Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

lunedì 10 novembre 2008

EDUCAZIONE ALL’ INVECCHIAMENTO

La “geragogia” (termine usato per la prima volta nel 1973 da Angiolo Sordi) oggi non è solo un’autonoma scienza teorica con un proprio oggetto di ricerca, ma è anche una forte esigenza reclamata dalla dignità della vita dell’uomo tanto nella limitata dimensione del singolo individuo quanto nelle più vaste relazioni della società umana. La geragogia, infatti, è la branca della gerontologia, che si propone di trovare, studiare e proporre un insieme organico d’insegnamenti volti al perseguimento d’un’organica educazione all’invecchiamento, quale preparazione per una vecchiaia attiva e vitale.
Si sa che nel futuro (che in alcuni aspetti si sta già vivendo) vi sarà un numero sempre maggiore di persone, che invecchieranno in maniera migliore sia dal punto di vista fisico che psichico; e tuttavia, però, con la sola triste previsione di vivere da “pensionati” per un numero considerevole di anni, talora notevolmente maggiore che nel passato.
Ora, non è concepibile che questi “nuovi anziani” siano destinati a vivere un periodo ragguardevole di vita senza un proprio ruolo sociale ben definito e connotato da idoneità reali. Non solo non è concepibile, ma è addirittura disumano e funesto, perché un uomo senza un ruolo autonomo di valori veri è necessariamente destinato all’emarginazione e, quindi, all’isolamento. E’compito primario della geragogia, quindi, chiedersi quale ruolo o funzione possa e debba avere l’anziano di oggi nelle strutture della società contemporanea, che cambia con ritmi vertiginosi, provocando numerosi meccanismi emarginanti.
Le trasformazioni degli ultimi decenni, infatti, hanno certamente generato non pochi benefici, ma hanno anche causato situazioni sfavorevoli, che hanno interessato i più deboli e in primo luogo gli anziani. L’industrializzazione del lavoro non ha bisogno più della creatività del singolo, perché si basa esclusivamente su lavori meccanizzati, ripetitivi e legati alla produttività e all’efficienza (quando non alla carriera): l’obiettivo primario è maggiore ricchezza e maggiore prestigio sociale; e quello che serve è una conoscenza operativa, bisognosa sempre e solo di nuovi aggiornamenti tecnici e metodologici. Non c’è alcun posto per l’esperienza acquisita (magari nel corso d’un’intera vita) anche come patrimonio di valori. Quell’esperienza propria che detiene l’anziano.
Anche il modello di famiglia “nucleare” è incapace di proteggere e valorizzare le potenzialità degli anziani, in quanto – data, appunto, la struttura del lavoro industrializzato – non ha la possibilità di accoglierli nel suo interno e tanto meno di garantire loro una qualche forma di assistenza.
L’età della pensione coincide con l’inizio di un ruolo improduttivo dal punto di vista economico e sociale: lo stabiliscono norme giuridiche, anche se a decidere (liberamente?) il passaggio dalla produttività all’improduttività è ciascun individuo.
Volendo esprimere questa realtà con espressione forse brutale, ma vera, si potrebbe dire: la vecchiaia, un tempo età di saggezza venerata e tenuta in gran conto per le sue potenzialità “produttive” in termini di guida, ora è sostanzialmente età d’attesa che la vita finisca, cessando di essere un peso per gli altri e un tormento per se stessi, condannati all’isolamento e all’emarginazione.
La geragogia si faccia carico di questi aspetti umani e, affrontando indagini impietose sulla realtà effettiva del vecchio oggi, fornisca indicazioni “oggettive” per un’adeguata educazione all’invecchiamento degno dell’uomo.