Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

mercoledì 4 novembre 2015

A TORINO UNA MOSTRA PER UNO SLANCIO CULTURALE


Oggi, mercoledì 4 novembre 2015, presso le Sale Espositive della Fondazione Giorgio Amendola e dell’Associazione lucana Calo Levi, in via Tollegno 52, Torino sarà inaugurata la mostra “Propaganda”, “Artefatti digitali di Carlo Miccio”.

La Mostra, che rimarrà aperta sino al 31 dicembre (con ingresso libero), “nasce – scrivono gli organizzatori - dal bisogno di parlare di sentimenti alle masse in una forma nuova, colorata e rivoluzionaria. Per farlo abbiamo scelto il linguaggio della Rivoluzione d’Ottobre (…). Il più dirompente strumento di quello straordinario sforzo creativo fu il manifesto rivoluzionario, nato da una visione improntata a un’indomabile fiducia nel futuro e all’eterno ottimismo nelle capacità del popolo in lotta (…). E così noi oggi (…) . Abbiamo campionato e assemblato nuovi messaggi che invitano le masse ad innamorarsi, a non temere la paura, a reclamare il proprio diritto alla felicità in una società nuova e più giusta. Una società dove tutti devono essere in grado di esprimere i propri sentimenti, dove si mangia meglio e di più, dove si lavora meglio e di meno. Una società dove si è più felici, realizzati, liberi”.

Valida iniziativa. Riscoprire le proprie radici è il momento primo e necessario per capire veramente  il presente e programmare concretamente il futuro. Senza inutili e nostalgici passatismi e senza pericolosi e spregiudicati avanguardismi.

 

lunedì 2 novembre 2015

VATICANO, PAPA BERGOGLIO E LE SPERANZE NEL SINODO

Pubblicato su Affaritaliani il 19 ottobre 2015
 
Inizia la terza e ultima settimana dei lavori del sinodo dei vescovi, ormai divulgato come sinodo sulla famiglia. In realtà i problemi, su cui l’assemblea sinodale è chiamata a discutere e decidere, coinvolgono temi dottrinali e aspetti pastorali d’inestimabile valore per le ricadute sulla vita sia dei singoli che dei popoli. Sicuramente d’indiscusso rilievo rimane l’attenzione verso le angosce delle famiglie difficili o irregolari, che, in verità, hanno preoccupato la gerarchia cattolica sempre, ma, in modo costante e puntuale dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Ora, dall’odierno sinodo si attendono valide decisioni più operative e più aderenti all’evoluzione della realtà sociale, compresa quella del riconoscimento dei diritti civili e della giustificazione etica delle coppie omosessuali. Ci si aspetta il coraggio da parte di tutti a non problematizzare l’evidente e a non creare difficoltà, dove vi sono soltanto realtà chiare, oneste e semplici. Era questo il significato anche dell’appello, che cinquant’anni fa il cardinale Suenens rivolse nella Basilica di san Pietro ai Padri del Concilio Vaticano II, proprio mentre discutevano sui problemi del matrimonio: ”Prego tutti voi, miei fratelli vescovi – implorò il Primate del Belgio -  evitiamo un nuovo caso Galilei! Uno è già sufficiente!”. Anche questa volta fa ben sperare il constatare che ben tre delle 27 Assemblee sinodali si siano concentrate sulla famiglia. 

