Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

sabato 8 novembre 2014

L’EPISTOLARIO ABELARDO-ELOISA . MESSAGGI DI FILOSOFIA INTEGRALE

2014-1164. Ricorre l’850° anniversario della morte di Eloisa, la fanciulla diciassettenne, che s’innamorò, amandolo poi per tutta la vita, del suo maestro Abelardo, il filosofo trentasettenne già famoso per la novità del pensiero creativo, l’originalità del metodo d’indagine e l’efficacia della retorica. In una lettera Eloisa confesserà d’essere rimasta affascinata sin dall’inizio dalla cultura e dalla fama del maestro: “Tutti si precipitavano a vederti, quando apparivi in pubblico (…). Avevi due cose in particolare, che ti rendevano subito caro: la grazia della tua poesia e il fascino delle tue canzoni, talenti davvero rari per un filosofo quale tu sei”. Amore, quindi, fondato sulla stima, sbocciato tra i libri e la filosofia, consolidato dagli ostacoli superati: “La mia anima – gli confiderà – non era con me, ma con te”. Nell’Epistolario di Abelardo è conservata memoria di questa vicenda amorosa tra le più belle e tragiche che la storia ricordi; forse per questo rimane un libro che ha occupato e occupa la scena culturale sin dalla seconda metà del 1200. Ha già ispirato, infatti, celebri poeti, come Hofmann von Hofmannwaldau (con Heldenbriefe del 1673), Alexander Pope (con Eloise to Abelard del 1717) J.J. Rousseau (con Joulie ou la nouvelle Héloïse del 1761). E ancora oggi è molto letto dagli studiosi impegnati a discuterne l’autenticità, ma spesso anche mossi dal desiderio di comprendere l’esperienza più intima di vita di due personalità, unite da legame indissolubile, nonostante traversie, allontanamenti imposti dall’ambiente sociale e la separazione definitiva accettata a forza.

Non si può nascondere, in verità, un senso di fastidio per la letteratura di questo genere; l’Epistolario di Abelardo, però, pur avendo come oggetto l’amore, contengono anche importanti riferimenti storico-culturali e utili indicazioni per la ricerca filosofica e teologica. Abelardo, infatti, nelle sue prese di posizione mostra una singolare arditezza, avvalendosi, oltre che della logica razionale, anche dell’apporto di sentimenti umani pre-razionali e a-razionali, per i quali veniva osservato con sospetto, ma di cui c’era e c’è sempre bisogno per una filosofia, che voglia essere completa, capace di preparare l’uomo a morire dignitosamente, ma soprattutto d’aiutarlo a vivere in pienezza e felicità. La filosofia è “amore della sapienza” e nello stesso tempo – sulle orme di Platone e sant’Agostino – “sapienza dell’amore”, per cui si pone come il tessuto compatto realizzato con l’intreccio dei fili della trama della razionale con l’ordito dei fili delle altre capacità dell’essere umano. Così essa diventa fonte di risposte alle domande umane ed energia alimentatrice del vivere umano autentico e libero. Interessanti a questo riguardo risultano i contributi dati, in confronto costruttivo col pensiero di Paul-Michel Foucault, dal filosofo Remo Bodei, il quale sostiene: “Malgrado i ripetuti annunci, è certo che la filosofia, al pari dell’arte, non è affatto ‘morta’. Essa rivive anzi a ogni stagione, perché corrisponde a bisogni di senso, che vengono continuamente – e spesso inconsapevolmente – riformulati. A tali domande, mute o esplicite, la filosofia cerca risposte, misurando ed esplorando la deriva, la conformazione e le faglie di quei continenti simbolici, su cui poggia il nostro comune pensare e agire”.

Potrebbe essere azzardato sostenere che Abelardo – uno dei massimi maestri del suo tempo, il più seguito dagli intellettuali a lui contemporanei - abbia colto le sue intuizioni in filosofia e abbia formulato le sue tesi in teologia grazie allo stato amoroso con Eloisa; è certo, tuttavia, che senza quell’esperienza non avrebbe sostenuto così audacemente le sue dottrine, tanto ardite per quei secoli medievali d’attirarsi invidie, ricatti, persecuzioni e persino attentati alla vita. Del resto è lo stesso Abelardo che confessa che, senza il fascino dell’amore, “il maestro di filosofia si appiattisce in uno sterile ripetitore”; e di se stesso non ha difficoltà a rivelare: “Nelle lezioni diventai freddo e meccanico: tutto mi usciva di bocca per abitudine. Non ero ormai che il ripetitore delle dottrine che avevo creato; se qualcosa mi veniva fatto di creare, questo non era dottrina, era canto d’amore”. Come la “luce” della fede religiosa, quindi, rafforza la capacità conoscitiva umana, rivelandole verità diversamente ignote, così la “luce” dell’amore irrobustisce l’intero essere umano, svelandogli realtà altrimenti non sperimentabili.

Nel pensiero di Abelardo emergono almeno due posizioni allora innovative e oggi di grande attualità: il valore degli “universali” (o idee) e l’etica dell’intenzione. Nel 1200 lo studio della filosofia era inchiodato all’autoritarismo dell'aristotelismo, e la ricerca in teologia era bloccata dall’interpretazione dell’autorità ecclesiastica; persino la scienza doveva fare i conti con l’astratta metafisica: erano davvero molto lontani i Machiavelli, i Keplero, i Galilei, i Cartesio. Dominava assoluto il teocentrismo, usato per controllare le menti e per soggiogare i popoli. Abelardo, però, svincolò il valore dell’idea dall’astrattezza del nominalismo (attirandosi l’ira del filosofo francese Roscellino, suo antico maestro, dal quale fu accusato d’eresia) e la liberò, d’altra parte, anche dalle angustie del piatto realismo (propugnato da sant’Anselmo e da Guglielmo di Champeaux). Abelardo, così, precorre di circa sei secoli Immanuel Kant, rivendicando la “funzione regolativa” d’ogni idea, in quanto essa costituisce l’ideale, che deve avere sempre un fondamento nella realtà e deve tendere a creare altre possibili realtà future, oggetto di speranza sostenuta da forte fede razionale.

Veramente temeraria è, poi, la proposta della morale dell’intenzione, fondata su un robusto antropocentrismo. L’uomo – argomenta Abelardo - è dotato di ragione; questa, però, pur essendo una facoltà straordinaria, che distingue e nobilita la natura umana, resta tuttavia una facoltà limitata, imperfetta e fallibile, proprio perché umana. E’ necessario, di conseguenza, che essa muova sempre dal dubbio, unico fondamento solido, per costruire una ricerca valida e veritiera. Il “credere”, in ogni ambito, dev’essere un atto di comprensione e un gesto di vitalità umana: si deve capire ciò che si crede e perché lo si crede. “E’ ponendo domande che impariamo la verità”, afferma apertamente Abelardo, precisando che non si crede a una cosa perché Dio l’ha detta, ma si ammette ch’egli l’abbia detta, perché razionalmente la cosa è vera. Affermazioni pericolose; ma Abelardo continuò a insegnare senza remore che “Dio tiene conto non delle cose che si fanno, ma dell’animo con cui si fanno; e il merito e il valore di chi agisce non consistono nell’azione, ma nell’intenzione”. E preciserà ancora: “Gli uomini giudicano di quel che appare, non tanto di quello che è nascosto (…). Solamente Dio, che guarda allo spirito con cui si fanno le cose, valuta secondo verità la consapevolezza della nostra intenzione”.

La statura culturale di Abelardo va compresa certamente mediante la profondità del suo pensiero e il coraggio mostrato nella vita “esteriore”, ma anche attraverso l’esperienza della sua “vita intima”: in filosofia non sono mai scindibili le due cose. Abelardo è stato interpretato come il filosofo spregiudicato e intemperante; così come Eloisa è stata additata come esempio d’amore libero e moralmente deplorevole. Esaminando, però, senza pregiudizio alcuni comportamenti dei due, si rivela diversa la realtà. E’ vero che Eloisa, infatti, dopo la nascita del figlio Astrolabio, si oppose al matrimonio, ma solo perché sarebbe stato “infamante” e “oneroso sotto ogni aspetto” per il marito: “Quante lacrime verserebbero – scrisse - coloro che amano la filosofia a causa del matrimonio”. Ma quando capì la decisione di Abelardo, concluse con angoscia: “Resta una sola cosa; la certezza che non soffriremo meno di quanto ci siamo amati”. E dopo il matrimonio e l’evirazione di Abelardo, quando si decise di prendere entrambi la vita monastica, Abelardo si chiuse nel silenzio del tormento, per non accrescere la sofferenza d’Eloisa. Lui entrò nel monastero a Saint-Gildas de Rhuys, e mandò lei nel monastero di Argenteuil. Le strade si separano e i due non si rivedranno mai più.

