Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

lunedì 23 maggio 2016

A ISTANBUL IL VERTICE UMANITARIO MONDIALE

Dalle pagine dell' Osservatore Romano già due giorni fa Fausta Speranza annunciava - con lo scritto che proponiamo nella sua interezza - la celebrazione dell'evento che oggi sta realizzandosi a Istanbul.
"L'impegno per la pace" tra gli uomini e tra le nazioni, da mettere in atto con i fatti e non con le parole, da parte dei responsabili religiosi e politici, senza dimenticare la necessità di svegliare la coscienza e la responsabilità  di ciascuno, come appartenente al genere umano e, quindi, indiscusso corresponsabile.  

"Seimila partecipanti, tra cui cinquanta leader mondiali. Prende il via, lunedì 23 maggio a Istanbul il primo vertice umanitario mondiale, voluto dal segretario generale dell’Onu, Ban-Ki-moon. Per due giorni, nella capitale turca si riuniranno rappresentanti di governi, agenzie per gli aiuti umanitari, comunità colpite, società civile e settore privato.  

Parteciperà anche la delegazione della Santa Sede presieduta dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, della quale faranno parte l’osservatore permanente presso le Nazioni Unite a New York, arcivescovo Bernardito Auza, e l’osservatore permanente presso l’ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate a Ginevra, arcivescovo Silvano Tomasi.  

Lo scenario è drammatico e noto. Ogni giorno, le cronache parlano di nuove vittime della violenza. Su dieci, nove di queste sono civili. E sono centoventicinque milioni le persone direttamente coinvolte in questa vera e propria guerra mondiale a pezzi.  

L’obiettivo ultimo della mobilitazione che ha portato al vertice è, in sostanza, tutelare l’umanità, mettendo in campo una cooperazione davvero mondiale. Dalle guerre più diverse ai disastri ambientali più dimenticati. Lo scopo è ambizioso e i piani di azione sono innumerevoli e complessi.  

Le leggi internazionali non mancano ma il punto è «far rispettare le norme che tutelano l’umanità», come è scritto nel titolo di una delle tavole rotonde. Oggi le guerre, che restano comunque drammatiche, sono asimmetriche, senza una contrapposizione precisa di eserciti o schieramenti di forze, e troppo spesso non c’è rispetto dei più basilari principi dei regolamenti internazionali.  

In tema di umanità, un presupposto è fondamentale, anche se troppo spesso dimenticato. È l’idea che, per parlare di umanità nel suo complesso, nessuno debba essere lasciato indietro. Da qui, il dovere di assicurarsi che sempre meno persone siano penalizzate da un’economia globale che non conosce sostenibilità. 

C’è poi una tavola rotonda dedicata a un tema sintetico quanto essenziale: ridurre i rischi. Infine, il dibattito che appare più concreto di tutti, quello su come aumentare i finanziamenti.  

L’appello, che emerge già prima del summit, arriva anche alle religioni e nello stesso tempo è lanciato proprio dalle religioni. A Istanbul infatti ci sarà un dibattito speciale proprio sull’impegno delle confessioni religiose. 

 C’è un antefatto: in vista del vertice umanitario mondiale, un anno fa, a Ginevra, i rappresentanti di quattro religioni hanno partecipato alla giornata di dibattito dedicata proprio al ruolo speciale svolto dalle istituzioni e organizzazioni religiose nelle zone di conflitto. All’incontro, promosso dall’Ordine di Malta, hanno partecipato cristiani, musulmani, ebrei, buddisti. 

In quell’occasione Jemilah Mahmoud, per anni medico in prima fila in vari conflitti e scelto da Ban Ki-moon per guidare il team internazionale di preparazione del vertice di Istanbul, ha ricordato che le organizzazioni a carattere religioso assicurano la maggior parte dell’assistenza umanitaria da cui attualmente nel mondo dipendono, per la stretta sopravvivenza, ben ottanta milioni di persone. Le organizzazioni religiose sono spesso le prime a intervenire sul campo nelle situazioni di emergenza umanitaria e per questo godono della fiducia delle comunità locali. Un’altra caratteristica fondamentale è che il loro arrivo non è legato a interessi politici.  

Ma anche i leader religiosi hanno un obiettivo preciso da raggiungere, lavorandoci molto. Ed è far sì che tutti si impegnino a giocare un ruolo nella battaglia contro i fondamentalismi. 

