Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

domenica 6 febbraio 2011

LA BIOETICA TRA SCIENZA DIRITTO E MORALE PER LA DIFESA DEI DIRITTI DELL’UOMO

Alla domanda perché sia nata la bioetica vengono date risposte differenti, perché esse vengono costruite su visioni storiche discordi e restano influenzate da interessi culturali diversi. Tuttavia, una tesi dominante è che la bioetica è nata per proteggere l’umanità dalle conquiste talora incontrollabili della scienza e dalle applicazioni spesso pericolose della tecnologia, per cui è ritenuta una disciplina “difensiva”, in quanto ad essa è delegato il compito di salvaguardare l’umanità dai pericoli che deriverebbero dal mondo della scienza, la quale, pertanto, deve essere riportata sotto la tutela della morale. Anche per questo motivo ogni altra idea e progetto di bioetica, che mirino ad evidenziare i non pochi benefici della scienza e a documentare i non trascurabili vantaggi della stessa tecnica ben applicata, sono visti come il tentativo ingannevole di prevaricare i limiti opportunamente segnati dal senso morale e dalle leggi delle società.

Per verificare l’attendibilità di queste affermazioni, sembra quanto mai opportuno partire da una constatazione indiscutibile: oggi viviamo in tempi dominati da grandi richieste, spesso paradossali e talora persino contrastanti. Infatti, alcuni pretendono d’affrettare la morte di chi soffre (eutanasia), altri gridano alla sacralità della vita e lottano per avere un trapianto; alcuni rivendicano la libertà assoluta per la ricerca scientifica (per giungere a debellare malattie ora inguaribili), altri reclamano la liceità e la bontà del rifiuto di terapie intensive e artificiose, condannate comunque all’insuccesso; alcuni predicano la sacralità inviolabile della vita, altri rivendicano l’irrinunciabile diritto-dovere di migliorarne sempre di più la qualità, rendendola più a dimensione della dignità della natura umana.

A questo punto, non solo è lecito chiedersi cosa determini questa situazione di conflittualità tra scienza medica, leggi della società e norme morali, ma è anche doveroso e urgente trovarvi soluzioni leali e risposte adeguate, considerato che rimangono coinvolti esseri umani (e talora non solo), che concretamente vivono una sola volta e che vogliono, perciò, capire sul serio il valore e il senso della loro vita, per accettare ragionevolmente le situazioni (positive e negative), nelle quali si trovano o potrebbero venire a trovarsi.

Come documenta tutta la tradizione (soprattutto quella che fa riferimento a Ippocrate) l’arte medica alle sue origini consisteva in una pratica clinica affidabile. Il medico, cioè, combatteva la malattia grazie alla sua esperienza; quindi, se un medico dimostrava con i fatti di possedere questa abilità, allora riscuoteva la fiducia dei pazienti, i quali lo giudicavano medico “dotto” e medico “buono”, in quanto con le sue conoscenze operava sempre bene, debellando sofferenze e ridando salute. In sostanza il medico dipendeva dal giudizio e dall’approvazione del paziente, che gli confermava o negava la fiducia oppure ne decretava l’inefficienza e la pericolosità. Il paziente si sottoponeva alle cure anche dolorose che il medico prescriveva, solo perchè era convinto che gli venivano prescritte secondo alcune norme e miravano esclusivamente al suo bene.

Con il trascorrere del tempo il contenuto del sapere della medicina muta gradualmente, arricchendosi sempre di più. Le conoscenze che il medico deve dimostrare di possedere cominciano a costituire il presupposto indispensabile per ogni suo intervento curativo. La medicina dovrà essere in grado di prevedere malattie e affezioni, che avrebbero interessato sia i singoli e sia le collettività; quindi, essa assume il ruolo di utilità anche sociale, potendo – attraverso una propria adeguata organizzazione - divenire lo strumento indispensabile per il mantenimento dell’igiene pubblica e per la tutela della salute d’intere società. Nello stesso tempo, però, scaturiscono le responsabilità anche delle pubbliche autorità, le quali, dovendo tutelare la salute di tutti i cittadini, hanno la responsabilità di “orientare” il sapere e l’arte medica attraverso leggi, alle quali dovranno attenersi sia gli operatori sanitari e sia i pazienti. Le scelte riguardanti la salute anche individuale non stanno più nelle mani del singolo paziente, ma passano attraverso le decisioni pubbliche della società, che attraverso le leggi dello Stato controlla la medicina.

