Pubblicato su Affaritaliani il 14 ottobre 2015
La democrazia è sostanza di valori umani e di
giustizia sociale, stile di vita, garanzia di diritti e di doveri. Certo, ha
bisogno di norme procedurali e di regole di partecipazione e di comportamento,
ma non può mai essere ridotta solo ad esse. Oggi assistiamo al Governo italiano
che esulta. “Rottamata” la passata inerzia amministrativa, “asfaltate” le catastrofiche
attese dei gufi di turno, giunge al traguardo della tanto sospirata e
controversa riforma del Senato della Repubblica. E, senza interruzione di
continuità, dà subito avvio alle nuove riforme, proclamate anch’esse come mezzo
indispensabile per l’avanzamento civile e la crescita del benessere sociale. Si
tratterà di riforme programmate e scandite secondo una ferrea modulazione anche
dei tempi: si va avanti, nonostante tutto; non solo sorvolando su eventuali
proposte di altre forze politiche, ma anche ignorando di fatto ogni confronto
veramente disponibile, fino a ignorare gli ammonimenti avanzati dalla Banca
d’Italia e persino a sprezzare le doverose annotazioni degli Organismi dell’Europa.
“E’ l’Italia che ce lo chiede”, è l’antifona che vanno ripetendo i governanti. Il
Cittadino italiano, invece, rimane incredulo, attonito: ha ancora davanti agli
occhi le immagini delle scene delle Aule parlamentari, cui ha dovuto assistere
nelle ultime settimane, suscitandogli perplessità e vergogna. Ora, però, placatosi
alquanto l’ingarbugliato e incandescente clima politico, è opportuno, lasciare
da parte ogni inutile lagnanza e commento, fermarsi per riflettere seriamente
sulla condizione reale della vita democratica in Italia.
E’ ormai un dato di fatto l’esautorazione del dettato
dell’articolo 1 della Costituzione. Ora preoccupa anche la sorte, cui sembra
destinato anche l’articolo 3, che sancisce: “E’ compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che (…)
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”. Tradotto
in pratica, s’impone, per una democrazia realizzata, la “partecipazione” responsabile
dei cittadini, costanti e attivi protagonisti della “organizzazione politica,
economica e sociale del Paese”. Ne consegue che ogni riforma o “regola del
gioco” dev’essere valutata in base ai contenuti che si vogliono perseguire e che debbono investire
l’interesse generale di tutto il popolo, espresso tramite i suoi rappresentanti.
Se ciò non viene consentito e garantito, ogni riforma può nascondere un astuto
e mascherato sotterfugio per finalità antidemocratiche, che i cittadini, quando
le scopriranno, rigetteranno con modalità non sempre prevedibili.
E’ chiaramente infondato e strumentale
il sostenere che i governi hanno il “dovere
di fare”, ovviamente nell’interesse del popolo, tutti gli interventi necessari,
anche ad esso non graditi e che i partiti non farebbero mai per un proprio tornaconto
elettorale. Ciò è falso: nella nazione - che sia democratica
non solo formalmente, ma in primo luogo nella sua sostanza - dev’essere
riconosciuto, sempre e in ogni circostanza, il diritto-dovere del popolo di
autodeterminarsi, in qualsiasi direzione si decida di andare, compresa quella
eventualmente non condivisa dal governante di turno. La
vitalità d’un popolo democratico ammette
solo i limiti e le forme che pone da sé, in via temporanea e transitoria,
sempre disposta a superarli sino a rovesciarli. “Se a me socialista – insegna Sandro Pertini - offrissero
la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi
della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare”.
Ciò di cui soffre la politica
italiana è evidenziato dall’incremento quotidiano del maggiore partito: quello
degli elettori che non votano e che si confermano nel rigetto di una politica
chiusa in se stessa, lontana dal popolo e insensibile ai suoi veri problemi. A
riparare questa grave situazione non basta produrre riforme con l’ausilio di
“una” maggioranza racimolata, momentaneamente utile, ma variopinta e non sempre
disinteressata. E’ necessario ricostruire il partito politico previsto dall’articolo
49 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare a
politica nazionale”. Ma, guardando serenamente la politica italiana degli
ultimi decenni, risuonano le parole di Enrico Berlinguer: “ I partiti di oggi
sono soprattutto macchine di potere e di clientela”.
Il Presidente del Consiglio
e Segretario del maggiore partito di
oggi ha probabilmente capito il problema e intuito anche la soluzione: ricreare
partiti fatti dai cittadini, liberi e consapevoli, per riportare l’azione
politica nei suoi veri binari. Probabilmente sta impegnando questi suoi primi
tempi a prepararne la strada giusta. Probabilmente è la tirannia della
situazione eredita che lo costringe a “collaborare” con un Parlamento di
nominati e con capi-partiti interessati a se stessi. Ma a questo proposito non
disdegni di riflettere su un consiglio d’un suo predecessore, che contribuì coraggiosamente
a ricostruire in Italia una vita materiale e morale degna degli italiani: “Non
sostate – ammonì Alcide De Gasperi - sui labili espedienti, non illudetevi con
una tregua momentanea, con compromessi instabili”. Il corpo sociale del popolo
italiano è sano e incorrotto: va ascoltata soprattutto la sua voce. Oggi il
pericolo non è una paventata deriva autoritaria, ma la rottura dei rapporti con
il popolo.