Successivamente, quando per caso ebbe tra le mani una lettera di Eloisa, in cui ella confidava la sofferenza per l’amore ancora vivo, Abelardo ne rimase molto turbato: aveva sperato che il tempo avrebbe almeno attenuato tormenti della sua donna. Repressa, allora, la sua angoscia, le si rivolse con fare volutamente freddo e distaccato, ricordandole i nuovi doveri di badessa. Lei gli ricordò alquanto risentita il fervore del passato; Abelardo, sempre con fare distaccato, le scrisse: “Io adesso sono circondato anche nell’anima”; Eloisa, allora, gli pose la straziante domanda finale: “Perché la sublimazione si dovrebbe raggiungere soltanto annichilendo i sensi e il sentimento d’amore che si prova verso un’altra persona?”. Abelardo, allora, chiuso in un silenzio degno d’un martire, non risponderà mai esplicitamente; poco prima di morire, però, l’ammonì: “Ricordati che io ti appartengo”. Abelardo muore nel 1142, Eloisa nel 1164. Sepolti in uno stesso loculo, secondo la volontà di Eloisa, i loro resti giacciono in una cappella nel cimitero del Pére Lachaise a Parigi. Ai piedi della tomba c’è la scultura raffigurante un cane, simbolo di fedeltà.

domenica 12 ottobre 2014

FERMARE LA GUERRA

Pubblicato da "Affari Italiani" Domenica, 14 settembre 2014 - 11:34:00

Il Papa: “Fermare la guerra”. L'analisi del filosofo Scarcella

Il Papa: la guerra distrugge, è follia. E il filosofo Cosimo Scarcella sceglie Affaritaliani.it per commentare le parole del pontefice: "La novità terrificante dell’ultimo intervento è stata la sua aperta e chiara accusa che la guerra è scelta e decisa dalla libera volontà di alcuni uomini. Le guerre sono possibili – ha detto – “perché oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere". La storia del passato e le esperienze del presente documentano, infatti, che le guerre sono generate o dal fondamentalismo religioso o dalla brama di potere economico e politico, ma..."

La pace sembra essere la chimera degli ottimisti utopici; la guerra la realtà tragica, ma necessaria e inevitabile. “Fermare la guerra” aveva già gridato il papa qualche giorno fa; e, con lo sguardo rivolto sulle tombe dei caduti in guerra, ha ripetuto: “Dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale si si può parlare di una terza guerra combattuta ‘a pezzi’, con crimini, massacri, distruzioni”. La novità terrificante dell’ultimo intervento è stata la sua aperta e Chiara accusa che la guerra è scelta e decisa dalla libera volontà di alcuni uomini: le guerre sono possibili – ha detto – “perché oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!”. La storia del passato e le esperienze del presente documentano, infatti, che le guerre sono generate o dal fondamentalismo religioso o dalla brama di potere economico e politico. Negli ultimi tempi in campo religioso abbiamo assistito a numerose concrete iniziative di dialogo e di riavvicinamento. Non si può dire la medesima cosa nel campo politico, in cui indubbiamente anche i “grandi” si riuniscono, ma per trovare equilibri di dominio e di ricchezza, Il loro dialogo si fonda sul compromesso politico e sul ricatto economico; unico argomento da discutere è sempre quale profitto si possa trarre dal diniego o dall’accettazione di una proposta. Ed è terrificante leggere che si è giunti persino alla conclusione (condivisa) di promuovere delle guerre per spegnerne delle altre e addirittura dell’opportunità di “inviare armi per vendicare stragi”. Non a caso lo stesso pontefice alcuni giorni prima aveva dovuto sottolineare: “Ho detto ‘fermare’ e non ‘bombardare’ la guerra!”. Sono gli uomini a decidere la guerra e la pace: quindi possono scegliere di perseverare o cambiare rotta.

Molto significativo è stato l’aver puntato il dito sulla “industria delle armi, che sembra essere tanto importante!”. Affermazione questa, che ci rimanda a circa settanta anni fa, quando Pio XII, sfidando la “follia” del nazismo e del fascismo, leggeva e trasmetteva i radiomessaggi natalizi degli anni 1940-1942, che rappresentarono – secondo il giudizio dell’ambasciatore tedesco di allora, Von Weizsäcker, "un manuale completo per il ritorno alla ragione internazionale". Rivolgendosi direttamente ai responsabili della guerra, il pontefice, elenca i principi su cui doveva nascere dalle macerie della guerra il nuovo ordine: vincere l’odio serpeggiante tra i popoli, ridare dignità al diritto internazionale, eliminare la priorità dell’utilitarismo, controllando le divergenze in economia mondiale, eliminare lo squilibrio tra un esagerato armamento degli Stati potenti e il deficiente armamento dei deboli, scendere a un ampio e proporzionato limite nella fabbricazione e nel possesso di armi offensive; nel messaggio del 1942, infine, il papa si spinse oltre, concentrandosi soprattutto sui principi sociali e morali che dovevano essere "il sostrato e il fondamento di norme e leggi immutabili per costruzioni sociali di interna solida consistenza".

Quei messaggi allora non furono accolti benevolmente da parte di tutti. Il sacerdote modernista Ernesto Bonaiuti, per esempio, notò che il Natale, occasione propizia per riflettere sui lutti dell’umanità, serviva al papa per “ammannire dalla radio vaticana una lezione di diritto internazionale”; il cattolico fascista Giovanni Papini giunse a scrivere: “Il papa somiglia a uno che dinanzi a una metropoli in fiamme faccia saggi discorsi, per dimostrare che ai bambini non vanno affidate le scatole di fiammiferi". Ed è risaputo il sarcasmo di Benito Mussolini: “Il Vicario di Dio – disse - non dovrebbe mai parlare: dovrebbe restare tra le nuvole".

Oggi tutti si augurano che I responsabili del governo dei popoli e delle nazioni diano ascolto al dolore del papa, che avverte: “E’ proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere”. Sperano che a questo Papa, che si appresta a parlare nell’aula dell’Unione Europea, non accada ciò che accadde con papa Giovanni XXIII, che nella crisi di Cuba, grazie anche a queste precedenti posizioni della chiesa cattolica, poté rivolgersi alle due massime potenze, che minacciavano di far precipitare il mondo nel baratro di un conflitto nucleare: “Noi supplichiamo – disse - tutti i governanti a non restare sordi a questo grido dell'umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace”. Fu ascoltato. Ma fa riflettere ciò che il russo Anatoly Krasikov riferisce nella biografia di Giovanni XXIII: "Resta curioso il fatto che negli Stati cattolici non si riesca a trovare traccia di una reazione ufficiale positiva, all'appello papale alla pace, mentre l'ateo Kruscev non ebbe il più piccolo momento di esitazione per ringraziare il papa e per sottolineare il suo ruolo primario per la risoluzione di questa crisi che aveva portato il mondo sull'orlo dell’abisso".

martedì 16 settembre 2014

L'uomo e il cielo stellato


Pubblicato da Affari Italiani (affaritaliani.it) mercoledì, 30 luglio 2014 - 15:10:00

Il filosofo Scarcella alza lo sguardo dai "deliri del mondo" e regala ad Affari le sue riflessioni

Disastri aerei, complotti che minacciano gli equilibri mondiali. In Libia l'esplosione di un razzo ha devastato la capitale e il conflitto di Gaza fa sentire in tutto il mondo l'odore del sangue. Anche seguendo le piccole, ma per noi tanto grandi, vicende italiane si ha la sensazione che il mondo non dia tregua. Non lasci più tempo per riflettere, osservare, magari sperare. C'è invece chi, proprio partendo dallo sguardo disincantato di quello che accade, si ferma un momento e contemplando il cielo, da sempre musa di idee e scoperte per l'animo umano, si lascia andare alla riflessione più libera e pura, profonda e a tratti poetica. Si tratta di un filosofo, Cosimo Scarcella (http://cosimoscarcella.blogspot.it/), esperto di Condorcet e studioso di dottrine politiche e filosofiche applicate alle concrete situazioni storiche, che "regala" ai lettori di Affaritaliani.it due pagine che riportano l'attenzione sul pensiero, quell'attività oggi quasi dimenticata.