Più in generale, da parte dei leader politici, è necessaria una doverosa assunzione di responsabilità affinché cooperazione faccia rima con riconciliazione, e perché l’impegno all’assistenza proceda di pari passo con un impegno serio per la pace". (Fausta Speranza)

venerdì 29 aprile 2016

DEMOCRAZIA E CAPITALISMO INDUSTRIALIZZATO TRA OTTIMISMO (IDEALE) E NICHILISMO (REALE)

Pubblicato su Affaritaliani il 10 aprile 2016

“Corrono brutti tempi” è la sensazione dominante, tra stupore e incredulità, appena si dà uno sguardo alle realtà sociali e politiche dei nostri giorni. Viene subito in mente l’indignazione con cui duemila anni fa il console Cicerone, seriamente preoccupato, lamentava l’andamento delle cose nella Repubblica romana del suo tempo, inquinata dalla corruzione devastante, dallo smarrimento dell’etica pubblica e dalla perdita dei valori morali a ogni livello. 

“Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico” accusava, da parte sua, Herbert Marcuse, quando mezzo secolo fa analizzava e descriveva le condizioni reali di vita nelle attuali società industrializzate, anche se guidate da governi che si designano come democratici. In essi, infatti, risaltano alcune caratteristiche dannose: manipolazione della verità, usurpazione della libertà individuale, baratto dei valori fondativi la democrazia, lotta smodata per scalare il potere, insaziabili ambizioni di benessere e di accumulo di ricchezze. Tutto abilmente camuffato da allettanti promesse di crescita generale sicura e godibile da tutti. 

Grazie, poi, ai rapidi processi industriali, alle enormi conquiste scientifiche e tecnologiche sempre più efficienti, l’uomo viene fatto sentire padrone della natura, e, disponendo di sempre più veloci mezzi di comunicazione, viene fatto illudere d’essere ormai divenuto l’invincibile dominatore dell’universo e di tutti i meccanismi della vita, compresa quella umana. Per poi, però, farlo ritrovare di fatto inadeguato alle nuove situazioni e sprovvisto delle capacità necessarie per l’enormità della sfida da affrontare. Con gravi imprevedibili conseguenze per gl’individui e le collettività. Non a caso negli stessi anni Hans Jonas proponeva la nuova formulazione dell’imperativo categorico kantiano: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra”. 

A questo punto s’impone la necessità d’una riconsiderazione dell’intero modello culturale dell’attuale società industrializzata: proposto come fondato sulla verità, proclamato come salvaguardia di libertà e come garanzia d’innovazione e di futuro, nella realtà significa, però, soltanto liberismo e capitalismo, in cui sono proprio la verità, la libertà e l’equità che, benché ammesse formalmente, nella realtà rimangono del tutto esautorate e annichilite, tanto che non c’è alcun posto né per una verità oggettiva, né per un comune senso morale riconoscibile, né per un’etica pubblica cogente e condivisibile. Infatti, nel capitalismo industrializzato è possibile affermare e negare indifferentemente ogni cosa, in qualunque tempo; di conseguenza, solo il “nichilismo” (da dottrina filosofica divenuta categoria sociale) rimane l’unica visione in grado di sorreggere e avallare i contenuti e le implicanze del liberismo e del capitalismo, che s’arrogano il potere di elaborare e imporre soltanto le norme che si dànno da soli, in quanto devono essere atte a promuovere sempre e solo gli interessi del libero mercato e a inseguire gli umori variabili dell’offerta-domanda, assecondando la logica dominante della “volontà di potenza”. E fidando, naturalmente, nell’intervento salvifico della “mano invisibile”, che tutto adatta e tutto seleziona in una dinamicità interattiva.  

Le proposte alternative non saranno certamente né la rassegnata accettazione né il radicale violento rifiuto: sarebbero risposte entrambe utopiche e inconcludenti, e aggraverebbero ulteriormente la situazione. E’ necessario, invece, analizzare la vera natura delle cause che conducono ai risultati umanamente negativi e socialmente inaccettabili. Ora, davanti a noi si presenta un quadro sociale e culturale caotico: c’è una confusione generale dei princìpi, che causa un pericoloso rovesciamento dei valori reali. Infatti, mentre da ogni parte si ribadiscono la centralità dell’uomo e la dignità della persona, invece s’assiste a realtà di sfruttamento disumano, di disuguaglianze e di ingiustizie talmente gravi e offensive da far scrivere all’ONU giovedì scorso (7 aprile) dall’attuale Papa: “La grave questione della schiavitù moderna e del traffico di esseri umani continua a essere una piaga in tutto il mondo” da ritenersi un vero e proprio “crimine contro l’umanità”. A porre ordine e a tentare di sanare le disumane condizioni delle nostre società cosiddette avanzate è necessario che lo scopo ultimo ritorni a essere l’Umanità in tutte le sue dimensioni, e i mezzi siano gestiti come mezzi. Soltanto quando non sarà dimenticata la dignità d’ogni persona e si daranno i dovuti riconoscimenti a coloro che il capitalismo ha reso emarginati e ridotto a utili strumenti di produzione-consumo, allora si può ragionevolmente sperare che le società saranno comunità di individui dello stesso genere e della medesima dignità: ognuno fine ultimo della vita e non ridotto a mezzo di ricchezza economica o di potere politico.

