IN ITALIA NON CI SARA’ FUTURO INTEGRALE SENZA LE DONNE
In Finlandia Sanna Marin a 34 anni è Primo Ministro
Pubblicato in Presenza
Taurisanese, maggio-giugno
2021, n. 328, p. 13
In Italia la popolazione femminile costituisce più della metà
dei cittadini. Ogni cittadino italiano – secondo l’esplicito dettato della Carta
Costituzionale - contribuisce attivamente alla vita della Nazione mediante
“L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale” (art. 2). Questo dovere fondamentale e inderogabile non ammette
eccezioni o deroghe per alcun motivo, in quanto la Repubblica proclama la pari dignità dei suoi cittadini e riconosce
loro indistintamente i medesimi diritti, ma esige da ciascuno l’assolvimento
dei rispettivi doveri: “Tutti i cittadini – è sancito solennemente
nell’articolo 3 – hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali”. Il cittadino italiano, quindi,
che legittimamente usufruisce – indipendentemente dalle diversità personali e
sociali - dei diritti garantitigli, non può
non adempiere – secondo le sue possibilità e nel rispetto delle le diversità
personali e sociali - ai doveri richiestigli, poiché sarebbe un fatto, oltre
che contrario al dettato costituzionale, anche gravemente lesivo della integralità
della persona umana, in quanto depriverebbe i propri concittadini del
contributo dovuto e, pertanto, depaupererebbe tutta la Nazione economicamente e
soprattutto moralmente e culturalmente. Analizzando la situazione reale in Italia, sembra che le donne – che sono,
appunto, oltre la metà della popolazione – non sono messe nella possibilità concreta
di offrire totalmente e liberamente il proprio contributo adeguato alle loro
capacità, determinando, così, uno spreco ingiustificato e dannoso di energie
collaborative e costruttive.
A queste puntualizzazioni s’è spinti, quando si voglia considerare
e valutare il ruolo riservato e assegnato alle donne italiane, oggi, nelle varie
attività socio-economiche del Paese, nelle decisioni politiche e nel mondo della
cultura e della ricerca. Ad accendere la curiosità e a suscitare l’interesse degli
spiriti più attenti sono state le reazioni italiane registrate in occasione
della nomina, circa un anno fa, alla carica di Primo Ministro della Finlandia di
Sanna Marin. Improntate a stupore e ammirazione, si levavano voci piuttosto fioche,
che avevano il sapore soprattutto della meraviglia e dell’attesa. Molti
sapevano e sottolineavano solo il fatto che si trattava di una donna e che era una
donna giovane, pochi andarono alla ricerca, per acquisire o approfondire
conoscenze utili e illuminanti sulla vicenda umana e sull’esperienza
politico-amministrativa, grazie alle quali la neoeletta Premier s’era proposta all’attenzione
dei parlamentari finlandesi, che non hanno avuto perplessità a porre nelle sue
mani la guida del Governo Nazionale. Sanna Marin, di 34 anni, dopo la regolare
frequenza delle Scuole Superiori, frequenta
l’Università di Tampere, conseguendo nel 2007 (a ventidue anni) la Laurea in Scienze dell’Amministrazione; nello stesso anno viene eletta
nel Consiglio Comunale di Tampere, ricoprendo la carica di Presidente del Consiglio Comunale.
Negi ultimi anni è stata vicepresidente dei socialdemocratici finlandesi e parlamentare.
E’ madre d’una bambina avuta dal compagno storico. Emerge la figura di una donna umanamente costruitasi su solide fondamenta,
di una professionista competente e responsabile e di una cittadina eticamente
indiscutibile e politicamente formatasi per mezzo di esperienze compiute con la
necessaria gradualità e con esiti positivi puntualmente verificati. Un esempio
degno di emulazione.
Sarebbe quanto mai opportuno, ora, considerare
quali opportunità reali hanno le donne in Italia d’intraprendere e concludere percorsi
formativi teorico-pratici di cultura civica, che consentano loro – oltre
all’accesso in carriere esecutive o impiegatizie - di cimentarsi personalmente in
compiti di responsabilità, di assumere direttamente iniziative impegnative, di
affrontare rischi e pericoli d’un’impresa. Ed anche: di acquisire un consistente
patrimonio di dottrina e di pratica necessario per scegliere di sobbarcarsi a cariche
pubbliche politico-amministrative. In Italia, di fatto, le donne presenti
nell’agone politico-amministrativo sono un numero molto esiguo e perlopiù
relegate a ruoli secondari e comunque sostanzialmente gestiti da figure
maschili, per cui risalta chiaramente la disparità numerica e qualitativa tra i
generi e la scarsa possibilità di rappresentare i problemi relativi ai
diritti-doveri delle donne.
