Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

giovedì 16 aprile 2015

SENZA DISTINZIONE NON C'E' VERITA'

Pubblicato su Affaritaliani col titolo “Le sentenze un po’ grossolane di Matteuccio”. Martedì. 24 marzo 2015
 
Nel discorso rivolto agli studenti della LUISS oggi pomeriggio (lunedì 23 marzo), il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha parlato a tutto campo, optando con decisione per la tattica dell’attacco generalizzato. Non s’intende assolutamente mettere in dubbio la sincerità delle convinzioni del premier, che del resto ha chiesto la copertura dello stesso Montesquieu,  né d’altra parte si ha intenzione (almeno per il momento e per la natura e le  finalità di quest’intervento) di entrare nel merito del molteplice e notevole operato del suo governo. Ma solo alcune precisazioni, per evitare che la vivacità della parola e la forza trainante della retorica nascondano pericolosi fraintendimenti.
 
A ciò spinge anche l’ammonimento lanciato dal filosofo-psichiatra austriaco Victor Emil Franckl: “L’uomo non agisce solo per ciò che è, ma diviene anche per ciò che fa” e, ovviamente, anche per il modo con cui lo fa: e vale sia per i singoli individui che per i popoli interi. Le modalità con cui si decide una scelta, quindi, sono fondamentali soprattutto oggi, nell’attuale società, dominata dall’insicurezza e dall’incertezza, per cui è apprezzabile un atteggiamento ispirato a decisionalità. Decisionalità che, però, non va confusa e tanto meno identificata con il decisionismo, alimentato dalla tentazione di prendere decisioni in maniera rapida, senza la necessaria ponderazione e, soprattutto, senza adeguate consultazioni, ostentando spesso eccessiva sicurezza in se stessi, che fa rimanere chiusi nella logica del proprio pensiero e non fa ascoltare nessun altro interlocutore. Per cui si pensa d’avere sempre ragione, convincendosene sempre di più con il ripeterselo. La decisionalità è davvero efficace solo e quando si sostanzia della ponderatezza ragionevole, del dialogo disponibile, della responsabile previsione d’ogni possibile conseguenza nel medio e lungo termine, dell’onestà intellettuale di riconoscere propri eventuali errori e dell’umiltà morale di porvi rimedio. Tutte qualità difficili a trovarsi simultaneamente in uno stesso uomo e in una medesima situazione.
 
Quando il premiere afferma con convincimento per noi sospetto: “Deriva autoritaria è il nome che tali commentatori un po' stanchi danno alla loro pigrizia”, sembra confondere la “legittimazione a prendere decisioni” con le modalità proprie di quel sistema politico “democratico” che concede tale legittimazione. E certi procedimenti nel prendere decisioni segnano un confine sottilissimo con il decisionismo, che fa riemergere paure di sistemi non proprio democratici. Non sempre di “pigrizia”, quindi, si può trattare, ma talora forse di quella saggia esperienza, che già il vecchio e scaltro Cicerone attribuiva come prerogativa all’età avanzata (che mai avrebbe pensato di “rottamare”, ma certo di fruirne!).
 
E così suscita preoccupazioni l’altra affermazione del premier: "Se consentiamo di stabilire un nesso tra avviso di garanzia e dimissioni, stai dando per buono il principio per cui qualsiasi giudice può, non emettere una sentenza (che sarebbe anche comprensibile), ma iniziare un'indagine e decidere sul potere esecutivo". Esatto. Ma ci si sarebbe aspettato che il premier, nel rivendicare giustamente la “centralità della politica”, avesse aggiunto - con franca onestà e autentica libertà di pensiero - che la dignità del mondo della politica e la trasparente intaccabile moralità del politico, da parte loro, non dovrebbero dare mai adito alla magistratura di “dettare l’agenda dei governi”.
 
 
 

 

 

 

venerdì 20 marzo 2015

SCUOLA, LA RIFORMA MERITA SERIETA'

Pubblicato su "Affaritaliani"  il 6 marzo 2015

L'annunciata riforma "storica" della scuola, annunciata come vera rivoluzione epocale e perno della ripresa globale della vita civile e politica dell'Italia - come è stato spesso dichiarato dai governanti del momento - è stata affidata a un Disegno di Legge, che il Parlamento dovrà approvare (come è stato avvertito dall'Esecutivo) entro metà aprile, cioè circa 40 giorni. Se ciò non avverrà, la gravità e l'urgenza della riforma farà sentire il governo "costretto" all'adozione della decretazione d'urgenza, per la cui conversione in legge, però, il Parlamento avrà ben 60 giorni. La motivazione di questo strano comportamento la spiega lo stesso Presidente del Consiglio Renzi in un'intervista rilasciata all'Espresso: "Sulla scuola - ha detto - ci siamo impegnati con il Presidente della Repubblica e con le opposizioni a presentare meno decreti possibile. Mettiamoci d'accordo: prima mi accusano di essere un dittatore, che vuol fare tutto da solo; se presento un disegno di legge aperto alla discussione, mi accusano di non decidere".

Il premier, allora, rivela, o almeno fa intuire, le vere ragioni della sua obbligata azione: "concedere" anche solo formalmente alla Camere Legislative almeno un po' del potere attribuito loro dalla Costituzione e che ogni Presidente della Camera dei Deputati (lungi dall'uscire dal perimetro della propria autorità e invadere il perimetro delle competenze altri) ha il dovere istituzionale di garantire e di difendere le prerogative dell'Istituzione presieduta. Infatti, se la riforma della scuola è davvero "urgente" (come ha dichiarato il sottosegretario Faraone) e richiede lealmente "una discussione ampia" (come ha detto esplicitamente Renzi) la procedura più congrua e lineare è semplice: il Consiglio dei Ministri licenzi un testo di riforma ben definito in ogni suo aspetto e lo sottoponga alla fiducia del Parlamento, che saprà certamente valutare le proposte dell'Esecutivo nella loro oggettiva portata.

Da molte parti (politiche, sindacali sociali) si sospetta, comunque, che dietro tutta l'enfasi delle procedure da adottare e della tempistica da rispettare ci siano difficoltà molto più serie, che solo chi ha vissuto e operato nella scuola conosce.

La scuola ha una problematica molto delicata e complessa: nelle aule scolastiche non c'è una fabbrica, un opificio o una azienda, ma vite umane d'indiscutibile valore e dignità; c'è il futuro concreto delle nuove generazioni, cioè la qualità della vita dei singoli e di tutto il popolo italiano. C'è il futuro dell'Italia affidato a operatori scolastici (docenti, amministrativi, tecnici, ausiliari), che quotidianamente dedicano forze fisiche ed energie culturali, spesso ignorati e talora persino non trattati dignitosamente. E non solo e non tanto per l'aspetto economico: da sempre la scuola si è retta sulla dedizione professionale e sulla abnegazione umana degli insegnanti, che hanno saputo scindere la consapevolezza dell'importanza del loro ruolo dalla considerazione da parte della società e persino dall'indecorosa retribuzione economica. Per questo il mondo della scuola pretende serietà vera e richiede responsabilità convinta, onde guardare al di là dell'immediato e dai risvolti puramente partitici e di successi personali, che non sempre comunque sono da biasimare; anche quando si rischia d'essere considerati e dichiarati "dittatori"; il dittatore non è necessariamente un tiranno: ci sono state e possono esserci sempre nobili figure di dittatori, alieni da ogni vanità, da ogni sfarzo, da ogni esteriorità, al servizio del bene comune.