Tuttavia, è di rilevanza davvero storica e annuncia probabili tempi meno guerreggianti e più solidali  - sia per la coesistenza delle diverse religioni e sia per le difficoltose relazioni internazionali - il comportamento “concretamente” rivoluzionario di papa Francesco, con cui ha dichiarato con semplicità e chiarezza il suo modo di concepire e gestire il “potere pontificio”, ch’egli immagina e programma non più ristretto nei termini tradizionali del primato pietrino. Rivelatore ed eloquente è stato lo scenario, che lui ha voluto offrire sabato scorso nell’Aula Nervi, in occasione della commemorazione del 50° anniversario del Sinodo, istituito da Paolo VI: si è visto non un Pontefice sul trono papale, che rivolge la sua parola a cardinali e vescovi seduti di fronte a lui ad ascoltare, ma un papa seduto intorno a un ampio tavolo, e con lui c’erano, anch’essi seduti e pronti a rivolgere la propria parola, porporati e presuli provenienti da tutte le parti del mondo.
La storia documenta come l'interpretazione radicale del decreto “Pastor aeternus”, con cui nel 1871 il Concilio Vaticano I aveva definito e stabilito l'autorità del primato del papa su tutta la terra (insieme alla sua infallibilità in materia di fede e di morale) sia stato in realtà l'ostacolo più forte, che ha impedito il dialogo fra le confessioni religiose e un rapporto positivo e costruttivo con i poteri laici delle società e degli stati. A riconoscere ciò è stato vent’anni fa lo stesso papa san Giovanni Paolo II: “La convinzione  della chiesa cattolica - scriveva nel 1995 nell’enciclica “Ut unum sint” - di aver conservato, in fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei padri, nel ministero del vescovo di Roma, il segno visibile e il garante dell'unità costituisce una difficoltà per la maggior parte degli altri cristiani”. Ecco, allora, il paradosso, a cui papa Francesco non riesce ad arrendersi: il vescovo di Roma, da strumento e garante di unità e di pace, è stato fatto segno di divisione e di contrasti. L’umanità – non solo credente o cattolica - finalmente guarda a questo papa che, continuando sulla strada tracciata già dalla fine della seconda guerra mondiale col papato di Pio XII, sta portando a buon fine la riflessione e la soluzione del problema del rapporto tra il potere del pontefice e quello del collegio episcopale. E ciò grazie al rispetto della sinodalità codificata mezzo secolo fa da papa Montini. 
Facendo eco alle parole di papa Wojtyla, con cui esortava a “Trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”, papa Francesco sabato scorso ha ribadito “la necessità e l’urgenza di pensare a una conversione del papato”, ricordando che “l’impegno a edificare una Chiesa sinodale è gravido di implicazioni ecumeniche”, in quanto  “Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come battezzato tra i battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo – come successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese”. 

Non può essere la vita reale del mondo a doversi limitare e adattarsi alle esigenze della Chiesa e della religione, ma il contrario. Non possono le leggi – anche religiose - ostacolare lo sviluppo dell’umanità, ma debbono rispettarlo, accompagnarlo, sostenerlo e guidarlo mediante un attento e continuo dialogo. Nessuno può servirsi del mondo per scopi anche nobili, ma tutti debbono essere disponibili per il conseguimento e l’accrescimento del benessere e della felicità degli uomini. E lo sottolinea ancora papa Francesco, quando, ricordando come Paolo VI prospettava un organismo sinodale che “col passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato”, esorta: “Dobbiamo proseguire su questa strada (…). Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”.

 

 

 