Nonostante ciò, oggi, in considerazione
degl’inconfutabili miglioramenti nella valutazione delle donne, s’è portati a
ritenere risolto il problema dell’uguaglianza tra i generi; in realtà, però, se
si considera – oltre alla crescente partecipazione femminile nel campo del
lavoro, dell’insegnamento e della cultura - la presenza delle donne nelle sedi,
in cui si prendono decisioni nei settori della finanza, dell’economica e della politica,
ci si rende conto che di fatto – contro ogni dettato e auspicio dei Padri
Costituenti - l’uguaglianza tra uomini e donne è ben lontana dall’essere
acquisita. In tutti i settori della vita lavorativa nazionale, infatti, gli uomini tendono ad occupare le posizioni di
maggior potere; nelle organizzazioni i vertici aziendali e i dirigenti sono perlopiù
uomini; nelle istituzioni politiche il numero di donne è sempre molto inferiore
a quello degli uomini. Eppure i Padri Costituenti hanno
definito e sancito alcuni Principi Fondamentali rimasti sinora nell’ombra o
addirittura del tutto ignorati. Ciò costituisce – oltre a una notevole ingiustizia
sociale moralmente biasimevole - un grave vulus giuridico, che dev’essere
sanato, perché il Paese possa essere davvero annoverato tra quelli realmente
progrediti. Tra i Principi Fondamentali della Costituzione, infatti,
nell’articolo 3, dopo la dichiarazione della pari dignità e uguaglianza tra i
generi, è sancito il compito della Repubblica a “rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale”, che creano disparità e impediscono lo
sviluppo personale e “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Questo
fondamentale dettato costituzionale sarebbe stato destinato a rimanere nel mondo
delle nobili aspirazioni, se i Costituenti non avessero indicato anche le vie concrete
per la sua realizzazione. Trattando, infatti, dell’ambito dei “Rapporti Politici”
– che è il luogo, in cui in sostanza viene presa la maggior parte delle
decisioni, che condizionano e orientano le scelte importanti e gl’indirizzi qualificanti
della varia e complessa vita d’un popolo – la Carta nell’articolo 51 stabilisce:
“Tutti
i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e
alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza”. E quasi interpretando possibili dubbi e
dannose incertezze, per non lasciare spazio a tentazioni fuorvianti e,
comunque, per bloccare ogni cavillo o pericolo
di fraintendimento, si chiama in causa direttamente la Repubblica, assegnandole
il dovere non solo di riconoscere e garantire i diritti sociali e politici anche
delle cittadine, ma anche di “promuovere con appositi provvedimenti le pari
opportunità tra donne e uomini” (art. 51). E, in verità, provvedimenti
legislativi in tal senso sono stati indubbiamente prodotti, ma finora non sono
stati in grado di incidere significativamente sulla condizione e sulla
partecipazione delle donne alle attività della Nazione. Basti osservare le
presenze femminili nel Parlamento (solo un centinaio di donne su 945 membri) e negli
Enti Locali (solo un quinto delle presenze maschili). Eppure in Italia non
potrà esserci davvero un futuro globalmente inclusivo e integralmente umano
senza la giusta valorizzazione delle energie e delle risorse del genere
femminile.
Nella Costituzione, infine, vengono chiaramente
indicati il mezzo adatto e il modo concreto, perché ogni cittadino – uomo e
donna - possa partecipare concretamente e agire efficacemente nella vita socio-economica
e e politica della Nazione. A tal fine, infatti. fu stabilito: “Tutti i
cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere
con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art.50).
Ovviamente i Padri Costituenti pensavano al partito quale luogo, in cui i
cittadini d'ogni ceto sociale – in costante cooperazione con i movimenti
femminili e giovanili – discutevano con responsabilità e libertà problematiche del
momento, di parte e d’interesse generale, e proponevano democraticamente ipotesi
risolutive, ciascuno in coerenza con i propri valori umani e e le proprie
convinzioni politiche e civili. La progressiva trasformazione negli ultimi
decenni della natura specifica e delle finalità affidate al partito originario,
pone problemi nuovi, che richiedono riflessione e autocritica.