Pubblicato su Affaritaliani il 10 aprile 2016
“Corrono brutti tempi” è la
sensazione dominante, tra stupore e incredulità, appena si dà uno sguardo alle
realtà sociali e politiche dei nostri giorni. Viene subito in mente
l’indignazione con cui duemila anni fa il console Cicerone, seriamente preoccupato,
lamentava l’andamento delle cose nella Repubblica romana del suo tempo,
inquinata dalla corruzione devastante, dallo smarrimento dell’etica pubblica e
dalla perdita dei valori morali a ogni livello.
“Una
confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella
civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico” accusava, da parte sua, Herbert
Marcuse, quando mezzo secolo fa analizzava e descriveva le condizioni reali di
vita nelle attuali società industrializzate, anche se guidate da governi che si
designano come democratici. In essi, infatti, risaltano alcune caratteristiche
dannose: manipolazione della verità, usurpazione della libertà individuale, baratto
dei valori fondativi la democrazia, lotta smodata per scalare il potere, insaziabili
ambizioni di benessere e di accumulo di ricchezze. Tutto abilmente camuffato da
allettanti promesse di crescita generale sicura e godibile da tutti.
Grazie, poi, ai rapidi processi
industriali, alle enormi conquiste scientifiche e tecnologiche sempre più efficienti,
l’uomo viene fatto sentire padrone della natura, e, disponendo di sempre più veloci
mezzi di comunicazione, viene fatto illudere d’essere ormai divenuto l’invincibile
dominatore dell’universo e di tutti i meccanismi della vita, compresa quella umana.
Per poi, però, farlo ritrovare di fatto inadeguato alle nuove situazioni e sprovvisto
delle capacità necessarie per l’enormità della sfida da affrontare. Con gravi
imprevedibili conseguenze per gl’individui e le collettività. Non a caso negli
stessi anni Hans Jonas proponeva la nuova formulazione dell’imperativo
categorico kantiano: “Agisci in modo che
le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della
vita umana sulla terra”.
A questo punto s’impone la
necessità d’una riconsiderazione dell’intero modello culturale dell’attuale società
industrializzata: proposto come fondato sulla verità, proclamato come salvaguardia
di libertà e come garanzia d’innovazione e di futuro, nella realtà significa,
però, soltanto liberismo e capitalismo, in cui sono proprio la verità, la
libertà e l’equità che, benché ammesse formalmente, nella realtà rimangono del
tutto esautorate e annichilite, tanto che non c’è alcun posto né per una verità
oggettiva, né per un comune senso morale riconoscibile, né per un’etica
pubblica cogente e condivisibile. Infatti, nel capitalismo industrializzato è
possibile affermare e negare indifferentemente ogni cosa, in qualunque tempo;
di conseguenza, solo il “nichilismo” (da dottrina filosofica divenuta categoria
sociale) rimane l’unica visione in grado di sorreggere e avallare i contenuti e
le implicanze del liberismo e del capitalismo, che s’arrogano il potere di elaborare
e imporre soltanto le norme che si dànno da soli, in quanto devono essere atte
a promuovere sempre e solo gli interessi del libero mercato e a inseguire gli
umori variabili dell’offerta-domanda, assecondando la logica dominante della
“volontà di potenza”. E fidando, naturalmente, nell’intervento salvifico della “mano
invisibile”, che tutto adatta e tutto seleziona in una dinamicità interattiva.
Le
proposte alternative non saranno certamente né la rassegnata accettazione né il
radicale violento rifiuto: sarebbero risposte entrambe utopiche e inconcludenti,
e aggraverebbero ulteriormente la situazione. E’ necessario, invece, analizzare
la vera natura delle cause che conducono ai risultati umanamente negativi e
socialmente inaccettabili. Ora, davanti a noi si presenta un quadro sociale e culturale
caotico: c’è una confusione generale dei princìpi, che causa un pericoloso
rovesciamento dei valori reali. Infatti, mentre da ogni parte si ribadiscono la
centralità dell’uomo e la dignità della persona, invece s’assiste a realtà di
sfruttamento disumano, di disuguaglianze e di ingiustizie talmente gravi e
offensive da far scrivere all’ONU giovedì scorso (7 aprile) dall’attuale Papa:
“La grave questione della schiavitù
moderna e del traffico di esseri umani continua a essere una piaga in tutto il
mondo” da ritenersi un vero e proprio “crimine contro l’umanità”. A porre
ordine e a tentare di sanare le disumane condizioni delle nostre società
cosiddette avanzate è necessario che lo scopo ultimo ritorni a essere l’Umanità
in tutte le sue dimensioni, e i mezzi siano gestiti come mezzi. Soltanto quando
non sarà dimenticata la dignità d’ogni persona e si daranno i dovuti
riconoscimenti a coloro che il capitalismo ha reso emarginati e ridotto a utili
strumenti di produzione-consumo, allora si può ragionevolmente sperare che le
società saranno comunità di individui dello stesso genere e della medesima
dignità: ognuno fine ultimo della vita e non ridotto a mezzo di ricchezza
economica o di potere politico.
Occorre mettere in atto ogni
possibile iniziativa, per impedire il diffondersi d’una coscienza palesemente
falsa e promuovere la formazione d’una coscienza umana autentica: ossia, uscire
dagli interessi immediati e privati e mirare e tutelare i diritti reali della
società intera. Bisogna cominciare dal prendere atto quanto sia deleterio per
tutti, anche per le stesse imprese e gli stessi governi, concentrarsi
soprattutto sulla creazione di profitti. Già quattro secoli fa nella “Nuova Atlantide” (1626) Francesco Bacone
insisteva sulla necessità di un'organizzazione di ricerca coordinata tra
“sapienti”; in essa nutriva concreta fiducia per un progresso scientifico e
tecnico a dimensione umana e tratteggiava il disegno d’una società del futuro
amministrata e governata grazie al dominio della scienza e della ricerca da
parte dell’umanità: gli scienziati – in proficua leale collaborazione con i
governanti delle nazioni - saranno quei “mercanti della luce”, che
divulgheranno ogni scoperta e ogni conquista in tutte le parti del mondo,
perché la Terra è di tutti e nessuno può essere escluso dalla fruizione del
progresso. Ma un patto: che il vero fine sia “la conoscenza delle cause e dei
segreti movimenti delle cose per allargare i confini del potere umano verso la
realizzazione di ogni possibile obiettivo”, e non l’asservimento dell’Umanità e
della Natura sotto la schiavitù dell’egoismo e delle passioni.
Utopia? Forse. Ma Kant ha
dimostrato abbondantemente l’energia e la potenza delle idee: mete da non
perdere mai di vista, ma a cui guardare costantemente come fari di luce, per un
cammino sicuro e umanamente degno verso le Altezze della libertà e della
giustizia. Senza ideali, cui tendere con umana ma incrollabile speranza, l’uomo
“si fa vivere” dai flussi incontrollati della storia e del mondo: da attore o
co-attore protagonista della storia si riduce a insignificante comparsa sulla
scena del teatro dl mondo.