Questo stato di cose genera una sorta di valida alleanza e d’operosa collaborazione tra società e scienza medica, in quanto era più semplice per tutti determinare un bene pubblico omogeneo d’un’intera comunità anziché capire e soddisfare le diverse esigenze dei singoli pazienti. Nello stesso tempo, però, per gli individui nascono delicati e spinosi problemi su cosa intendere e cosa fare per la tutela della salute “propria”, dal momento che – in sostanza - è lo Stato che con la forza dei suoi ordinamenti giuridici decreta l’inizio e la fine della vita, decide quali interventi sono leciti e quali vietati, determina quali scelte sono possibili e quali vietate.ù

I problemi s’accrescono e s’acuiscono ancora di più, quando la scienza conquista nuove conoscenze importanti, che la medicina, però, non può rendere operative per colpa dell’autorità politica, che non riesce a deliberare a tempo debito regole di comportamento adeguate ed efficienti. La situazione s’aggrava ulteriormente, quando al processo di Norimberga emerge che in Germania, che aveva tutta una propria legislazione a garanzia della sperimentazione scientifica, gli internati d’un campo di concentramento erano stati usati per la sperimentazione. E’ a questo punto che nasce e s’impone la bioetica, con lo scopo di sollecitare una possibile armonia tra l’utilità della scienza medica e la tempestività di norme comportamentali. Quindi, storicamente la bioetica nasce per garantire la dignità dell’uomo, pesantemente violata dall’irresponsabilità di certi ricercatori scientifici e gravemente compromessa dall’inerzia legislativa degli Stati. Essa intende raggiungere questo scopo mediante due suggerimenti: riportare al centro delle scelte mediche la libera volontà del singolo cittadino, che deve ritornare ad essere il primo e maggiore protagonista nelle decisioni riguardanti il suo diritto alla salute e ripristinare la fiducia nella vera scienza, intesa come forma di conoscenza controllata e continuamente rielaborata attraverso metodi trasparenti e socialmente aperti, in quanto così non rappresenta un pericolo per l’uomo; anzi, al contrario, rappresenta il sistema più efficace per la tutela dell’ambiente e per la soluzione di problemi, che l’evoluzione biologica e quella culturale hanno prodotto e producono nella lunga storia della vita sulla terra.

Si nota facilmente come in tutto questo contesto rimane quasi scontato il presupposto che la medicina e la scienza in genere debbano essere ancorate e racchiuse naturalmente da regole morali. Ed è giusto. Come è giusto che, dinanzi alla fallibilità e addirittura alla devianza disumana di certa sperimentazione scientifica, la morale intervenga con decisione e fissi con chiarezza dei limiti ben precisi a difesa della vita umana; e ciò vale soprattutto da quando alcuni Stati si sono dimostrati incapaci di tutelarne i diritti contro l’imbarbarimento generato da certo mercato dei prodotti realizzati grazie alla ricerca scientifica. Solo che queste regole morali spesso pretendono di essere valide perennemente, se non addirittura in sé e per sé immutabili e, quindi, inviolabili, tanto da ritenerle naturalmente incorporate in qualunque campo scientifico. Ma forse non è proprio così. Infatti le norme della morale, nella scienza e in ogni campo dell’agire umano, debbono accompagnare e seguire anche i mutamenti storici e gli avanzamenti culturali, a rischio di rimanere inefficaci e sterili, quando non addirittura dannose, in quanto incapaci a indicare giuste finalità e di proporre opportune modalità. E questa è un’opinione fondata su riscontri di fatto. Infatti, se si esaminano alcuni problemi fondamentali, che stanno alla base della bioetica (quali, ad esempio, l’aborto e l’eutanasia), non è difficile notare che essi sono divenuti “problemi” non in seguito ai progressi e ai mutamenti ritenuti incontrollati della scienza, e nemmeno del tutto all’incapacità politica di legiferare, ma anche (e, in qualche caso, soprattutto) alla tenacia persistente e inamovibile di certe dottrine etiche, che, a differenza di altre, non hanno mai accolto né condiviso alcune valutazioni morali. E’ opportuno, allora, precisare che lo sviluppo scientifico ha solo messo in evidenza alcuni conflitti morali già da tempo sorti all’interno dell’etica, e da tempo discussi tra alcune posizioni etiche dominanti e altre rimaste, invece, minoritarie. Sotto questo aspetto, forse sarebbe più utile che le diverse teorie etiche aprissero tra di loro un dialogo aperto e leale, al fine di riconsiderare e rifondare alcuni principi fondamentali etici, da cui ricavare adeguate norme attuative, che mirino non all’affermazione di qualche posizione predominante, ma alla garanzia dell’autonomia e della libertà dell’uomo, unico e ultimo responsabile della propria coscienza.