è solo confusione, dove tutto è indistinto e disordinato e, quindi, possibile. Andando ai nostri tempi, sono quanto mai provvidenziali le grandi e significative conquiste del Concilio Ecumenico Vaticano II, che Jacques Maritain, non certo spettatore passivo dell’evento, sintetizza così ne “Il contadino della Garonna” del 1966: nessuno ha il dovere e tanto meno il diritto di “credere” senza l’assenso della sua coscienza libera e illuminata. 
Andando allo specifico dell’oggetto della sentenza contestata, la questione non è nella sua sostanza difficile a capirsi e problematica a risolversi. Premesso che pagare le tasse è dovere morale di solidarietà dei singoli e delle collettività sancito anche dalla Costituzione, si tratta di stabilire se la scuola “paritaria” – la si consideri ‘pubblica’ o ‘privata’, e di qualunque tendenza e matrice culturale, ovviamente compatibile con le leggi dello Stato -  è una “supplenza” necessaria richiesta da eventuali carenze dell’ordine scolastico offerto dallo Stato oppure è un’autonoma iniziativa rivolta a gruppi di cittadini, che ne sentano l’opportunità e ne reclamino la convenienza. In questa seconda ipotesi non si pone alcun problema, trattandosi di attività private; nella prima ipotesi, invece, si tratta di prendere atto e dire chiaramene che lo Stato ha bisogno di scuole paritarie, che offrano interventi educativi che esso non è in grado di dare. Ma, a parte che le supplenze per definizione sono temporanee e non certo rinnovabili all’infinito, esse debbono venire codificate e regolamentate con accordi preventivamente individuati, discussi e condivisi al fine dei reciproci oneri e vantaggi, evitando frequenti e talora non limpidi e necessari interventi di modifica in corso d’opera. Da parte dello Stato italiano ciò deve essere affidato al Parlamento, che legiferi nel pieno dei suoi poteri, e non a qualche più o meno estemporaneo decreto ministeriale. Come in questo caso: la Cassazione si è pronunciata secondo quanto stabilito dai decreti ministeriali vigenti. Si cambino leggi, e la Cassazione produrrà altri pronunciamenti secondo il loro dettato. Il tutto in spirito di reciproco rispetto, che escluda diffidenze, minacce e ricatti, ma produca realtà utili al bene veramente di tutti.




venerdì 10 luglio 2015

LA FAMIGLIA TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE

Pubblicato su Affaritaliani  il 2 luglio 2015

Il matrimonio è un diritto universale, non più legato al genere dei coniugi: è questo il significato ultimo della sentenza emanata il 26 giugno scorso dalla Corte Suprema degli USA e valida per l’intero territorio statunitense: “Non c’è unione più profonda del matrimonio – si dichiara - perché esso incarna gli ideali più alti di amore, di fedeltà, di devozione, di sacrificio e di famiglia (…). Significherebbe non comprendere questi uomini e queste donne, sostenere che mancano di rispetto all’idea di matrimonio (…). La loro speranza è non essere condannati a vivere in solitudine, esclusi dalla più antica istituzione della civiltà. Chiedono un’uguale dignità di fronte alla legge”. Il presidente Obama, da parte sua, ha celebrato l’evento come una significativa conquista americana di civiltà giuridica, in quanto “l’uguaglianza matrimoniale”, finalmente sancita anche giuridicamente, considera di fatto tutte le persone esclusivamente nella loro comune natura umana, senza che alcuni debbano sentirsi “diversi” e mal sopportati. Di sicuro rimane certificato con assoluta chiarezza che nel donare amore e nel  desiderare famiglia tutti gli esseri umani sono uguali.

A ottobre prossimo la chiesa cattolica, dal canto suo, celebrerà il Sinodo ordinario sulla famiglia, portando a conclusione il non facile percorso iniziato già lo scorso anno e che ha messo in tutta evidenza quanto i problemi della famiglia debbano costituire argomento di discussioni libere e franche anche nel terreno religioso, per poterne dedurre conclusioni oneste e responsabili. Forse sarà uno dei momenti più delicati dell’intero pontificato di papa Francesco, che ha deciso con coraggio e risolutezza quale tema di discussione “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa nel mondo contemporaneo”, mostrandosi consapevole che i problemi della famiglia dei nostri tempi hanno urgente bisogno di analisi realistiche e di soluzioni concrete. E già nel documento-base, su cui l’intero episcopato discuterà per tre settimane intere (4-25 ottobre), da una parte si conferma che per la chiesa cattolica solo le unioni tra uomo e donna sono destinate alla procreazione, dall’altra parte per le coppie omosessuali si ribadisce che “ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società”. Atteggiamento, quindi, di assoluta chiusura a ogni tentativo di “scarto” di differenze e diversità, e di acclarata necessità d’inclusione di ogni essere umano senza alcuna forma di pregiudizi.

Dunque, una delle più grandi e autorevoli democrazie occidentali e una delle più antiche e consolidate chiese universali prendono atto e discutono su un traguardo, che sta segnando una svolta concreta nel cammino della cultura soprattutto del mondo occidentale. Si resta perplessi, allora, nel constatare come proprio negli stessi giorni a Roma sono scesi in piazza alcuni movimenti insieme a rappresentanti di alcuni partiti politici “per difendere – così almeno recitavano gli slogan - la famiglia”, e si dicevano convinti che la maggioranza degli Italiani stesse dalla loro parte, in quanto erano tutti preoccupati delle sorti della famiglia tradizionale, per cui rimarcavano che “Il problema non sono i diritti delle persone, ma la destrutturazione della famiglia naturale”.

E’ uno scenario multiforme e in parte anche provocatorio, che invita sicuramente a riflettere con particolare attenzione, ma che obbliga a fare qualche puntualizzazione preliminare. In primo luogo la pura e semplice constatazione che ad abitare il pianeta Terra non è l’Uomo ideale, ma gli uomini biologicamente dotati, culturalmente condizionati e storicamente determinati (come testimonia lo stesso papa Francesco, che è, tra l’altro, uomo di scienza, avendo anche un master in chimica). La molteplicità e la diversità tra gli umani, pertanto, sono la legge che governa la terra. E’ un dato di fatto, che nessuna volontà umana può disattendere e nessuna forza d’un preteso pensiero unico può illudersi d’ignorare. Da questa realtà oggettiva e indiscutibile, pertanto, conseguono sia la “naturalità” della convivenza delle diversità e sia la “necessità” di relazioni continue e corrette tra tutti i componenti il tessuto sociale.

In secondo luogo, appare non poca confusione tra sessualità, amore, matrimonio e famiglia. Sinteticamente: il matrimonio e la famiglia sono istituti creati nel lungo e faticoso cammino di civilizzazione grazie alle conquiste culturali degli uomini (basta rileggere La scienza nuova del nostro Giambattista Vico), e sono, quindi, istituzioni di natura sociale e di valenza giuridica: il matrimonio è nato a salvaguardia dell’assolvimento del “dovere (munus) matrimoniale” da parte  dei coniugi; la famiglia, come tramandato già da Aristotele, è nata per garantire il benessere dell’eventuale prole, per custodire e assicurare ogni comune possedimento necessario per il benessere di tutti i componenti la piccola molecola sociale. In sé e per sé, quindi, e in senso stretto, l’istituto matrimoniale e familiare non coinvolge la sfera dell’interiorità morale del singolo e non richiede un’intima convinta e condivisa adesione a una particolare etica pubblica. Si ferma tutto al visibile, al rilevabile e al verificabile, cioè a quello che ricade nella sfera del diritto positivo e che può essere, quindi, giudicato e sanzionato.

Ben diversa è la natura della sessualità e dell’amore degli umani. Il nesso tra questi due mondi è stato oggetto di continue ricerche e d’interessanti dibattiti. Comunque, per rilevare la possibilità di sesso scisso da sentimento amoroso è sufficiente affacciarsi sul mondo; per confermare, poi, la probabilità d’un amore senza sesso, è sufficiente dialogare discretamente con giovani e meno giovani, che siano educati all’amore autentico e ne vivano con coerente fedeltà le dimensioni. D’indubbio significato è stato il comportamento del papa nel parlare giorni fa a migliaia di giovani. Consapevole di “entrare” nell’intimità umana di quei giovani, chiesto quasi permesso e in punta di piedi, li ha esortati devotamente a vivere un “amore casto”, cioè un amore umano integrale, fatto di corpo e di anima coinvolgente tutto l’essere, ma sempre e solo nei termini propri dell’amore autentico, fatto di reciproco rispetto e di sacra devozione per l’essere altrui, titolare di uguale naturale dignità umana. L’amore, infatti, non è un sentimento romantico cui abbandonarsi, ma un’arte da apprendere e perfezionare con fatica dura e non facile. A ricordarcelo ha pensato, tra gli altri, Erich Fromm: amare è l’esatto opposto dell’egoismo e dell’ipocrisia, sotto le cui vesti si camuffano spesso inconfessate frustrazioni genitoriali, dolorose carenze affettive, brucianti sconfitte professionali. Amare è cercare e dare senso personale all’arco di tempo della propria esistenza, il cui inizio resta nell’inconoscibile e la cui fine rimane nell’ignoto. Si può “riempire” l’esistenza con tante cose: dal potere, al piacere, al denaro. La si riempie con l’amore, solo quando ci si dona liberamente e gratuitamente agli altri, senza attesa di riconoscimenti e ricompense.

Affrontare, pertanto, il tema della famiglia dei nostri tempi significa innanzi tutto indagare le motivazioni per cui la si fa nascere e le finalità per cui la si costituisce, se siano bisogni dettati da motivi di convenienza individuale o aspirazioni suggerite dall’amore umanamente inteso. E per quest’aspetto possono fare ben poco le leggi degli uomini: è impresa vana fidare sulla legge per toccare gli animi: solo un’adeguata maturazione culturale e una profonda coscienza morale possono guidare e indirizzare. Del resto è la legge che deve mutare col mutare dell’uomo vivente e non l’uomo ad adattarsi alla legge scritta per un tempo ben preciso, come già 2500 anni aveva avvertito il filosofo greco Protagora. Non è inutile, quindi, sottolineare per chiunque voglia difendere tradizioni o proporre innovazioni che prima delle strategie vengono gli uomini, anzi ciascun uomo concreto, che ha tutto il diritto di vivere in pienezza e libertà la propria esistenza, senza sentirsi quasi in dovere a chiedere scusa d’essere nato, senza peraltro che lo abbia richiesto.