LA RIFORMA DEL SENATO E LA SOSTANZA DELLA DEMOCRAZIA


Pubblicato su Affaritaliani il 14 ottobre 2015
La democrazia è sostanza di valori umani e di giustizia sociale, stile di vita, garanzia di diritti e di doveri. Certo, ha bisogno di norme procedurali e di regole di partecipazione e di comportamento, ma non può mai essere ridotta solo ad esse. Oggi assistiamo al Governo italiano che esulta. “Rottamata” la passata inerzia amministrativa, “asfaltate” le catastrofiche attese dei gufi di turno, giunge al traguardo della tanto sospirata e controversa riforma del Senato della Repubblica. E, senza interruzione di continuità, dà subito avvio alle nuove riforme, proclamate anch’esse come mezzo indispensabile per l’avanzamento civile e la crescita del benessere sociale. Si tratterà di riforme programmate e scandite secondo una ferrea modulazione anche dei tempi: si va avanti, nonostante tutto; non solo sorvolando su eventuali proposte di altre forze politiche, ma anche ignorando di fatto ogni confronto veramente disponibile, fino a ignorare gli ammonimenti avanzati dalla Banca d’Italia e persino a sprezzare le doverose annotazioni degli Organismi dell’Europa.
“E’ l’Italia che ce lo chiede”, è l’antifona  che vanno ripetendo i governanti. Il Cittadino italiano, invece, rimane incredulo, attonito: ha ancora davanti agli occhi le immagini delle scene delle Aule parlamentari, cui ha dovuto assistere nelle ultime settimane, suscitandogli perplessità e vergogna. Ora, però, placatosi alquanto l’ingarbugliato e incandescente clima politico, è opportuno, lasciare da parte ogni inutile lagnanza e commento, fermarsi per riflettere seriamente sulla condizione reale della vita democratica in Italia.
E’ ormai un dato di fatto l’esautorazione del dettato dell’articolo 1 della Costituzione. Ora preoccupa anche la sorte, cui sembra destinato anche l’articolo 3, che sancisce: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che (…) impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.  Tradotto in pratica, s’impone, per una democrazia realizzata, la “partecipazione” responsabile dei cittadini, costanti e attivi protagonisti della “organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ne consegue che ogni riforma o “regola del gioco” dev’essere valutata in base ai contenuti che si vogliono perseguire e che debbono investire l’interesse generale di tutto il popolo, espresso tramite i suoi rappresentanti. Se ciò non viene consentito e garantito, ogni riforma può nascondere un astuto e mascherato sotterfugio per finalità antidemocratiche, che i cittadini, quando le scopriranno, rigetteranno con modalità non sempre prevedibili.
E’ chiaramente infondato e strumentale il sostenere che i governi hanno il “dovere di fare”, ovviamente nell’interesse del popolo, tutti gli interventi necessari, anche ad esso non graditi e che i partiti non farebbero mai per un proprio tornaconto elettorale. Ciò è falso: nella nazione - che sia democratica non solo formalmente, ma in primo luogo nella sua sostanza - dev’essere riconosciuto, sempre e in ogni circostanza, il diritto-dovere del popolo di autodeterminarsi, in qualsiasi direzione si decida di andare, compresa quella eventualmente non condivisa dal governante di turno. La vitalità d’un popolo  democratico ammette solo i limiti e le forme che pone da sé, in via temporanea e transitoria, sempre disposta a superarli sino a rovesciarli. “Se a me socialista – insegna Sandro Pertini - offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare”. 

Ciò di cui soffre la politica italiana è evidenziato dall’incremento quotidiano del maggiore partito: quello degli elettori che non votano e che si confermano nel rigetto di una politica chiusa in se stessa, lontana dal popolo e insensibile ai suoi veri problemi. A riparare questa grave situazione non basta produrre riforme con l’ausilio di “una” maggioranza racimolata, momentaneamente utile, ma variopinta e non sempre disinteressata. E’ necessario ricostruire il partito politico previsto dall’articolo 49 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare a politica nazionale”. Ma, guardando serenamente la politica italiana degli ultimi decenni, risuonano le parole di Enrico Berlinguer: “ I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela”. 

Il Presidente del Consiglio e Segretario del maggiore partito di oggi ha probabilmente capito il problema e intuito anche la soluzione: ricreare partiti fatti dai cittadini, liberi e consapevoli, per riportare l’azione politica nei suoi veri binari. Probabilmente sta impegnando questi suoi primi tempi a prepararne la strada giusta. Probabilmente è la tirannia della situazione eredita che lo costringe a “collaborare” con un Parlamento di nominati e con capi-partiti interessati a se stessi. Ma a questo proposito non disdegni di riflettere su un consiglio d’un suo predecessore, che contribuì coraggiosamente a ricostruire in Italia una vita materiale e morale degna degli italiani: “Non sostate – ammonì Alcide De Gasperi - sui labili espedienti, non illudetevi con una tregua momentanea, con compromessi instabili”. Il corpo sociale del popolo italiano è sano e incorrotto: va ascoltata soprattutto la sua voce. Oggi il pericolo non è una paventata deriva autoritaria, ma la rottura dei rapporti con il popolo.