Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

venerdì 8 ottobre 2021

 

 LA RICERCA DEL SENSO DELLA VITA
tra assurdo e assurdità del non-senso

 

Che si esista è un dato fattuale chiaro ed evidente e, quindi, indubitabile e indiscutibile. L’inizio (con la nascita) e la fine (con la morte) d’ogni esistenza sono ugualmente realtà perlopiù ignote, ma concretamente sicure, certe e incontrovertibili: niente e nessuno sa come e quando si nasce, ma tutti e ciascuno ci si scorge improvvisamente gettati nel mondo degli esistenti e dei viventi e, pertanto, necessariamente destinato anche a uscirne fuori e scomparire - un qualche giorno talora desiderato e invocato, ma sempre paurosamente atteso e intimamene temuto - in qualche abissale voragine nascosta e  ignota, ma che tutto fagocita e divora.

Una vita, dunque, consiste sostanzialmente nell’arco di tempo compreso tra il momento della nascita e dell’apparire e il momento della morte e dello scomparire: itinerario evolutivo destinato per tutte le realtà singole e collettive. E’ in questo spazio temporale che si generano, avvengono, si affrontano e si giocano tutte le partite d’ogni esistenza. E ogni accadimento occupa e consuma una particella di tempo: lunga e d’ampio respiro o piccola e di breve durata, pur sempre una porzione costitutiva del patrimonio temporale - ben pre-determinato - da ogni realtà ricevuto in dotazione. Questo vale per il singolo individuo, per le varie forme associative di vita e di comunità di persone e di popoli, nel loro susseguirsi e nel loro mutare nel tempo. Per tutte le realtà l’esistenza è fondamentalmente il poter e voler conoscere veramente il senso del proprio essere sulla terra e realizzare totalmente se stessi durante l’inesorabile silenzioso scorrere e consumarsi del tempo a lui concesso, ma forse tendente verso l’infinito.

L’esistente umano, in particolare, per ricercare e trovare un qualche senso attinente o pertinente alla sua vita, ha almeno tre vie alternative, che può imboccare e percorrere. La prima: chiedersi e tentare d’indovinare quando, come e perché è pervenuto alla sua esistenza nel mondo; la seconda: indagare per quale causa agente e per quale nuova ignota destinazione - finalizzata o casuale - debba estinguersi e sparire dal pianeta terrestre. Cioè, può avviare e sostenere il suo itinerario d’indagine esistenziale, o partendo dal mistero talora angosciante della sua nascita o meditando sull’ineluttabile cogente necessità della sua morte. Rimane, altresì, una terza via: intuire con lucidità di mente e accettare con virile fermezza di volontà il senso rintracciato in un’indagine compiuta nella solitudine interiore del suo spirito; insinuarsi, poi, e penetrare con audacia nelle pieghe del proprio animo, per riconoscere e accogliere ogni risultanza della sua riflessione meditata riguardante il significato emerso del suo esistere nel presente, ora e in sé stesso, senza ricorrere all’ausilio di probabili termini di relazione certamente utili, ma pericolosamente fuorvianti. Soprattutto l’uomo, infatti - quale essere dotato di libera riflessività razionale, per nulla passiva e istintuale - deve avere il coraggioso ardire di non accontentarsi di comode elucubrazioni spesso inconcludenti, che servono solo ad allontanare pressanti scomode domande e addirittura a mistificare esigenze intime e profonde. E’ facile e appagante accogliere acriticamente le nobili voci dei vari credo religiosi, come è esaltante aderire agli ultimi dettami della cultura dominante e delle valide conquiste della scienza. All’uomo, però, che si limita a nutrirsi solo o soprattutto delle risultanze del mondo a lui esterno, sfugge il senso vero del vivere suo e del cosmo, in cui si trova collocato. Lo turba di continuo e agita la sua mente l’ombra sfuggente ma onnipresente del non-senso e, quindi, dell’assurdità di tutto, ch’egli respinge e allontana dal suo animo. Nello stesso tempo, però, sente che il non-senso non è meno assurdo della stessa assurdità: un senso deve esserci in ogni realtà e l’uomo ad esso anela e lo trova solo quando riesce a separarsi  momentaneamente dal mondo a lui esterno e si ripiega nella solitudine interiore del proprio essere: lì trova il senso vero che sinceramente desidera e onestamente ricerca.

Solo così l’uomo scoprirà che il senso e il valore d’ogni vita non provengono né gli sono dati dall’esterno, che non sono un dato oggettivo, che solo il mondo custodisce ed elargisce a suo insindacabile volere, assegnando all’umanità il compito di rispettare e onorare ciò che a essa è destinato, evitando il blasfemo atto dell’inutile disubbidienza, con cui si dissacra la presunta verità e si genera disordine e caos. Al contrario, è l’uomo che proietta sul mondo valori e significati, che la sua mente razionale germina e la sua libera volontà di uomo determina. Ne deriverà e si consoliderà una vita umana animata e pervasa da un perenne e vitale afflato di sacralità, con cui si genera, si sostanzia e si orienta l’autentica dimensione della solidarietà umana universale. Ogni senso autentico, infatti, si cova nell’intimità della libera coscienza personale; e non c’è tesoro più prezioso del senso esistenziale personale intuito audacemente e custodito gelosamente in se stessi. Essere parte del genere umano, essere attore delle proprie scelte e co-attore dell’intera vita del cosmo, padroneggiare il sentimento della solidarietà naturale, intuire e testimoniare il proprio insostituibile ruolo nella storia dei tempi sono il tesoro covato e scoperto nella sacralità della propria coscienza. Questa inviolabile sacralità non è, quindi, un momento della coscienza umana, ma un elemento costitutivo e, perciò, organico della struttura stessa della coscienza, totalmente connessa allo sforzo che l’uomo compie per costruire un mondo che abbia un senso. Il significato della realtà, quindi, non è un dato oggettivo che si trova e si accetta, ma un valore che l’uomo proietta e pone in realtà, che percepisce come vuote e insensate. Il senso del mondo, quindi, è quasi una proiezione della totalità della persona umana integralmente vissuta.

 

venerdì 11 giugno 2021


IN ITALIA NON CI SARA’ FUTURO INTEGRALE SENZA LE DONNE

In Finlandia Sanna Marin a 34 anni è Primo Ministro 

 

Pubblicato in Presenza Taurisanese, maggio-giugno 2021, n. 328, p. 13

 

In Italia la popolazione femminile costituisce più della metà dei cittadini. Ogni cittadino italiano – secondo l’esplicito dettato della Carta Costituzionale - contribuisce attivamente alla vita della Nazione mediante “L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2). Questo dovere fondamentale e inderogabile non ammette eccezioni o deroghe per alcun motivo, in quanto la Repubblica  proclama la pari dignità dei suoi cittadini e riconosce loro indistintamente i medesimi diritti, ma esige da ciascuno l’assolvimento dei rispettivi doveri: “Tutti i cittadini – è sancito solennemente nell’articolo 3 – hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Il cittadino italiano, quindi, che legittimamente usufruisce – indipendentemente dalle diversità personali e sociali -  dei diritti garantitigli, non può non adempiere – secondo le sue possibilità e nel rispetto delle le diversità personali e sociali - ai doveri richiestigli, poiché sarebbe un fatto, oltre che contrario al dettato costituzionale, anche gravemente lesivo della integralità della persona umana, in quanto depriverebbe i propri concittadini del contributo dovuto e, pertanto, depaupererebbe tutta la Nazione economicamente e soprattutto moralmente e culturalmente. Analizzando la situazione reale  in Italia, sembra che le donne – che sono, appunto, oltre la metà della popolazione – non sono messe nella possibilità concreta di offrire totalmente e liberamente il proprio contributo adeguato alle loro capacità, determinando, così, uno spreco ingiustificato e dannoso di energie collaborative e costruttive.