Occorre mettere in atto ogni possibile iniziativa, per impedire il diffondersi d’una coscienza palesemente falsa e promuovere la formazione d’una coscienza umana autentica: ossia, uscire dagli interessi immediati e privati e mirare e tutelare i diritti reali della società intera. Bisogna cominciare dal prendere atto quanto sia deleterio per tutti, anche per le stesse imprese e gli stessi governi, concentrarsi soprattutto sulla creazione di profitti. Già quattro secoli fa nella “Nuova Atlantide” (1626) Francesco Bacone insisteva sulla necessità di un'organizzazione di ricerca coordinata tra “sapienti”; in essa nutriva concreta fiducia per un progresso scientifico e tecnico a dimensione umana e tratteggiava il disegno d’una società del futuro amministrata e governata grazie al dominio della scienza e della ricerca da parte dell’umanità: gli scienziati – in proficua leale collaborazione con i governanti delle nazioni - saranno quei “mercanti della luce”, che divulgheranno ogni scoperta e ogni conquista in tutte le parti del mondo, perché la Terra è di tutti e nessuno può essere escluso dalla fruizione del progresso. Ma un patto: che il vero fine sia “la conoscenza delle cause e dei segreti movimenti delle cose per allargare i confini del potere umano verso la realizzazione di ogni possibile obiettivo”, e non l’asservimento dell’Umanità e della Natura sotto la schiavitù dell’egoismo e delle passioni.  

Utopia? Forse. Ma Kant ha dimostrato abbondantemente l’energia e la potenza delle idee: mete da non perdere mai di vista, ma a cui guardare costantemente come fari di luce, per un cammino sicuro e umanamente degno verso le Altezze della libertà e della giustizia. Senza ideali, cui tendere con umana ma incrollabile speranza, l’uomo “si fa vivere” dai flussi incontrollati della storia e del mondo: da attore o co-attore protagonista della storia si riduce a insignificante comparsa sulla scena del teatro dl mondo.




martedì 22 marzo 2016

PARTITI POLITICI: “MUTAZIONE GENETICA” O DETERIORAZIONE ETICO-GIURIDICA?


Su Il Foglio di giovedì scorso 17 marzo è stata proposta ai lettori un’interessante e articolata “chiacchierata con Giuliano Amato”, in cui l’ex premier e attuale giudice della Corte Costituzionale propone un’analisi delle vicende dei partiti politici nelle attuali situazioni sia dell’Italia e sia di altre parti del mondo; analisi in parte condivisibile, ma in parte suscettibile di osservazioni e di necessarie puntualizzazioni. E’ indubbio, infatti, che le società umane – proprio perché umane - mutano, che le generazioni si susseguono con caratteristiche proprie sempre nuove, che gli ordinamenti etici s’aggiornano, le istituzioni s’adeguano e, quindi, l’evoluzione anche dei partiti politici non è “né buona né cattiva: è semplicemente inevitabile, è l’unico modo per andare avanti”. 

L’insigne giurista parte da un dato oggettivo inconfutabile: in Italia e in altre nazioni europee (e non solo) si moltiplicano formazioni politiche nuove, s’assiste a inarrestabili travasi da uno schieramento all’altro, si stringono ibridi connubi fra forze antagoniste, divenute d’un tratto associate nella gestione del potere: sempre, ovviamente, con la dichiarazione di voler solo contribuire alla soluzione di problemi di “economia, di politica estera e di riforme costituzionali”. Tradotto in termini più espliciti: nell’attuale realtà politica delle Nazioni e degli Stati è ormai impossibile pensare a vecchi o nuovi partiti maggioritari oppure sperare in qualche coalizione pluripartitica stabile, cui affidare il governo. Non c’è posto, dunque, per un “centro di governo”, ai cui lati si collocano una “destra” e una “sinistra” minoritarie e destinate al loro ruolo insostituibile di opposizione critica e costruttiva. Il partito politico, pertanto, non è né può essere più quello previsto dall’articolo 49 della Costituzione italiana, ma diventa quello che, captando gli umori  delle varie fasce sociali del momento, propaganda progetti e promette riforme “buone”, mirando però all’incremento del proprio numero di elettori che andranno a votare. Calcoli, quindi, d’interesse partitico a beneficio solo di una parte  e, perciò, avulsi dal bene comune e indifferenti ai valori umani sottesi e alle finalità sociali da perseguire. 

