COSA FANNO I PARLAMENTARI?
Pubblicato su «Iuncturae» il 25 maggio 2021
“Noi assistiamo alle esequie di una
forma di governo”, disse novant’anni fa, il 19 dicembre 1925, al Senato, nel
celebre discorso di rifiuto della legge sulle prerogative del Capo del governo,
Gaetano Mosca, dotto giurista, esperto senatore e rispettato membro del governo
Salandra. La riforma che veniva proposta, compatibile con la lettera dello
Statuto Albertino allora vigente, nella sostanza era preoccupante. E gli
avvenimenti degli anni che seguirono diedero ragione al “vecchio” parlamentare,
dimostrando nei fatti e con chiarezza che a rinforzare il regime fascista non
furono l’energia volitiva del Duce e la capacità governativa del suo Consiglio,
ma la debolezza e la paura di molti Membri del Parlamento. Lo strapotere del
despota non si fonda mai sulle sue doti morali e sulla sua capacità
governativa, ma sempre sulla debolezza e l’inadeguatezza dei cittadini, che,
tramite l’atteggiamento e le scelte dei propri deputati, si mostrano incerti nell’esporre
le proprie idee, timidi nell’avanzare le proprie proposte e, soprattutto,
deboli nel difendere i propri convincimenti e fiacchi nel bloccare il capo,
ogni qualvolta pretenda – anche al fine encomiabile di incrementare progresso e
garantire felicità - di usare irragionevolmente metodi non accettabili, perchè
spesso al limite della legalità e comunque estranei al costume di una vita veramente
“democratica e popolare”, per cui offendono dignità umana e diritti politici.
E’ deludente, quasi disarmante,
assistere oggi a “delegati d’un intero popolo”, che pretendono a loro volta di delegare
codardamente al Presidente della Repubblica azioni e iniziative, che sanno bene
che la Costituzione preclude al Capo dello Stato e impone, invece, proprio a loro
che sono i detentori del Potere Legislativo. Coloro che hanno il dovere di
interpretare e difendere il bene comune della Nazione, s’attardano a
dichiarazioni di rito e a insensate minacce verbali spesso indegne, attendendo speranzosamente
un qualche intervento dall’alto per fare ciò che solo il Parlamento – nella sua
collettività e nei singoli componenti – può e deve proporre a nome del popolo e
imporre per il bene del popolo! Se la maggioranza di parlamentari eletti dal
popolo, secondo leggi da loro stessi approvate, consente al Governo - da essa
voluto e mai sfiduciato - comportamenti arroganti e di fatto al limite d’ogni
vera democrazia; se un’intera classe politica, formatasi e costituita secondo
norme e procedure da se stessa create, ha dato e mantiene in vita questo Governo,
non è proprio il caso che si gridi allo scandalo e s’invochi qualcuno a porre
rimedio. Tocca a loro: alla classe politica prendere posizione; è dovere d’ogni
parlamentare - delegato secondo la Costituzione a governare senza vincolo di
mandato e in nome del popolo e per il bene del popolo – assumersi le sue
responsabilità e ad agire secondo il dettato della sua ragione.
Non siamo più nella Firenze governata
dai Medici, né il popolo italiano è quella massa amorfa e grezza pensata e
descritta dal fiorentino Machiavelli, né i cittadini italiani sono disposti
ancora oggi a stare a sopportare chi volesse governarli da capo “furbo come una
volpe e forte come un leone”, cambiando aspetto da situazione a situazione. Il
popolo italiano non accetta più d’essere ingannato, né ha più paura di reagire
alla corruzione e incapacità di chi lo governa. Solo la saggezza della ragione
dei cittadini italiani e la loro responsabilità civile li sostengono ad
assistere tristemente ma dignitosamente anche agli ultimi spettacoli vergognosi
offerti nelle Aule Parlamentari. I cittadini aspettano che si passi dalle
comparse ai fatti: non significano nulla né il lancio delle frasi indegne per
tutti né il tiro dei fiori persino oltraggiati nel loro nobile e sacro
significato. E “i fatti” stanno nel potere di voto d’ogni parlamentare,
esercitato a viso aperto e dettato da ragione e coscienza, non da calcoli privati
e ricatti nascosti.
Novant’anni fa l’ormai vecchio
parlamentare Gaetano Mosca, annunciando il proprio voto contrario a una riforma
proposta dal governo, avvertiva che mutamenti proposti come strumenti più adatti a un governo efficace, in realtà
implicavano cambiamenti radicali del sistema di governo, che rischiavano di compromettere
diritti civili, equità sociali, doveri politici e persino valori etici della
nazione intera, già in piena crisi morale ed economica di quegli anni (non
molto dissimili dai nostri). Probabilmente si trattava di cambiamenti
addirittura necessari; ma erano proprio le modalità, con cui li si stava proponendo
e perseguendo: procedimenti innovativi esageratamente rapidi potevano
nascondere qualche “salto nel buio” dettato dall’impulso frenetico d’una “nuova
generazione, che crede di sapere tutto e di poter tutto mutare”. Proprio per
questo, terminava le sue parole, dichiarando umilmente che sentiva come suo
“forte dovere di ammonirla”.
Sono passati circa novant’anni: forse
non pochi perché gli “anziani” e le “nuove” generazioni del nostro tempo
rileggano la nostra storia, prendendo qualche utile lezione.