 

A queste puntualizzazioni s’è spinti, quando si voglia considerare e valutare il ruolo riservato e assegnato alle donne italiane, oggi, nelle varie attività socio-economiche del Paese, nelle decisioni politiche e nel mondo della cultura e della ricerca. Ad accendere la curiosità e a suscitare l’interesse degli spiriti più attenti sono state le reazioni italiane registrate in occasione della nomina, circa un anno fa, alla carica di Primo Ministro della Finlandia di Sanna Marin. Improntate a stupore e ammirazione, si levavano voci piuttosto fioche, che avevano il sapore soprattutto della meraviglia e dell’attesa. Molti sapevano e sottolineavano solo il fatto che si trattava di una donna e che era una donna giovane, pochi andarono alla ricerca, per acquisire o approfondire conoscenze utili e illuminanti sulla vicenda umana e sull’esperienza politico-amministrativa, grazie alle quali la neoeletta Premier s’era proposta all’attenzione dei parlamentari finlandesi, che non hanno avuto perplessità a porre nelle sue mani la guida del Governo Nazionale. Sanna Marin, di 34 anni, dopo la regolare frequenza delle Scuole Superiori, frequenta l’Università di Tampere, conseguendo nel 2007 (a ventidue anni) la Laurea in Scienze dell’Amministrazione; nello stesso anno viene eletta nel Consiglio Comunale di Tampere, ricoprendo la carica di Presidente del Consiglio Comunale. Negi ultimi anni è stata vicepresidente dei socialdemocratici finlandesi e parlamentare. E’ madre d’una bambina avuta dal compagno storico. Emerge la figura di una donna umanamente costruitasi su solide fondamenta, di una professionista competente e responsabile e di una cittadina eticamente indiscutibile e politicamente formatasi per mezzo di esperienze compiute con la necessaria gradualità e con esiti positivi puntualmente verificati. Un esempio degno di emulazione.

 

Sarebbe quanto mai opportuno, ora, considerare quali opportunità reali hanno le donne in Italia d’intraprendere e concludere percorsi formativi teorico-pratici di cultura civica, che consentano loro – oltre all’accesso in carriere esecutive o impiegatizie - di cimentarsi personalmente in compiti di responsabilità, di assumere direttamente iniziative impegnative, di affrontare rischi e pericoli d’un’impresa. Ed anche: di acquisire un consistente patrimonio di dottrina e di pratica necessario per scegliere di sobbarcarsi a cariche pubbliche politico-amministrative. In Italia, di fatto, le donne presenti nell’agone politico-amministrativo sono un numero molto esiguo e perlopiù relegate a ruoli secondari e comunque sostanzialmente gestiti da figure maschili, per cui risalta chiaramente la disparità numerica e qualitativa tra i generi e la scarsa possibilità di rappresentare i problemi relativi ai diritti-doveri delle donne.

 

Nonostante ciò, oggi, in considerazione degl’inconfutabili miglioramenti nella valutazione delle donne, s’è portati a ritenere risolto il problema dell’uguaglianza tra i generi; in realtà, però, se si considera – oltre alla crescente partecipazione femminile nel campo del lavoro, dell’insegnamento e della cultura - la presenza delle donne nelle sedi, in cui si prendono decisioni nei settori della finanza, dell’economica e della politica, ci si rende conto che di fatto – contro ogni dettato e auspicio dei Padri Costituenti - l’uguaglianza tra uomini e donne è ben lontana dall’essere acquisita. In tutti i settori della vita lavorativa nazionale, infatti,  gli uomini tendono ad occupare le posizioni di maggior potere; nelle organizzazioni i vertici aziendali e i dirigenti sono perlopiù uomini; nelle istituzioni politiche il numero di donne è sempre molto inferiore a quello degli uomini. Eppure i Padri Costituenti hanno definito e sancito alcuni Principi Fondamentali rimasti sinora nell’ombra o addirittura del tutto ignorati. Ciò costituisce – oltre a una notevole ingiustizia sociale moralmente biasimevole - un grave vulus giuridico, che dev’essere sanato, perché il Paese possa essere davvero annoverato tra quelli realmente progrediti. Tra i Principi Fondamentali della Costituzione, infatti, nell’articolo 3, dopo la dichiarazione della pari dignità e uguaglianza tra i generi, è sancito il compito della Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale”, che creano disparità e impediscono lo sviluppo personale e “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

