“I cittadini, cui sono affidate
funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”,
sancisce l’articolo 54 della Costituzione Italiana. Non si può fare a meno,
pertanto, di rimanere increduli e di riflettere con ponderatezza sullo scenario,
che in questi ultimi giorni offre la realtà quotidiana della politica italiana
e in quali situazioni il popolo è costretto a vivere. Quello che da qualche
decennio s’impone alla constatazione di tutti nell’attività politica non
riguarda un’astratta teoria del rapporto morale-politica, ma l’imprescindibile necessità
di dignità morale e di decoro istituzionale, che deve avere chiunque voglia
esercitare “funzioni pubbliche”, e che oggi il cittadino non riscontra
facilmente nella concretezza quotidiana. E ciò non pone un problema limitato e circoscritto
(anche se importante), ma coinvolge la qualità istituzionale dei governi e il
destino quotidiano del tenore della vita dei cittadini. Ad avvertirne l’ampiezza
e l’urgenza era già stato Enrico Berlinguer
nel 1977, quando durante un’intervista puntò il dito contro i rischi derivanti
dall’incompetenza e dall’immoralità della classe politica dirigente: “La questione
morale, nell'Italia d'oggi – affermò - fa tutt'uno con l'occupazione dello
stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con
la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i
metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati.
Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano (…).
Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in
questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi
e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude”.
Non
è necessario uno sforzo particolare per verificare come la classe
dirigente italiana negli ultimi decenni è andata perdendo a poco a poco la
consapevolezza che le sue scelte non possono essere dettate da meschini tornaconti
privati e nemmeno da interessati calcoli di partito, ma che debbono essere
decisioni e risoluzioni dalle dimensioni nazionali, per cui necessitano di un robusto
corredo di morale pubblica, sostanziata e alimentata da responsabilità e interesse
generale. Proprio per questo è assurdo assistere allo spettacolo odierno, in
cui apparati dello Stato e Istituzioni di Governo Locali – sotto l’apparente,
ma obbligato rispetto - si criticano reciprocamente, gettando discredito su
atti e fatti e demolendo ogni criterio di comprensione e di valutazione da
parte del cittadino, che così perde ogni figura di riferimento etico e
politico. Ma la moralità nell’azione politica non è
questione di “divisione di poteri” né di militanza di destra o di sinistra, ma riguarda
tutti come cittadini e reclama da tutti il “buon costume” proprio dei
benpensanti.
Davvero
preoccupanti, allora, sono gli atteggiamenti di governo nazionale, regionale e
persino comunale sempre più ispirati a idee monocratiche e “centralizzate”,
sminuendo e addirittura misconoscendo il ruolo degli organismi sociali intermedi.
Appena qualche giorno fa a Firenze, Papa Bergoglio avvertiva che “la società
italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono
dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella
giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella
politica, quella dei media”; e metteva in guardia dalla tentazione di abusare
del potere, “anche quando questo prende il volto di un potere utile e
funzionale all’immagine sociale”. Invece,
nell’attuale politica italiana trionfa pericolosamente sempre di più la vecchia
discutibile tecnica del trasformismo, per cui, pur di raggiungere i propri
obiettivi particolari, ci s’accontenta di racimolare il numero di voti di volta
in volta necessario, indipendentemente da valori e intenzioni. E’ il trionfo del
trasformismo incondizionato, dettato dalla legge dell’unico profitto politico e
del successo a qualunque costo, ovviamente sempre sotto le vesti d’un “potere
utile e funzionale” per il bene di tutti gli italiani. E’ superfluo avvertire
che questo modo di agire politico si fonda su un’idea autoritaria e
accentratrice del potere: non al servizio del bene generale, bensì al
perseguimento della vittoria della prossima consultazione elettorale.
Nutrire queste preoccupazioni non significa pensare e agire da
uomini schierati o di parte. Si tratta solo di dover vivere preoccupati una
politica locale e nazionale fatta da pochi protagonisti, senza il consenso richiesto
da una vera democrazia e, quindi, senza radici nella realtà sociale dei
cittadini. Questo indica una sostanziale riduzione di democrazia, che si
riverserà negativamente sulla stessa classe politica: i cittadini, accorgendosi
che a contare sono sempre e solo quei pochi, che s’accordano sempre e che
comandano comunque, si allontaneranno
dalla politica, andranno a
ingrossare le file del più numeroso partito nazionale, quello
dell’astensionismo elettorale e dell’indifferentismo. E nasce un’inquieta percezione.
Siccome su certi princìpi non si può accettare alcun compromesso, non si
sottovalutino l’intelligenza e la responsabilità dei cittadini italiani, i
quali non si fanno certo intimorire da atteggiamenti di falso potere e di forza
accigliata. Non si vada troppo oltre la vera democrazia, perché “Ci sono uomini nel mondo – recita Liu Ji, da una favola
cinese del 1300 - che governano con l’inganno. Non si rendono conto della
propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni
non funzionano più”.