Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

giovedì 26 maggio 2016

CORRUZIONE E PRESCRIZIONE TRA URGENZE E DUBBI


Pubblicato su Affaritaliani il 29 aprile 2016

Ciò che suscita stupore – che subito, però, si trasforma in indignazione – ormai non sono più la realtà e la scoperta dei fatti di corruzione ogni giorno più dilaganti e veramente sorprendenti. Stupiscono, invece, le reazioni di alcune parti del mondo della politica, quando sono interrogate e chiamate a trovarne i rimedi, al fine di debellare il più possibile la piaga della disonestà privata e del malaffare pubblico. 

Come, soprattutto nell’ultimo ventennio, il “potere legislativo” italiano abbia prodotto volta per volta (e spesso caso per caso) “strumenti  giudiziari” mirati a rendere impunibili non pochi né piccoli reati delle caste e delle lobbies è scritto nelle cronache di quegli anni e ormai sotto gli occhi di tutti. Tra tutti spiccano gli interventi sulla prescrizione, grazie alla quale sono state pronunciate (per costrizione di forza maggiore) numerose sentenze di non colpevolezza, prontamente scambiata e tatticamente propagandata come “innocenza”, tanto che da “presunti colpevoli” si diventava “sicuri innocenti” perseguitati, vittime di una giustizia vessatoria e amante delle manette.  

Da oggi – finalmente! – parte l’esame parlamentare del testo base per allungare i tempi della prescrizione. Significative le puntuali sottolineature fatte ieri all’inaugurazione dell’anno formativo della Scuola Superiore della Magistratura a Scandicci dal Presidente Mattarella, giunto a Firenze in treno. Ricordato il dovere di chiunque s’impegni in politica non solo di essere, ma anche di mostrarsi onesto in ogni momento e con tutta trasparenza, in quanto “nell'impegno politico si assume un duplice dovere di onestà per sè e per i cittadini che si rappresentano”, il Capo dello Stato ha avvertito: “Dobbiamo continuare a spezzare le catene della corruzione, che va combattuta senza equivoci e senza timidezze. Occorre una grande alleanza tra forze sane per sviluppare gli anticorpi necessari”. 

A tal fine è necessario che vi sia la massima coesione tra gli organi dello Stato e nelle istituzioni, perché “Il conflitto genera sfiducia, la giustizia è un servizio e un valore, le istituzioni devono saperla assicurare per evitare che si generi sfiducia e si dia spazio al malaffare". Certo, “Vanno rispettati i confini delle proprie attribuzioni, senza cedere alla tentazione di sottrarre spazi di competenza a chi ne ha titolo in base alla Costituzione”, ma ognuno deve fare senza indecisioni e negligenze il proprio compito. L’ordinamento giuridico e il funzionamento operativo della giustizia sono uno dei pilastri della vita democratica del Paese: "Ai magistrati è affidata la cura di uno degli aspetti fondanti del nostro Stato: la tutela dei diritti, della giustizia, delle libertà. Senza questi non c'è democrazia, non c'è uguaglianza, non c'è dignità della persona, in altre parole non c’è Repubblica”. 

Ecco allora lo stupore, quando si assiste a certi distinguo di qualche parte politica e ad alcune dichiarazioni di alcuni importanti esponenti di partito. Si è giunti a dover leggere il minaccioso ricorso all’uso della “fiducia al governo” anche su quest’atto così vitale per la sopravvivenza morale ed etica dell’Italia. Che senso avrebbe imporre un ultimatum sulla possibilità di somministrare l’unico farmaco salvifico a chi sta morendo proprio per la mancanza di quel farmaco?

lunedì 23 maggio 2016

A ISTANBUL IL VERTICE UMANITARIO MONDIALE

Dalle pagine dell' Osservatore Romano già due giorni fa Fausta Speranza annunciava - con lo scritto che proponiamo nella sua interezza - la celebrazione dell'evento che oggi sta realizzandosi a Istanbul.
"L'impegno per la pace" tra gli uomini e tra le nazioni, da mettere in atto con i fatti e non con le parole, da parte dei responsabili religiosi e politici, senza dimenticare la necessità di svegliare la coscienza e la responsabilità  di ciascuno, come appartenente al genere umano e, quindi, indiscusso corresponsabile.  

"Seimila partecipanti, tra cui cinquanta leader mondiali. Prende il via, lunedì 23 maggio a Istanbul il primo vertice umanitario mondiale, voluto dal segretario generale dell’Onu, Ban-Ki-moon. Per due giorni, nella capitale turca si riuniranno rappresentanti di governi, agenzie per gli aiuti umanitari, comunità colpite, società civile e settore privato.  

Parteciperà anche la delegazione della Santa Sede presieduta dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, della quale faranno parte l’osservatore permanente presso le Nazioni Unite a New York, arcivescovo Bernardito Auza, e l’osservatore permanente presso l’ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate a Ginevra, arcivescovo Silvano Tomasi.  

Lo scenario è drammatico e noto. Ogni giorno, le cronache parlano di nuove vittime della violenza. Su dieci, nove di queste sono civili. E sono centoventicinque milioni le persone direttamente coinvolte in questa vera e propria guerra mondiale a pezzi.  

