Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

sabato 17 maggio 2008

UN EREMITA GIA' "POSTMODERNO"

IL SENSO DI UNA RICORRENZA:
IL 40° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL SERVO DI DIO
DON QUINTINO SICURO da MELISSANO (Lecce)

Quest’anno ricorre il 40° anniversario della morte del Servo di Dio don Quintino Sicuro. Mio concittadino illustre ed esemplare, don Quintino Sicuro è un prezioso patrimonio di cultura popolare e di spiritualità religiosa, che va ripensato e imitato sempre, ma soprattutto nei tempi attuali, in cui sembra che gli uomini abbiano smarrito molti punti validi di riferimento e s’affidino, perciò, a ideali falsi, anche se lusinghieri e allettanti.
Don Quintino Sicuro si presenta come l’uomo totale che, con lucida persuasione e convinta adesione, scopre in sé stesso i sensi veri dell’essere umano, valuta con serietà il contesto sociale in cui la storia l’ha fatto nascere e vivere e, di conseguenza, imprime alla sua vita quelle svolte che, a suo modo di sentire, uniche gli facevano realizzare una vita piena e degna dei suoi intimi convincimenti.
Gli uomini del nostro tempo – come quelli del secolo scorso in cui don Quintino è vissuto – sembrano stordirsi tra i rumori degli affari e del potere, dissiparsi nell’inseguire ricchezze e onori, distruggersi nel rincorrere il tempo che scorre vorticosamente, trascinandosi ogni valore di dignità umana vera.
Don Quintino Sicuro, che viveva con impegno nella realtà della Melissano d’allora, siccome non lo soddisfaceva interiormente, decise di cambiare nel tentativo di trovare modi di vita più appaganti, finchè giunse alla svolta radicale: si separò dal mondo e si rifugiò nel silenzio della solitudine, in cui, andando al di là della realtà mondana, trovò la verità. Scelse, quindi, di rimanere e operare nel mondo, ma di non essere più del mondo. Comprese che tutte le mostruosità dell’umanità si racchiudono nella smania che l’uomo ha di diventare il centro e il termine della propria esistenza. Egli volle diventare eremita, cioè uno che vive in solitudine ma tra la gente: in questo modo ricorda agli uomini che essi valgono non per quello che fanno, ma per quello che sono. E faceva tutto ciò con grande spirito di servizio. La sua solitudine, quindi, serviva a scoprire e vedere la verità, per poi avvicinarsi agli altri e comunicarla loro. Aveva capito che la più grave povertà di oggi è la mancanza di pace, la paura della sofferenza, della morte; aveva compreso che il vero deserto sta nella vita caotica delle città piccole e grandi, per cui era necessario creare oasi di pace e di riconciliazione. E realizzò tutto ciò in atteggiamento costante improntato alla gioia, alla libertà, alla pace e all’armonia tra di loro degli uomini e delle cose.
La sua esperienza eremitica dice anche oggi che c’è bisogno di momenti di solitudine, per saper leggere nell’animo nostro, per divenire capaci di non condividere sempre e comunque i modi di pensare e di agire dei più e della moda del momento.


Nessun commento: