Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

martedì 22 dicembre 2015

IN ITALIA SONO MOLTI I CAPIPARTITO, MA MANCA UNO STATISTA

Pubblicato su Affaritaliani il 17.12.2015

 
L’Italia necessita di politica seria e responsabile. Gli Italiani chiedono politici preparati, affidabili, all’altezza dell’incarico. Sembrano cittadini disinteressati e disincantati, e invece sono vigili e accorti; seguono ogni accadimento, sempre più allarmati nel notare che gli attuali capipartito sono troppo impegnati a delegittimarsi reciprocamente, rinfacciandosi vicendevolmente il rispettivo passato (non certo sempre esemplare) e ciascuno promettendo con orgoglio (e talora con sfrontatezza) di rendersi garanzia d’un futuro di benessere e di sicurezza. 

I cittadini, però, non sono tanto inesperti e ingenui; non restano più a sentire e a guardare soltanto: capiscono, intuiscono i messaggi nascosti, trepidano. Si propongono di continuare a tollerare il deludente scenario politico, mostrando estrema sensibilità civica e profonda responsabilità etica, ma aspettando tempi migliori. Essi vivono con dignità e risolvono con concretezza i propri problemi quotidiani, spesso dolorosi e drammatici. E non hanno alcuna voglia di sentirsi ripetere le solite noiose litanie da parte sia delle maggioranze e sia delle opposizioni, verso cui nutrono diffuso scetticismo e seria sfiducia. Il cittadino onesto si sente rapinato della sua umanità: non riesce a convincersi come mai uomini come lui, una volta “conquistato” il potere, diventano insensibili ai bisogni e indifferenti alle mortificazioni, che umiliano, per esempio, l’anziano che vive negli stenti e ogni giorno ascolta o legge la cronaca di impudenti resoconti di scandali, truffe, evasioni e corruzioni, davanti a cui i politici non raramente o tacciono o chiariscono o tergiversano con bizantinismi sottili e capziosi, attenti solo a non dispiacere al proprio più o meno ampio elettorato. 

Nel mondo della politica italiana prolificano i partiti e, di conseguenza, si moltiplicano i capipartito che, in qualunque collocazione vadano a trovarsi (o di maggioranza o di opposizione), si avversano su ogni iniziativa, nell’ottica ristretta del tornaconto della propria parte, che ovviamente non coinciderà mai con i bisogni di tutto il popolo, sempre invocato da tutti, ma da tutti sempre disatteso. Opposizioni che dettano con superficiale saccenteria consigli a maggioranze, che con irresponsabile arroganza “non accettano mai lezioni da nessuno”, sentendosi i conoscitori competenti d’ogni esigenza del Paese e gli unici possessori dei rimedi veramente validi. Come se avesse senso parlare di “opposizione che verifica e suggerisce” e di “governo che ascolta e governa”; cioè, di una minoranza che contribuisce al migliore funzionamento dello Stato e di un governo che attua i propri programmi e nello stesso tempo risolve al meglio ogni problema ereditato. Così sarà sempre per ogni governo che subentra al potere: rimediare a carenze ereditate e realizzare nuovi traguardi, programmati e condivisi con tutte le parti che esprimono le molteplici volontà dei cittadini.  

Ecco, allora, che il cittadino non sa cosa pensare di fronte a governanti che, mentre ostentano esageratamente il loro operato, deridono inopportunamente i governi precedenti e scherniscono pericolosamente come “uccello del malaugurio” chiunque sia di diversa opinione. Messaggio equivoco e rischioso, in quanto si produce la sensazione che si realizzano provvedimenti “per” una parte sollecitata a gioire d’un proprio trionfo, “contro” altre parti condannate ad arrendersi miseramente. I cittadini, però, nutrono altre aspettative da un governo, che si professi repubblicano e democratico. Chiunque governi democraticamente, infatti, deve porsi sempre e comunque al di sopra d’ogni parte e ascoltare tutti, addossandosi ovviamente la responsabilità delle decisioni ultime, da prendere solo in vista del bene di tutta la Nazione. Invece il cittadino assiste a spettacoli del tutto opposti: la politica, da azione comune per il bene di tutti, è ridotta a verbosi dibattiti superflui e dannosi, tesi solo ad accontentare i propri elettori. Ma non è nemmeno sempre così. L’unico risultato sicuro è di allontanare dalla politica altri cittadini benpensanti, ingrossando la già numerosa schiera di quelli che non si recano più nemmeno alle urne. 

Ecco allora: gli Italiani hanno bisogno di uno “statista”, cioè  di qualcuno di degna levatura e con doti di statista, cioè di chi pensa alle esigenze di tutto il popolo e opera per risolvere i problemi dello Stato intero, e non di una parte grande o piccola. Essere capo d’un partito non vuol dire avere la statura di statista. Infatti, si moltiplicano le riunioni e i convegni (la nota ‘convention’) di persone, che si riuniscono per discutere di argomenti di interesse comune a loro, ma non certo di dimensioni generali ed estese quanto tutto lo Stato. 