Il mese d'agosto è ormai alle porte e gli occhi degli uomini si voltano più spesso a guardare in alto verso il cielo, per intercettare (per ricerche scientifiche o per curiosità o anche solo per superstizione) l'improvviso luccichio di qualche "stella cadente". Nelle notti, soprattutto in alcuni momenti, sembra davvero di assistere a una pioggia di stelle: da alcuni interpretata come malinconico pianto di partecipazione alle cupe calamità terrestri, da altri vissuta come presagio di luce e di fiducia. "C'è chi si fissa a vedere solo il buio. Io - confida Victor Hugo - preferisco contemplare le stelle". La contemplazione del cielo - in qualunque stagione dell'anno, di giorno o di notte, terso o nuvoloso, sereno o tempestoso - invita alla riflessione, genera commozione, nutre speranza. La riflessione è esigenza della razionalità, la commozione è frutto dell'umana sensibilità, la speranza è figlia della verità. La verità che rende liberi: non la verità voluta e difesa come unica e assoluta, ma quella consentita alle umane capacità. La smisurata volta celeste, però, è icona anche di verità che l'uomo vorrebbe raggiungere, ma invano. "L'ultimo passo della ragione - ammonisce prudentemente Pascal - è il riconoscere che ci sono un'infinità di cose che la sorpassano"; e il grande matematico suggerisce: "I movimenti degli astri sono un canto ininterrotto per molte voci, percepito non dall'orecchio, ma dalla mente; una melodia figurata, che traccia dei punti di riferimento nell'incommensurabile fluire del tempo".

Punti di riferimento L'uomo guarda e interroga il cielo: non sa chi lo abbia messo al mondo, né che cosa sia il mondo, né che cosa sia lui stesso. Si sente invaso da un'ignoranza spaventosa. Vede quegl'infiniti spazi celesti e si smarrisce: si sente rinchiuso in un piccolissimo angolo, e non sa nè perché né per quanto tempo vi rimarrà nell'eternità che l'ha preceduto e che lo seguirà. L'uomo! Essere germinato dalla Terra o disceso dal Cielo? Inerte frammento d'una zolla di terra governata dall'assurdo gioco di movimenti atomici, oppure splendido ritaglio di luce inviato dalle stelle e destinato ad essere riassorbita nello splendore dell'energia dell'eterna vita cosmica?

Rilegge nel Testo Sacro la promessa di Javè ad Abramo: i suoi discendenti sarebbero stati numerosi come le stelle. Il cielo stellato, allora, non resta al di sopra dell'uomo, ma gli sta a fianco; non è indifferente alle vicende degli uomini, ma ne partecipa, vivendo insieme a loro. L'uomo e il cielo stellato non sono coinquilini estranei in un cosmo ignoto, e nemmeno reciproci accompagnatori ipocritamente disponibili. Sono fatti l'uno per l'altro. Uomini e stelle sono in tensione reciproca: uomini che si rivolgono e dialogano con le stelle, e stelle che sorridono e rispondono agli uomini, con un silenzio profondo che sa di sacro. Sempre il medesimo cielo guardato perennemente dai medesimi figli dell'uomo, i quali pudicamente gli confidano dubbi e ansie, gioie e dolori, progetti e delusioni, sperando senza stanchezza un qualche svelamento d'arcani misteri. Nasce, allora, e cresce a poco a poco, un intimo puro totale amplesso dell'uomo con il cielo: amplesso che sublima, emoziona, commuove, penetra, permea le profondità dell'animo. Attimi eterni, come quelli vissuti dal Leopardi, quando confida: "E quando miro in cielo arder le stelle, dico fra me pensando: a che tante facelle? Che fa l'aria infinita? E quel profondo infinito sereno? Che vuol dir questa solitudine immensa? Ed io che sono?".

