L’ANTICA CHIESA PARROCCHIALE E
IL CENTRO CULTURALE Q. SCOZZI*
Il
14 gennaio 1979, giusto quarant’anni fa, sul quotidiano cattolico «Avvenire», a
firma d’un autore sottoscritto con lo pseudonimo DABO, appariva l’articolo «Il
Circolo di Melissano è un rudere pericolante», col quale richiamava l’attenzione
sugli obblighi giuridici e morali dei neoproprietari dello stabile, cioè degli
amministratori comunali d’allora, non solo noncuranti d’informare i cittadini sullo stato del sacro edificio
acquisito in permuta di suolo pubblico edificabile, ma anche gravemente ignari
essi stessi del valore storico e culturale di quel «complesso monumentale», di
cui erano venuti in possesso: si trattava di «una delle più antiche costruzioni
melissanesi», ultima testimonianza e unico documento della memoria storica del
paese. Correva voce, perdipiù, che proprio i responsabili della pubblica
amministrazione del tempo - e pare che qualcuno ne avesse dato anche palese e
disinvolta dichiarazione - non avevano alcun problema perfino ad abbattere subito
e, quindi, a cancellare del tutto ogni traccia della vita passata del paese e l’unica testimonianza storica di quello che avevano
saputo fare gli abitanti laboriosi e devoti dell’antico paesino.
In
realtà quell’antica chiesa era rimasta chiusa già da qualche tempo. Infatti, restaurata
ultimamente nel 1910, grazie al contributo del popolo e alla generosità di
Francesco Corvaglia (zio del letterato-filosofo Luigi Corvaglia), dopo un
periodo di chiusura, fu riaperta e utilizzata, in mancanza d’un’altra sede
disponibile, come «Circolo» (da cui anche l’appellativo di «Circolo Vecchio»),
nel quale, oltre agli incontri e alle attività dei vari gruppi di Azione
Cattolica, veniva insegnato il catechismo ai bambini, si tenevano conferenze e
tavole rotonde, si allestiva durante la settimana santa il sepolcro di Cristo
morto, si rappresentavano dai giovani del paese spettacoli teatrali a carattere
sacro e anche divertenti. Col passare di alcuni anni, però, a poco a poco rimase
abbandonata completamente a se stessa, tanto che fu possibile (e facile) a mani
esperte trafugare tutte le antiche pale e frantumare gli altari laterali e
quello maggiore, che, se non erano certo di materiale prezioso, erano però il
frutto del sacrificio e della fede dei nostri progenitori. Erano necessari,
quindi, interventi di risanamento e consolidamento tempestivi e a tempo utile
per sanare le gravi condizioni dell’ex-chiesa.
In
verità, sull’argomento già da alcuni anni s’era fatto sentire - unica voce
solitaria e inascoltata nel deserto della comune indifferenza - il professore
Quintino Scozzi (Melissano,1928-1991), il quale avvertiva
- e ammoniva con dati documentati e verificabili - che, «distrutto ormai, intorno al 1949, il Castello che appartenne nel
1350 agli Amendolia, nel 1384 ad Orso Minutolo e nel 1723 ai Conti Caracciolo
di Taviano, e demoliti, nei pressi del castello stesso, alcuni abituri, sono rimaste,
quale testimonianza storica di quello che fu l’antico Melessano, la torretta
del vecchio orologio e l’ex chiesa parrocchiale, meglio nota come Chiesa
Vecchia o Circolo o Chiesa di papa Ntoni, buon parroco melissanese, esumato nel
1977 a seguito del restauro di una vecchia cappella sita nel Cimitero Comunale».