E’ un’analisi improntata a trasformismo governativo e a pragmatismo politico, legittimi e rispettabili, ma che suscitano alcune perplessità riguardo soprattutto due punti. In primo luogo, infatti, è necessario stabilire quali sono – sempre e comunque – la ragion d’essere, la natura e il ruolo del partito politico in una repubblica democratica. Bisogna stabilire se esso è la risultante del libero e responsabile “concorso dei cittadini con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (articolo 49 della Costituione) oppure il risultato variabile e transitorio dei giochi tra i capi-partito. Preoccupano gli spettacoli quotidiani, in cui s’è costretti a confermarsi nella convinione che i partiti odierni mirano solo a imporsi contro tutto e contro tutti, attenti esclusivamente a demolirsi reciprocamente; e, quando lo spettacolo è meno indegno, appaiono sempre più inequivocabili due livelli sociali ben separati tra di loro: quello dei cosiddetti leaders che si denigrano, scommettendo a chi offende di più, e quello del popolo laborioso e serio, ormai disincantato e del tutto disinteressato alle umilianti e sconcertanti beghe partitiche. E’ necessario chiarire, quindi, se i partiti politici – nelle loro oggettive “mutazioni genetiche” storiche – si trasformano per la spinta di nuove esigenze del bene comune oppure vengono costruiti per calcoli settoriali e con tatticismi di dominio di alcuni settori, del tutto estranei ai problemi dei cittadini. 

In secondo luogo sembra necessario intendersi su cosa siano “centro, destra e sinistra” nella vita politica d’una repubblica democratica, intesa come potere del popolo, da parte del popolo, per il raggiungimento di finalità di bene comune. Tradotto in vita pratica, la democrazia è il “vivere insieme” nel rispetto della giustizia sociale e nella salvaguardia della libertà individuale e collettiva. Senza assiduo, attento e leale ascolto del popolo si rischia di “proporre e imporre” modelli di giustizia e di libertà forse belli e affascinanti, ma non aderenti alla realtà del popolo in un determinato momento storico e con particolari problematiche etiche e sociali. La vita politica veramente efficace ha bisogno di un “centro” inteso come punto di saggia e coraggiosa onvergenza delle istanze della “destra” e della “sinistra”, che, se lasciate in balìa di se stesse, la prima rimane puro cinismo (che può giungere a detestare la giustizia sociale e a svilire alcuni sentimenti umani) e la seconda si rifugia in un puro irrealismo (che – secondo l’insegnamento di Rousseau – preferisce sempre “ciò che non è a ciò che è”). 

Per quest’opera di mediazione culturale e politica essenziale la democrazia ha bisogno dei suoi tempi e dei suoi ritmi, che vanno sempre e comunque rispettati da chiunque sia chiamato al compito di governare. Solo così si governa in nome e per conto di tutti i cittadini, qualunque sia la loro fede politica. I cittadini, da parte loro, vanno necessariamente “educati alla politica” quale loro dovere di solidarietà pubblica, per divenire attori e protagonisti di politica e non rimanere individui “governati” perché bisognosi di guida e di sostegno. E il luogo naturale, dove i cittadini possono educarsi politicamente e agire attivamente nella società, è il partito politico. Non quello, però, mutato in associazione di interessi settoriali e privati a sostegno di precarie e mutevoli oligarchie partitiche, bensì come formazioni libere e animate da ideali ed energie sempre nuove e disponibili a ogni mutamento richiesto da realtà oggettive. Diversamente molti cittadini s’appartano, ma non per negligenza politica o insensibilità etica, bensì per salvaguardare la loro lucidità razionale e la loro libertà di pensiero: per proteggere, cioè, la propria dignità umana dalle insidie d’una politica ridotta a furbizia messa al servizio delle passioni di alcuni.