All'uomo superficiale, che è certo di tutto e a tutto ha pronta la risposta, Montale, straordinario interprete dei recessi dell'animo umano, svela: "Forse un mattino … vedrò compirsi il miracolo … Ma sarà troppo tardi: ed io me ne andrò zitto, tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto". Rispettiamo il segreto del poeta, ma per l'uomo responsabile e pensoso non è difficile indovinare alcune gravi e serie domande. Si vorrebbe comprendere le reali motivazioni e le vere aspirazioni di tante scelte libere o condizionate; si vorrebbe afferrare il senso di tante vicende personali. Se la vita degl'individui, dell'umanità, del cosmo - si dicono uomo e cielo - non è frutto del caso, ma risultato di una qualche Ragione ordinatrice, perché l'ordine che si manifesta nelle leggi fisiche non è presente pure nella vita dell'Uomo e dell'Umanità, dominata dalla paura e dalla violenza? Perché dilagano disordine morale e sociale, confusione individuale e ingiustizia generale? Perché dominano egoismi e disonestà, perché divampano guerre e si commettono massacri? Di fronte a fatti veramente incredibili, l'uomo, anche lontano da sensibilità religiosa e vicino a convinto agnosticismo, talora invoca e addirittura, quasi per un impulso innato, attende un qualche intervento del cielo; anzi giunge a meravigliarsi del non intervento del cielo. Certo potrebbe essere impudente presunzione dell'uomo credersi centro del cosmo, intorno al quale dovrebbe ruotare tutto; ma è "umano" attendere un qualcosa di straordinario, quasi un miracolo. Basti pensare che lo stesso Kant, noto per il suo rigorismo razionale, ritiene che non si può escludere un evento straordinario; sicuramente è un atteggiamento "unphilosophisch" (antifilosofico), ma tuttavia dettato da profondo "sentimento umano". Certo - avverte il filosofo tedesco - non bisogna contare su quest'interventi sovrumani; è sempre preferibile attenersi all'ordine razionale, che impone di vivere senza mai sacrificare "la diligenza e l'onestà" alla speranza d'un aiuto superiore: cioè, si deve vivere secondo la legge della nostra coscienza, sede vivente del "divino" che è nell'uomo. Nel contemplare la volta celeste, allora, l'animo dell'uomo si allarga fino ad abbracciare gli estremi confini dell'universo e si concede, con meravigliosa donazione illimitata, all'armonia vivente del Cosmo. Anche il cielo, allora, corrisponde e abbraccia la terra e i suoi abitatori. Sembra che esso di giorno voglia nascondere e salvaguardare il suo prezioso manto stellato, per poi svelarlo e offrirlo la notte agli occhi e all'animo dell'uomo, che lo aspetta con gioiosa fedeltà, per potergli confidare i segreti sigillati nell'inaccessibile scrigno del proprio animo. E tutto ciò in estrema misteriosa fusione, in totale sovrumano silenzio: perché "il piacere di amare senza osare dirlo - annota Pascal - ha i suoi tormenti, ma anche le sue dolcezze".

Queste riflessioni potrebbero apparire solitarie meditazioni poetiche: belle, ma poco utili per la comprensione e la soluzione dei problemi reali degli uomini, che debbono guardare attentamente per terra, per non cadere in qualche pericoloso fosso come accadde a Talete. Oggi molta scienza pretende di conoscere ogni cosa attraverso le sempre aggiornate acquisizioni scientifiche e il vertiginoso progresso tecnologico; molte teologie formulano questioni anche importanti, deducendone, però, conclusioni indiscutibili; molta "classe politica" si vanta di trovare "regole" sempre nuove, confondendo spesso novità per validità vera e a dimensione d'uomo; molti reggitori di popoli e di nazioni sfoggiano forza militare e ostentano potere economico, per perseguire giustizia e pace. Uno sguardo alla storia, però, farebbe dubitare molto e inviterebbe alla prudenza. Giovanni Keplero giunse alla scoperta delle leggi dell'astronomia fisica, contemplando la "Armonia del Mondo"; in quel periodo la teologia del latitudinarismo irenico sanò molte piaghe causate dalle trentennali guerre di religione; Marco Aurelio consolidò e pose ordine all'impero romano, mettendo in pratica gl'insegnamenti della filosofia stoica; più vicino a noi, il Mahatma Gandhi conquistò l'indipendenza della sua nazione e ottenne numerosi diritti civili e politici, conducendo una vita semplice e umile, convinto che "non aveva nulla di nuovo da insegnare al mondo, in quanto la verità e la nonviolenza sono antiche come le montagne". Figure eloquenti, per smitizzare la pretesa di alcuni di poter indirizzare secondo le proprie opinioni la natura, la realtà e persino tutta la storia degli uomini. Guardando il cielo è facile osservare come ciascuna stella è solo una minuscola parte, sempre identica a se stessa e diversa da tutte le altre; la Totalità armonica delle loro infinite diverse individualità crea e garantisce ordine e felicità.