Ed è stato proprio e solo lui, con la tempestività dei suoi interventi e
col forte vigore delle sue lagnanze a voce e per iscritto, a riuscire a far bloccare
la ruspa demolitrice, già preparata per sgombrare la zona occupata dalla sacra costruzione
e spianarne il suolo, onde poter accogliere probabilmente un’area fabbricabile
o destinata addirittura a pubblico parcheggio. E’ a buon diritto, quindi, che
quell’edificio «sopravvissuto» sia stato intitolato al professore Quintino
Scozzi, quale generosa - nonché doverosa
- riconoscenza da parte di tutta la cittadinanza. Anche per questo lo stabile è
stato destinato esclusivamente a ospitare iniziative e attività culturali di
chiunque avesse voluto fruirne, dando, così, un concreto contributo per la
comune elevazione intellettuale e per l’arricchimento culturale di tutti i
cittadini, e specialmente delle nuove generazioni, quanto mai bisognose di
radicarsi nella verità storica delle loro origini e nell’umana fedeltà ai
lasciti fatti loro dagli antenati, senza smarrirli nell’odierna diffusa superficialità
di pensiero e nel pressappochismo culturale dilagante.
E’ necessario, allora, conoscere
gl’intensi momenti di lavoro febbrile dedicati da Quintino Scozzi, per riuscire
a impedire la rovina e la perdita di così significativa opera sacra e storica.
Il 2 novembre 1978 il Consiglio Comunale di Melissano approvava l’«Atto di
transazione stipulato tra il Comune e la parrocchia di M. SS.ma del Rosario»,
col quale, in buona sostanza, si ratificava la permuta, per cui il Comune diveniva padrone dell’antica
quattrocentesca chiesa parrocchiale «Sant’Antonio» e la parrocchia disponeva di
un’adeguata zona di suolo edificatorio, ove avrebbe potuto erigere un sacro
edificio. Diffusasi la notizia del proposito degli amministratori comunali di
abbattere il «sacro» stabile, centoventi giorni dopo, precisamente il 28
febbraio 1979, Quintino Scozzi diffonde una «Lettera aperta» dal titolo «’Il
Circolo Vecchio’ è un’Antica Chiesa da
Salvare», indirizzata al «Sindaco di Melissano, al Vescovo di Nardò, al
parroco di Melissano, al Soprintendente alle Antichità della Puglia, a ‘Italia
Nostra’ e alla cittadinanza». In questo pubblico documento, narrata
sinteticamente la storia plurisecolare della vecchia chiesa, dopo aver
sottolineato che non è stata «Mai dissacrata e
mai profanata, ma completamente abbandonata a se stessa», lamentava che «La
vecchia grande ammalata, invece di ricevere assistenza e cure consone al suo
male, venne incredibilmente ceduta anche in affitto. (…). Mosso da un
sentimento ‘fatto’ di rispetto, di pietà e di venerazione – continua lo Scozzi - chiesi e chiedo alle
Autorità competenti che l’antica chiesa sia recuperata in tutta la sua
interezza – in omaggio al passato, al futuro, alla vita e all’arte – al culto
dei fedeli».
Una decina
di giorni dopo, constatate l’ottusità degli amministratori locali e l’ignara
indifferenza della cittadinanza (tutti - forse - persuasi che davanti a fatto
compiuto anche quell’unico fanatico cittadino si sarebbe rassegnato), Quintino
Scozzi apriva un
vero fuoco concentrico su tutti i fronti interessati. Infatti, il 2 marzo 1979 espone in una lettera privata le sue lagnanze
allo stesso vescovo di Nardò, garante del baratto. Il 21 marzo successivo invia
un esposto al Sovrintendente alle Antichità e alle Belle Arti di Bari,
segnalando il caso e richiedendone l’intervento, per comporre la delicata
questione. Il vescovo risponde il successivo 29 marzo, con altrettanta
gentilezza, ma con parole ferme e chiarificatrici. Infatti, dando atto della
nobiltà del gesto del professore Quintino Scozzi «per il Suo interessamento per
salvaguardare un antico monumento e conservagli il suo carattere sacro»,
sottolineava che nella convenzione col Comune era ben evidenziato che la
transazione mirava a «stabilire le basi per il salvataggio del monumento chiesa
coi necessari lavori di restauro, che il Comune potrà eseguire, e avere, nello
stesso tempo, la possibilità di prevedere la costruzione di una chiesa in zona
dell’abitato lontana dalle chiese esistenti, nonché di avere i mezzi per
rendere abitabile la casa del parroco e utilizzare i locali a fianco della
Chiesa Matrice. Se poi – concludeva il vescovo - la Sua azione dovesse ottenere
la conservazione, dopo restauri, dell’uso sacro della predetta chiesa, senza
compromettere le altre basi dell’accordo, sarà stata un’azione veramente
benemerita. Voglia Dio che ciò avvenga». Il Sovrintendente alle Antichità e
alle Belle Arti di Bari, da parte sua, con nota 3186 del 5 maggio 1979,
comunicava anche all’indirizzo privato dello Scozzi che l’ex-chiesa
parrocchiale era dichiarata «Complesso Monumentale» per effetto della legge1089
del 1939. Così l’unico monumento storico melissanese era salvo a comune
beneficio soprattutto delle nuove generazioni. Bisognava, però, riportarlo a
condizioni degne della sua realtà e salvaguardarlo dalle mani degli uomini e
dall’azione della natura.