L’obiettivo ultimo della mobilitazione che ha portato al vertice è, in sostanza, tutelare l’umanità, mettendo in campo una cooperazione davvero mondiale. Dalle guerre più diverse ai disastri ambientali più dimenticati. Lo scopo è ambizioso e i piani di azione sono innumerevoli e complessi.  

Le leggi internazionali non mancano ma il punto è «far rispettare le norme che tutelano l’umanità», come è scritto nel titolo di una delle tavole rotonde. Oggi le guerre, che restano comunque drammatiche, sono asimmetriche, senza una contrapposizione precisa di eserciti o schieramenti di forze, e troppo spesso non c’è rispetto dei più basilari principi dei regolamenti internazionali.  

In tema di umanità, un presupposto è fondamentale, anche se troppo spesso dimenticato. È l’idea che, per parlare di umanità nel suo complesso, nessuno debba essere lasciato indietro. Da qui, il dovere di assicurarsi che sempre meno persone siano penalizzate da un’economia globale che non conosce sostenibilità. 

C’è poi una tavola rotonda dedicata a un tema sintetico quanto essenziale: ridurre i rischi. Infine, il dibattito che appare più concreto di tutti, quello su come aumentare i finanziamenti.  

L’appello, che emerge già prima del summit, arriva anche alle religioni e nello stesso tempo è lanciato proprio dalle religioni. A Istanbul infatti ci sarà un dibattito speciale proprio sull’impegno delle confessioni religiose. 

 C’è un antefatto: in vista del vertice umanitario mondiale, un anno fa, a Ginevra, i rappresentanti di quattro religioni hanno partecipato alla giornata di dibattito dedicata proprio al ruolo speciale svolto dalle istituzioni e organizzazioni religiose nelle zone di conflitto. All’incontro, promosso dall’Ordine di Malta, hanno partecipato cristiani, musulmani, ebrei, buddisti. 

In quell’occasione Jemilah Mahmoud, per anni medico in prima fila in vari conflitti e scelto da Ban Ki-moon per guidare il team internazionale di preparazione del vertice di Istanbul, ha ricordato che le organizzazioni a carattere religioso assicurano la maggior parte dell’assistenza umanitaria da cui attualmente nel mondo dipendono, per la stretta sopravvivenza, ben ottanta milioni di persone. Le organizzazioni religiose sono spesso le prime a intervenire sul campo nelle situazioni di emergenza umanitaria e per questo godono della fiducia delle comunità locali. Un’altra caratteristica fondamentale è che il loro arrivo non è legato a interessi politici.  

Ma anche i leader religiosi hanno un obiettivo preciso da raggiungere, lavorandoci molto. Ed è far sì che tutti si impegnino a giocare un ruolo nella battaglia contro i fondamentalismi. 

Più in generale, da parte dei leader politici, è necessaria una doverosa assunzione di responsabilità affinché cooperazione faccia rima con riconciliazione, e perché l’impegno all’assistenza proceda di pari passo con un impegno serio per la pace". (Fausta Speranza)

venerdì 29 aprile 2016

DEMOCRAZIA E CAPITALISMO INDUSTRIALIZZATO TRA OTTIMISMO (IDEALE) E NICHILISMO (REALE)

Pubblicato su Affaritaliani il 10 aprile 2016

“Corrono brutti tempi” è la sensazione dominante, tra stupore e incredulità, appena si dà uno sguardo alle realtà sociali e politiche dei nostri giorni. Viene subito in mente l’indignazione con cui duemila anni fa il console Cicerone, seriamente preoccupato, lamentava l’andamento delle cose nella Repubblica romana del suo tempo, inquinata dalla corruzione devastante, dallo smarrimento dell’etica pubblica e dalla perdita dei valori morali a ogni livello. 

“Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico” accusava, da parte sua, Herbert Marcuse, quando mezzo secolo fa analizzava e descriveva le condizioni reali di vita nelle attuali società industrializzate, anche se guidate da governi che si designano come democratici. In essi, infatti, risaltano alcune caratteristiche dannose: manipolazione della verità, usurpazione della libertà individuale, baratto dei valori fondativi la democrazia, lotta smodata per scalare il potere, insaziabili ambizioni di benessere e di accumulo di ricchezze. Tutto abilmente camuffato da allettanti promesse di crescita generale sicura e godibile da tutti. 

Grazie, poi, ai rapidi processi industriali, alle enormi conquiste scientifiche e tecnologiche sempre più efficienti, l’uomo viene fatto sentire padrone della natura, e, disponendo di sempre più veloci mezzi di comunicazione, viene fatto illudere d’essere ormai divenuto l’invincibile dominatore dell’universo e di tutti i meccanismi della vita, compresa quella umana. Per poi, però, farlo ritrovare di fatto inadeguato alle nuove situazioni e sprovvisto delle capacità necessarie per l’enormità della sfida da affrontare. Con gravi imprevedibili conseguenze per gl’individui e le collettività. Non a caso negli stessi anni Hans Jonas proponeva la nuova formulazione dell’imperativo categorico kantiano: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra”. 