          Questo fondamentale dettato costituzionale sarebbe stato destinato a rimanere nel mondo delle nobili aspirazioni, se i Costituenti non avessero indicato anche le vie concrete per la sua realizzazione. Trattando, infatti, dell’ambito dei “Rapporti Politici” – che è il luogo, in cui in sostanza viene presa la maggior parte delle decisioni, che condizionano e orientano le scelte importanti e gl’indirizzi qualificanti della varia e complessa vita d’un popolo – la Carta nell’articolo 51 stabilisce: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza”.  E quasi interpretando possibili dubbi e dannose incertezze, per non lasciare spazio a tentazioni fuorvianti e, comunque, per  bloccare ogni cavillo o pericolo di fraintendimento, si chiama in causa direttamente la Repubblica, assegnandole il dovere non solo di riconoscere e garantire i diritti sociali e politici anche delle cittadine, ma anche di   “promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini” (art. 51). E, in verità, provvedimenti legislativi in tal senso sono stati indubbiamente prodotti, ma finora non sono stati in grado di incidere significativamente sulla condizione e sulla partecipazione delle donne alle attività della Nazione. Basti osservare le presenze femminili nel Parlamento (solo un centinaio di donne su 945 membri) e negli Enti Locali (solo un quinto delle presenze maschili). Eppure in Italia non potrà esserci davvero un futuro globalmente inclusivo e integralmente umano senza la giusta valorizzazione delle energie e delle risorse del genere femminile.

 

          Nella Costituzione, infine, vengono chiaramente indicati il mezzo adatto e il modo concreto, perché ogni cittadino – uomo e donna - possa partecipare concretamente e agire efficacemente nella vita socio-economica e e politica della Nazione. A tal fine, infatti. fu stabilito: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art.50). Ovviamente i Padri Costituenti pensavano al partito quale luogo, in cui i cittadini d'ogni ceto sociale – in costante cooperazione con i movimenti femminili e giovanili – discutevano con responsabilità e libertà problematiche del momento, di parte e d’interesse generale, e proponevano democraticamente ipotesi risolutive, ciascuno in coerenza con i propri valori umani e e le proprie convinzioni politiche e civili. La progressiva trasformazione negli ultimi decenni della natura specifica e delle finalità affidate al partito originario, pone problemi nuovi, che richiedono riflessione e autocritica.

  

martedì 25 maggio 2021

 

COSA FANNO I PARLAMENTARI? 

Pubblicato su «Iuncturae» il 25 maggio 2021

 

“Noi assistiamo alle esequie di una forma di governo”, disse novant’anni fa, il 19 dicembre 1925, al Senato, nel celebre discorso di rifiuto della legge sulle prerogative del Capo del governo, Gaetano Mosca, dotto giurista, esperto senatore e rispettato membro del governo Salandra. La riforma che veniva proposta, compatibile con la lettera dello Statuto Albertino allora vigente, nella sostanza era preoccupante. E gli avvenimenti degli anni che seguirono diedero ragione al “vecchio” parlamentare, dimostrando nei fatti e con chiarezza che a rinforzare il regime fascista non furono l’energia volitiva del Duce e la capacità governativa del suo Consiglio, ma la debolezza e la paura di molti Membri del Parlamento. Lo strapotere del despota non si fonda mai sulle sue doti morali e sulla sua capacità governativa, ma sempre sulla debolezza e l’inadeguatezza dei cittadini, che, tramite l’atteggiamento e le scelte dei propri deputati, si mostrano incerti nell’esporre le proprie idee, timidi nell’avanzare le proprie proposte e, soprattutto, deboli nel difendere i propri convincimenti e fiacchi nel bloccare il capo, ogni qualvolta pretenda – anche al fine encomiabile di incrementare progresso e garantire felicità - di usare irragionevolmente metodi non accettabili, perchè spesso al limite della legalità e comunque estranei al costume di una vita veramente “democratica e popolare”, per cui offendono dignità umana e diritti politici.

