IL POSTPANDEMIA:
CIVILTÀ DEI CONSUMI O CIVILTÀ
DELL’UOMO
In questi ultimi tempi, aggrediti e
dominati dalla virulenta pandemia del Covid-19, che col suo variare repentino e
imprevedibile sembra non lasciare facile scampo all’umanità dell’intero pianeta
Terra, s’assiste quotidianamente un po’
ovunque, ma soprattutto nei Paesi del Vecchio Continente e, quindi, anche in Italia - attraverso i
numerosi e vari mezzi di comunicazione - alla girandola di notizie che ci travolgono
riguardo allo stato dell’infezione sanitaria e alle conseguenti criticità
sociali causate dalla particolare congiuntura economico-finanziaria dei vari
Stati. Ogni comunicazione si conclude sempre con un’analisi dettagliata dell’andamento
epidemiologico, con un accorto commento alle statistiche sanitarie e con
qualche azzardata previsione in campo economico-finanziario. Ma è su
quest’ultimo aspetto, tuttavia, che s’appunta maggiormente l’attenzione generale
dei responsabili dei governi delle nazioni, i quali indugiano con responsabile prudenza
a offrire ai popoli un quadro della situazione certamente realistico, ma anche aperto
a cauto ottimismo, onde attenuare i diffusi sentimenti di sfiducia e di paura. Con
quest’atteggiamento, assolutamente comprensibile e apprezzabile, si vela, comunque, quella che è la principale vera
preoccupazione che agita il pensiero dei potenti del mondo: la dimensione economica
delle nazioni è vissuta, di fatto, come il primo problema umano e sociale
generato dalla crisi sanitaria e che deve essere affrontato con decisione e
risolto con tempestività. La crisi sanitaria, quindi, genera la crisi economico-finanziaria,
da cui derivano le situazioni problematiche dei consumi e delle produzioni e, di
conseguenza, delle opportunità lavorative e occupazionali.
In verità, sono tutti elementi costitutivi
della vita umana e sociale e, quindi, momenti essenziali della consueta quotidianità
tanto dei singoli quanto delle collettività. Si tratta, pertanto, di aspetti assolutamente
sostanziali e ugualmente necessari della vita dei popoli e delle nazioni. Però,
a ben considerarli in sé stessi e tentare poi di riscontrarne il rispetto da
parte dell’azione dell’odierna politica -
caduta in balìa degli avversi nazionalismi e partitismi e corredata perlopiù solo
di miopi e grette mire egoistiche e personalistiche del tutto ignare del bene comune – si rivelano deficitari,
in quanto parziali, insufficienti e gravemente inadeguati per una visione concettuale
e fattuale, che ambisca a essere davvero integrale umanamente e dalle ampie dimensioni
del mondo universale. L’odierna crisi
pandemica, infatti, è globale e coinvolge tutte le realtà umane e sociali, a
partire dall’alto dei mercati finanziari, per finire a condizionare pesantemente
e determinare incisivamente l'economia reale, con la quale il popolo fa e deve
fare i conti quotidianamente, con l’animo tremante, perché pendulo tra timori e
speranze, tra diffusa confusione d’incertezze e fuggevoli sprazzi di lucidità
angosciante, tra calma padronanza di sé e malcelata ira contenuta e sorda. E’
la vita concreta che ogni giorno sostiene la gente - rapportata alle laute negoziazioni
dei mercati finanziari - che costringe a ripensare alcuni concetti fondamentali
e ad aggiornare alcuni atteggiamenti comuni alla base della relazione tra economia,
finanza, lavoro e sviluppo.
Negli ultimi tempi da più parti s’immagina
e si progetta - anche e a giusta ragione – un probabile assetto delle nazioni e
delle società nel prossimo futuro post-pandemico, e l’attenzione generale è
volta soprattutto all’individuazione del come spendere le risorse da destinare
ai diversi settori. Il suggerimento dominante è di cogliere l’opportunità e non
sprecare energie per ottenere aggiornamenti e modernizzazioni; e dai diversi schieramenti
politici e corpi sociali produttivi si snocciola un caldeggiato elenco magico di
obiettivi: ripartenza,
sostenibilità, transizione ecologica; ovviamente con l’occhio sempre puntato al
Prodotto Interno Lordo. Tutti questi obiettivi sono da perseguire assolutamente,
in quanto necessari per la strutturazione
della vita umana consociata; ma, così come sono proposti e perseguiti, rischiano
di oscurare le finalità primarie e gli obiettivi fondamentali richiesti dal nuovo
corso storico, che attende ogni cittadino spettatore e testimone di questa sciagurata
calamità. Superare, infatti, l’emergenza sanitaria e risolvere al meglio la congiuntura
economica significa solo aver mirato a modernizzare il futuro, senza favorirne nello
stesso tempo il processo altrettanto vitale di civilizzazione e acculturazione,
così come è sancito nella Costituzione Italiana, costantemente vigile e attenta
a garantire e proteggere il benessere d’ogni cittadino in qualunque situazione
sociale si trovi. Oggi viviamo
in tempi di strabilianti innovazioni, ma anche di inquietanti forme di
schiavitù salariale, sociale, tecnologica. Sono queste le dimensioni
esistenziali, che rivendica e reclama il dovere civico e morale della giustizia
sociale e della verità.
Giova
ricordare a questo riguardo quanto raccomandò già nel 1969 Aldo Moro: «Sia dunque ben chiaro che, quando si
parla di un giusto controllo dell’economia e di rapporti umani, su base di
autonomia, dignità e responsabilità nell’ambiente di lavoro, non si discute
solo di efficienza produttiva, ma di condizione sociale della persona, di
qualche cosa che va al di là della pur naturale rivendicazione di benessere e
della giustizia, per toccare la posizione dell’uomo ed il suo modo di essere,
il solo accettabile ed appagante, nella società. (…). Si riscatta la persona dall’inquietudine e
dallo scontento, che il solo benessere non riesce a placare. In una tale
condizione c’è un lavoro da compiere ed una disciplina da accettare. Ma è
importante e caratterizzante che in essi si esprima l’uomo non come servo della
macchina, della tecnica, dei padroni, del potere, ma come libero e responsabile
protagonista d vita sociale e politica».