E
Quintino Scozzi s’adoperò anche per questo. Dopo qualche anno, infatti,
cambiarono gli amministratori comunali, risultando eletto anche lo scrivente,
che si vide recapitare per posta un opuscolo scritto dallo Scozzi e fresco di
stampa sulla «Storia di una chiesa», accompagnato dalla seguente lettera datata
11 aprile 1982: «Al caro amico, prof. Cosimino Scarcella, con grande stima e con la speranza che Egli, da Vicesindaco di
Melissano ma soprattutto da autentico democratico e da buon cristiano quale
sempre è stato, s’adoperi nel miglior modo possibile, perché l’unico monumento
storico melissanese sia al più presto portato al suo antico splendore e restituito
(utinam!) all’uso sacro, come da aspirazione dello stesso artefice della
infelice permuta». Seguì un nostro incontro personale, che si concluse con il
proposito di collaborazione, ovviamente nei termini del possibile. Ma tempi e
circostanze non furono a vantaggio della nostra promessa. Dopo alcuni anni,
però, chiamato nuovamente a sobbarcarmi al compito di vicesindaco, non
dimenticai il problema ex-chiesa, che nel frattempo era stata risanata e consolidata
nelle strutture murarie. Con il lavoro volontario di studenti delle ultime
classi dell’Istituto d’Arte di Parabita e di alcuni architetti messi a
disposizione dall’Amministrazione Provinciale di Lecce, furono restaurate tutte
le parti dotate di antichi dipinti e il 6 dicembre 1997 l’Amministrazione
Comunale di Melissano, con una pubblica e affollata manifestazione, consegnò
alla cittadinanza il suo «complesso monumentale», che con senso di dovere e di gratitudine
fu intitolato al Quintino Scozzi.
Per
l’occasione fu della
Puglia, avviando così la volontà di recuperare e riportare al suo antico
splendore il monumento. Tale recupero, oggi, è stato possibile grazie
all’intervento finanziario e alla collaborazione della Provincia di Lecce. Con
uno sguardo ammirevole e riconoscente al passato, l’augurio è che tutti noi che
viviamo il presente tramandiamo questa grande opportunità alle generazioni
future, con l’impegno di utilizzare e mantenere l’ex chiesa S. Antonio, ora “Centro
Culturale Quintino Scozzi”, come veramente merita». ristampato l’opuscolo Storia di una Chiesa, arricchito con
foto documentarie del prima e del dopo il restauro e corredato, oltre a un
profilo della figura umana e professionale dello Scozzi tracciato dallo
scrivente, d’ una introduzione scritta dal sindaco protempore, in cui si legge
tra l’altro: «La intitolazione dell’ex chiesa S. Antonio al prof. Quintino
Scozzi vuole essere consapevolezza e conoscenza per questo nostro concittadino,
che, con studi attenti e accurati e con notevole impegno, contribuì ad ottenere
il provvedimento di vincolo storico-artistico da parte della soprintendenza ai
Beni Culturali ed Artistici
Pubblicato in "Presenza Taurisanese", a. XXXVII, n. 310, aprile 2019.
Pubblicato in "Presenza Taurisanese", a. XXXVII, n. 310, aprile 2019.