 

E’ deludente, quasi disarmante, assistere oggi a “delegati d’un intero popolo”, che pretendono a loro volta di delegare codardamente al Presidente della Repubblica azioni e iniziative, che sanno bene che la Costituzione preclude al Capo dello Stato e impone, invece, proprio a loro che sono i detentori del Potere Legislativo. Coloro che hanno il dovere di interpretare e difendere il bene comune della Nazione, s’attardano a dichiarazioni di rito e a insensate minacce verbali spesso indegne, attendendo speranzosamente un qualche intervento dall’alto per fare ciò che solo il Parlamento – nella sua collettività e nei singoli componenti – può e deve proporre a nome del popolo e imporre per il bene del popolo! Se la maggioranza di parlamentari eletti dal popolo, secondo leggi da loro stessi approvate, consente al Governo - da essa voluto e mai sfiduciato - comportamenti arroganti e di fatto al limite d’ogni vera democrazia; se un’intera classe politica, formatasi e costituita secondo norme e procedure da se stessa create, ha dato e mantiene in vita questo Governo, non è proprio il caso che si gridi allo scandalo e s’invochi qualcuno a porre rimedio. Tocca a loro: alla classe politica prendere posizione; è dovere d’ogni parlamentare - delegato secondo la Costituzione a governare senza vincolo di mandato e in nome del popolo e per il bene del popolo – assumersi le sue responsabilità e ad agire secondo il dettato della sua ragione.

 

Non siamo più nella Firenze governata dai Medici, né il popolo italiano è quella massa amorfa e grezza pensata e descritta dal fiorentino Machiavelli, né i cittadini italiani sono disposti ancora oggi a stare a sopportare chi volesse governarli da capo “furbo come una volpe e forte come un leone”, cambiando aspetto da situazione a situazione. Il popolo italiano non accetta più d’essere ingannato, né ha più paura di reagire alla corruzione e incapacità di chi lo governa. Solo la saggezza della ragione dei cittadini italiani e la loro responsabilità civile li sostengono ad assistere tristemente ma dignitosamente anche agli ultimi spettacoli vergognosi offerti nelle Aule Parlamentari. I cittadini aspettano che si passi dalle comparse ai fatti: non significano nulla né il lancio delle frasi indegne per tutti né il tiro dei fiori persino oltraggiati nel loro nobile e sacro significato. E “i fatti” stanno nel potere di voto d’ogni parlamentare, esercitato a viso aperto e dettato da ragione e coscienza, non da calcoli privati e ricatti nascosti.

 

Novant’anni fa l’ormai vecchio parlamentare Gaetano Mosca, annunciando il proprio voto contrario a una riforma proposta dal governo, avvertiva che mutamenti proposti come strumenti  più adatti a un governo efficace, in realtà implicavano cambiamenti radicali del sistema di governo, che rischiavano di compromettere diritti civili, equità sociali, doveri politici e persino valori etici della nazione intera, già in piena crisi morale ed economica di quegli anni (non molto dissimili dai nostri). Probabilmente si trattava di cambiamenti addirittura necessari; ma erano proprio le modalità, con cui li si stava proponendo e perseguendo: procedimenti innovativi esageratamente rapidi potevano nascondere qualche “salto nel buio” dettato dall’impulso frenetico d’una “nuova generazione, che crede di sapere tutto e di poter tutto mutare”. Proprio per questo, terminava le sue parole, dichiarando umilmente che sentiva come suo “forte dovere di ammonirla”.

 

Sono passati circa novant’anni: forse non pochi perché gli “anziani” e le “nuove” generazioni del nostro tempo rileggano la nostra storia, prendendo qualche utile lezione.