Si assiste in adunate in cui echeggiano parole svuotate d’ogni solido contenuto. Che significato hanno in simili convegni le parole, quali democrazia, riforme, giustizia, libertà, etica, responsabilità. Sono ormai parole che hanno perduto il loro significato originario e significano tutt’altro. Domina l’arte oratoria, ma anch’essa stravolta: da arte del comunicare idee e generare pensieri sensati, è trasformata in artificio, con cui occultare la totalità della verità con la violenza dei toni e la sovrabbondanza delle immagini, suscitando sentimenti e risentimenti, ma di sicuro non generando responsabile riflessione.  

Lo statista usa poche parole e molta autorevolezza. Basti ricordare il discorso breve (non a braccio, ma preparato con due mesi di lavoro meticoloso) del Presidente Kennedy, quando nel 1960, all’età di 43 anni, il più giovane presidente eletto dal popolo americano, sottolineò - con misurate scarne parole - l’importanza della politica come servizio nazionale: “Miei concittadini americani, non chiedete cosa il vostro paese può fare per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese”. E così pure il Gorbaciov, abbatta questo muro!”: quattro scarne parole dette nel 1987 da Ronald Reagan durante un discorso tenuto presso la Porta di Brandeburgo il 12 giugno 1987; due anni dopo cadrà il muro e il sarà cambiato mondo intero. E non mancano esempi e modelli nella nostra Italia repubblicana: non sono da meno, infatti, Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Enrico Berlinguer, per ricordarne alcuni.

 

 

IL DILEMMA DEI POTENTI A PARIGI: IL MONDO O CAMBIA MODO DI PENSARE O MUORE


Pubblicato su Affaritaliani il 2.12.2015
 
Fino al prossimo 11 dicembre 190 Paesi tratteranno per un nuovo accordo, per ridurre le emissioni, che causano il riscaldamento del pianeta Terra. L’umanità intera aspetta con preoccupazione ciò che verrà deciso. Il problema è molto serio e non dà alcuno spazio a dichiarazioni di rito, come potrebbero apparire - a causa delle prese di posizione già annunciate da parte di alcuni Stati - quelle del Presedente francese, che ha esordito: “Prenderemo in qualche giorno decisioni che avranno conseguenze per decenni, la posta in gioco è il futuro del pianeta”, e, collegando responsabilmente la minaccia del terrorismo ai cambiamenti climatici, ha concluso: “Sono le due grandi sfide che dobbiamo raccogliere, perché ai nostri figli dobbiamo lasciare in eredità non soltanto un mondo liberato dal terrore, anche un pianeta preservato da catastrofi”. 

Ormai è consolidato che il genere umano ha un destino unico di vita o di morte, legato ormai in massima parte ai giochi dell’economia e ai capricci del mercato, determinati apertamente da una verità fondamentale, cioè che le sorti del Nord e del Sud della Terra sono indubbiamente collegate, ma, realisticamente esaminate e oggettivamene valutate, sono determinate e sostenute non dal Nord, ma dal Sud, in quanto l’economia dell’eccessivo benessere e dello sfrenato consumismo del Nord è alimentata dallo sfruttamento che il Sud ha subìto e continua a patire ormai da secoli. Oltre alla corsa sregolata al benessere e all’accumulo di capitali, è necessario, poi, riconsiderare la linea politica degli armamenti, che, mentre ingrossa i profitti del Nord, accresce la povertà del Sud, aggravando le piaghe delle ingiustizie sociali e della miseria d’interi Paesi condannati davvero alla fame. Causa di questi modi di pensare e di vivere non sono certo da rintracciare nell’immutabile natura umana o nell’apatia endemica di alcuni popoli, bensì nelle scelte di chi li “governa”.  

Ora, non si tratta di difendere le faticose conquiste di alcune Nazioni e di segnalare la colpevole inerzia di altre; forse non c’è più tempo per strategie ideologiche e tatticismi politici; è giunto definitivamente il tempo per far prevalere in tutti, ma soprattutto nei potenti, l’innato istinto di conservazione, da usare per debellare i veri nemici dell’umanità. E’ tempo che gli uomini tornino a pensare che per propria natura non sono “lupi” tra di loro, bensì individui d’uno stesso genere, accomunati dallo stesso destino. Certo le disuguaglianze e le ingiustizie, sempre riemergenti in modo forse più marcato, a svantaggio dei più indifesi grida il dolore della miseria e urla la disumanità della fame. I potenti riuniti a Parigi, pertanto, dibattano pure sugli obiettivi da loro considerati meno nocivi, ma non dimentichino che ogni loro decisione avrà il senso di soluzioni credibili solo se l’obiettivo finale è l’abbattimento della belligeranza e il perseguimento della pacificazione dei Popoli.  