A questo punto s’impone la necessità d’una riconsiderazione dell’intero modello culturale dell’attuale società industrializzata: proposto come fondato sulla verità, proclamato come salvaguardia di libertà e come garanzia d’innovazione e di futuro, nella realtà significa, però, soltanto liberismo e capitalismo, in cui sono proprio la verità, la libertà e l’equità che, benché ammesse formalmente, nella realtà rimangono del tutto esautorate e annichilite, tanto che non c’è alcun posto né per una verità oggettiva, né per un comune senso morale riconoscibile, né per un’etica pubblica cogente e condivisibile. Infatti, nel capitalismo industrializzato è possibile affermare e negare indifferentemente ogni cosa, in qualunque tempo; di conseguenza, solo il “nichilismo” (da dottrina filosofica divenuta categoria sociale) rimane l’unica visione in grado di sorreggere e avallare i contenuti e le implicanze del liberismo e del capitalismo, che s’arrogano il potere di elaborare e imporre soltanto le norme che si dànno da soli, in quanto devono essere atte a promuovere sempre e solo gli interessi del libero mercato e a inseguire gli umori variabili dell’offerta-domanda, assecondando la logica dominante della “volontà di potenza”. E fidando, naturalmente, nell’intervento salvifico della “mano invisibile”, che tutto adatta e tutto seleziona in una dinamicità interattiva.  

Le proposte alternative non saranno certamente né la rassegnata accettazione né il radicale violento rifiuto: sarebbero risposte entrambe utopiche e inconcludenti, e aggraverebbero ulteriormente la situazione. E’ necessario, invece, analizzare la vera natura delle cause che conducono ai risultati umanamente negativi e socialmente inaccettabili. Ora, davanti a noi si presenta un quadro sociale e culturale caotico: c’è una confusione generale dei princìpi, che causa un pericoloso rovesciamento dei valori reali. Infatti, mentre da ogni parte si ribadiscono la centralità dell’uomo e la dignità della persona, invece s’assiste a realtà di sfruttamento disumano, di disuguaglianze e di ingiustizie talmente gravi e offensive da far scrivere all’ONU giovedì scorso (7 aprile) dall’attuale Papa: “La grave questione della schiavitù moderna e del traffico di esseri umani continua a essere una piaga in tutto il mondo” da ritenersi un vero e proprio “crimine contro l’umanità”. A porre ordine e a tentare di sanare le disumane condizioni delle nostre società cosiddette avanzate è necessario che lo scopo ultimo ritorni a essere l’Umanità in tutte le sue dimensioni, e i mezzi siano gestiti come mezzi. Soltanto quando non sarà dimenticata la dignità d’ogni persona e si daranno i dovuti riconoscimenti a coloro che il capitalismo ha reso emarginati e ridotto a utili strumenti di produzione-consumo, allora si può ragionevolmente sperare che le società saranno comunità di individui dello stesso genere e della medesima dignità: ognuno fine ultimo della vita e non ridotto a mezzo di ricchezza economica o di potere politico.

Occorre mettere in atto ogni possibile iniziativa, per impedire il diffondersi d’una coscienza palesemente falsa e promuovere la formazione d’una coscienza umana autentica: ossia, uscire dagli interessi immediati e privati e mirare e tutelare i diritti reali della società intera. Bisogna cominciare dal prendere atto quanto sia deleterio per tutti, anche per le stesse imprese e gli stessi governi, concentrarsi soprattutto sulla creazione di profitti. Già quattro secoli fa nella “Nuova Atlantide” (1626) Francesco Bacone insisteva sulla necessità di un'organizzazione di ricerca coordinata tra “sapienti”; in essa nutriva concreta fiducia per un progresso scientifico e tecnico a dimensione umana e tratteggiava il disegno d’una società del futuro amministrata e governata grazie al dominio della scienza e della ricerca da parte dell’umanità: gli scienziati – in proficua leale collaborazione con i governanti delle nazioni - saranno quei “mercanti della luce”, che divulgheranno ogni scoperta e ogni conquista in tutte le parti del mondo, perché la Terra è di tutti e nessuno può essere escluso dalla fruizione del progresso. Ma un patto: che il vero fine sia “la conoscenza delle cause e dei segreti movimenti delle cose per allargare i confini del potere umano verso la realizzazione di ogni possibile obiettivo”, e non l’asservimento dell’Umanità e della Natura sotto la schiavitù dell’egoismo e delle passioni.  

Utopia? Forse. Ma Kant ha dimostrato abbondantemente l’energia e la potenza delle idee: mete da non perdere mai di vista, ma a cui guardare costantemente come fari di luce, per un cammino sicuro e umanamente degno verso le Altezze della libertà e della giustizia. Senza ideali, cui tendere con umana ma incrollabile speranza, l’uomo “si fa vivere” dai flussi incontrollati della storia e del mondo: da attore o co-attore protagonista della storia si riduce a insignificante comparsa sulla scena del teatro dl mondo.