martedì 17 marzo 2015

POTERE COME SERVIZIO, SPERANZA NELL'ERA MATTARELLA

Pubblicato su "Affaritaliani" mercoledì, 25 febbraio 2015

All'imprevedibile stupore per i forti messaggi della "Enciclica dei gesti", che Papa Francesco (o, meglio, Francesco, vescovo di Roma) lancia ormai quotidianamente, fa seguito un inaspettato sconcerto per il comportamento normale del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Entrambi ai vertici d'un alto potere loro affidato, continuano entrambi a vivere la quotidianità come uomini e cittadini comuni, che adempiono con consapevolezza e senso del dovere ai compiti loro fiduciosamente affidati e da loro liberamente accettati. Crea forte incredulità, tuttavia, che a stupire siano la normalità umana e la dignità istituzionale, che rendono comprensibile, accettabile e persino piacevole l'esercizio del potere come servizio disponibile a tutti e non come supremazia da esercitare su tutti. Crea meraviglia un Presidente della Repubblica, che esce da casa in panda, che usa un volo di linea per recarsi a visitare i suoi cari defunti, che utilizza due mezzi pubblici per andare da Roma a Firenze, per presenziare alla Scuola Superiore della Magistratura l'inaugurazione dei corsi di formazione del 2015.

Stupore e incredulità, tanto opposti sono stati per decenni gli spettacoli offerti dalle varie "cariche pubbliche". E il neo presidente della Repubblica (come già anche il pontefice romano) va diritto non solo nelle forme, ma soprattutto nella sostanza concreta dei problemi reali e, senza alcuna esitazione, anzi con cipiglio mite ma risoluto e, quindi, indisponibile a qualunque aggiustamento improprio, avverte chiunque che le problematiche debbono essere considerate nell'ottica delle esigenze del popolo e risolte nella prospettiva del maggior bene comune. A partire dal potere giudiziario, terzo insieme a quello legislativo ed esecutivo. "I magistrati - scandisce - siano terzi, autonomi e imparziali, né protagonisti né burocrati nel processo"; e a richiedere ciò con urgenza non è qualche tattica compromissoria tra i poteri pubblici o qualche convenienza di equilibri tra i partiti politici, bensì il "bisogno di legalità fortemente avvertito nel Paese". Per soddisfare questo bisogno la stessa magistratura è invitata a darsi "delle strategie organizzative volte al recupero di efficienza", proprio perché è lo stesso ordinamento della Repubblica che "esige che il magistrato sappia collegare equità e imparzialità, fornendo una risposta di giustizia tempestiva per essere efficace, assicurando effettività e qualità della giurisdizione".

Da questo modo di comportarsi del presidente Mattarella sono avvisati gli altri due poteri (Parlamento legiferante e Governo esecutivo) e i responsabili dei partiti politici.

Il Governo proclama e minaccia di "andare avanti per la sua strada", interpretando ogni richiesta di confronto come tentativo di rallentare il cammino e accusando ogni posizione diversa dalla sua come volontà conservatrice. Il Governo s'appella alla decretazione d'urgenza e alla richiesta di fiducia (talora ricattatoria), dalle altre parti si minaccia l'ostruzionismo delle Camere e la contestazione delle piazze. Tutti sono d'accordo ad invocare e reclamare l'intervento del presidente Mattarella. Ma il neopresidente ha fatto sapere che ogni tema, che sarà proposto al suo esame, sarà "esaminato scrupolosamente sotto il profilo della necessità e dell'urgenza". Del resto, nel suo discorso di insediamento Mattarella ha fatto capire - ovviamente a chiunque avesse voluto capire - che suo impegno sarebbe stato quello di riportare la vita politica e istituzionale alla normalità: "Vi è anche la necessità di superare la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo, bilanciando l'esigenza di governo con il rispetto delle garanzie procedurali di una corretta dialettica parlamentare". Fondandosi su solide basi, anche la Presidente della Camera Laura Boldrini aveva sanzionato il potere esecutivo, in quanto " bisognava considerare i pareri dati dalle Commissioni".

L'arbitro è imparziale. Forse i giocatori non gli facilitano il compito: qualora si propongano di fare, basta che guardino un po' di il là del loro recinto ed esercitino il potere come servizio per il bene comune. Guardando, come modello, ciò che fanno papa Francesco e il presidente Mattarella.