Diano vita a una cultura della pace, propugnando una politica, che, incrementando e valorizzando la presenza attiva dell’uomo nel campo della storia umana, consenta il passaggio da una civiltà fondata sulla competizione ad una civiltà fondata sulla valenza dell’uomo e sulla corresponsabilità reciproca. Però, non come un pacifismo mistico o utopico, ma come un cammino faticoso verso un ideale, che rimarrà tale, ma verso il quale l’umanità deve marciare, avvicinandosi il più possibile, come auspicava già secoli fa Erasmo, quando nel Lamento della pace, concludeva: “Vengano resi i massimi onori a chi ha contribuito a tenere lontano la guerra (…), a chi si è prodigato senza risparmio non per allestire la massima potenza di schiere armate e di macchine belliche, ma per non doverne abbisognare”.

 

 

domenica 20 dicembre 2015

SOLITUDINE INTERIORE E VERTIGINE ESISTENZIALE


Pausa di solitudine “interiore”: indefinita densa profonda. Momenti interminabili d’uno smarrimento totale, insospettato. Angosciata sospensione di tutto, strana misteriosa interruzione di realtà. 

Non la riflessione distaccata sull’origine del proprio esserci, o la ricerca appassionata del come del proprio esistere, o la struggente inquietudine d’indovinare la destinazione della propria vita. E neppure il dolente rimuginare i pochi o molti rapporti più o meno sinceri e disinteressati o calcolati o falsi intercorsi nel tempo. E nemmeno il rimembrare le passate vicende: belle e gratificanti oppure tristi, frustranti, talora quasi fatte e destinate per il peggiore andamento della vita. 

Forse importante, ma certamente penoso, è il bisogno d’intrattenersi mestamente con se stessi, per poter prendere atto della realtà del naturale evolvere della vita cosmica in generale e umana in particolare, che inesorabilmente ha un inizio, uno svolgimento, un termine, secondo una propria inarrestabile ciclicità esistenziale, dall’incomprensibile criterio. Non meno angosciosa è la voglia di confortarsi, magari con un malinconico sorriso di auto-commiserazione e di rassegnata auto-sopportazione; momentanea è anche l’illusione di sostenersi, rannicchiandosi in un’inerte accettazione di tutto il passato e in una spenta disponibilità a partecipare a qualunque accadimento futuro. Non si sente neppure lo stimolo a tentare almeno di non sentirsi e di non viversi fuscello di paglia in balia d’un arcano destino. Nessun impulso a tentare d’evitare di dover concludere che tutto è soltanto coincidenza o casualità o addirittura caos.  

Ma .... “toccarsi concretamente” quasi con mano nel fondo della propria realtà, intuirsi profondamente nel proprio nucleo esistenziale senza alcuna mediazione di ragionamenti o sentimenti o volontà, verificare inesorabilmente che colui che si sta quasi toccando con mano, che si sta intuendo identico a sè, che si sta constatando realmente e con sicurezza come un esistente vivente già nel passato, nel presente come pensante all’oggi ma nel tentativo anche d’intuire un qualche flusso premonitore del futuro … è proprio lui!

Lui, ora, da solo, unico come identico a se stesso e necessariamente diverso e diviso da ogni altra realtà: lui che vive come gettato - insieme al tempo - nel cosmo universale, immerso nell’infinità che scorre ora dolcemente ora crudelmente verso un’eternità agognata ma ignota, sperata ma spesso evanescente, forse anche del tutto inconoscibile. Solo; con tutto ciò che è stato e ha fatto. Intuirsi, allora; e viversi nell’assoluto isolamento da tutto e da tutti.

Dichiararsi pronto a riconoscersi serenamente e accettarsi eroicamente come l’unico vero protagonista della propria vita, per cui può e, qualora ne sia il caso, deve dare conto di se stesso solo a se stesso: mai, allora, potrà ingannare la sua intelligenza né circuire la sua coscienza. Per questo diventa ormai pronto ad accogliere tutto ciò che è successo nello scorrere del tempo, sorridendo del bene che gli occorre alla memoria, rammaricandosi del non bene che potrà aver fatto, addolorandosi di qualche eventuale male, di cui però non ricorda nulla in particolare, che spera non sia esistito, ma che sa, qualora l’avesse fatto, che può correlarlo sicuramente alla sua buona fede, perché è sempre stato del tutto estraneo al suo modo di vivere ogni intenzione malevola o malefica. 

Solitudine interiore. Vertigine da panico. Enorme. Dapprima angosciante con tremore, poi immobile e serena, infine dolce e benevola: tutto, allora, acquista colore e valore. Momenti sublimi: godersi pacificamente, pacatamente, piacevolmente la calma morale che rinvigorisce, l’alito della speranza che vivifica, la brezza dell’entusiasmo che ristora. E gradualmente “toccarsi concretamente” quasi con mano come esistente pervaso da senso, da serenità, perché purificato da ogni scoria colpevole o innocente d’un passato vissuto tra speranza e disperazione, tra amore e odio, tra fatica e passione, tra entusiasmo e depressione. Da essere umano.