Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

venerdì 18 dicembre 2009

Un volume di Hans Jonas: LIBERTA’ E’ DUBITARE DELL’ASSOLUTEZZA

In questi giorni è stato pubblicato, in traduzione italiana, il volume “Problemi di libertà” di Hans Jonas. In esso sono raccolte le lezioni, finora inedite, che il filosofo tenne nel 1970 a New York, e la cui lettura sollecita alcune riflessioni, che appaiono particolarmente urgenti.
Non si sa quanta fondatezza storica abbia la tradizione che tramanderebbe una relazione culturale – dialettica ma quasi amicale – tra il filosofo romano stoico Seneca e l’ebreo Paolo convertitosi alla sequela del Cristo e divenuto ‘apostolo delle genti’. E’ certo, però, che sul problema e sulla concezione della libertà li troviamo su posizioni assolutamente opposte. Ora, grazie al volume di Jonas, ritornano quanto mai attuali il confronto e la discussione delle due dottrine.
Per Seneca – e per lo stoicismo in generale – la libertà è la possibilità è di disporre di se stessi in assoluta autonomia e con piena responsabilità: cioè, la capacità personale di pensare, di volere, di sentire, di agire secondo le indicazioni della totalità del proprio essere, i suggerimenti della propria ragione, le urgenze del proprio sentimento. Lo stesso Kant, del resto, identifica la libertà con la capacità soggettiva di dare ascolto sempre e solo alla voce della propria ragione e di conformarsi ad essa; per il filosofo tedesco non c'è alcun dubbio: qualunque elemento esterno all’umana razionalità - sia esso di natura nobile o ignobile, ovvero scaturisca da fonti superiori e addirittura divine - la rende sottomessa e, quindi, non libera e non degna della natura umana. L’essere umano è anche razionale; ma la razionalità umana non coincide con la sola “ragione” intesa come facoltà di formulare pensieri astratti logicamente connessi secondo schemi linguistici e particolari convenzioni filologiche. La razionalità umana è una realtà composita e ordinata: prima e, oltre che capacità astrattiva, essa è capacità intuitiva e creativa di molteplici forme simboliche, grazie alle quali soltanto nascono le armonie della musica, le drammatizzazioni del teatro, le policrome combinazioni della pittura, le sublimi trasfigurazioni della poesia, le fantasiose costruzioni del romanzo ed anche le ricostruzioni documentarie della storia.
Invece, per san Paolo - e, quindi, per il cristianesimo - questa autosufficienza dell’uomo decreta la negazione stessa di Dio, dal quale soltanto deriva quella Legge unica, eterna e assoluta, che permette all’uomo di realizzare le sue reali dimensioni umane. Dal momento, poi, che tale Legge non solo prescrive i comportamenti esteriori, ma comanda anche i pensieri e giudica i desideri che possono e debbono albergare nell’arcano segreto dei cuori (comanda, infatti,non solo di "non commettere" adulterio, ma anche di "non desiderare" la donna di altri), essa decide il retto movimento anche delle anime. Non ci troviamo, allora, davanti a un essere umano assolutamente assoggettato a una Legge suprema, cui deve adeguarsi sempre e comunque l’essere umano?
Hans Jonas, uno dei massimi rappresentanti dell'umanesimo del secolo passato, in questo suo lavoro ci conduce, attraverso un itinerario storico e teoretico, verso l'esplorazione della rivoluzionaria idea cristiana di libertà. L'essere umano, se è libero, deve poter disporre di se stesso. Tuttavia, si trova immerso e condizionato da tutta una fitta rete di pulsioni personali, di di diritti altrui e di obblighi sociali. Il cristianesimo, da parte sua, pone sotto assedio anche quella dimensione interiore, in cui il singolo poteva credere di essere padrone, se non del mondo, almeno di se stesso. E Jonas - con arguta osservazione storica - annota: "Questo punto di vista cristiano fu formulato per la prima volta nei modi della 'Epistola ai Romani' piuttosto che in quelli di un'affermazione teoretica o come una dottrina generale".
A questo punto - accompagnati dal lucido e appassionato argomentare di Jonas - è lecito chiedersi se per il cristiano ci sia posto per una libera iniziativa dell’uomo e quale sia il ruolo della sua responsabilità nella costruzione della storia dell’umanità e del cosmo. E la domanda si mostra in tutta la sua vera valenza, quando si tenta di scoprire e capire anche quale sia veramente la fonte di questa Legge assoluta e indiscutibile, che, aldilà d’ogni tortuosità e bizantinismo possibili, di fatto governerebbe ogni forma di vita e ogni accadimento naturale e cosmico.
Si potrebbe, allora, indagare coraggiosamente, ed eventualmente riconoscere e accogliere con estrema disponibilità, la possibile esistenza d'un'autonomia umana non superficiale e di facciata, bensì sostanziata di reali dimensioni e protesa verso l'apertura alla complessità della vita esistenziale e dell'intera vicenda del mondo.

mercoledì 9 dicembre 2009

HANS KÜNG, “IN COSA CREDO”:non si crede senza capire

In Germania è stato pubblicato – con il titolo “Was ich glaube” - l’ultimo libro di Hans Küng, il celebre studioso svizzero; in Italia ne è prevista la diffusione con i caratteri Rizzoli e con il titolo “In cosa credo”. Il volume si pone come la logica conclusione di tutto il pensiero e dell’intera vita del Küng. Egli, infatti, è stato (e continua ad essere tuttora) talmente coerente con la propria mente e con la propria anima da aver saputo accettare tutte le difficoltà e aver voluto superare tutte le avversità, che ha incontrato durante il corso della sua vita: anche quando, nel 1978, dopo aver pubblicato il suo “Dio esiste”, gli fu revocata l’autorizzazione all’insegnamento della teologia cattolica. Fu un passaggio molto penoso, che, comunque, non ha mai indebolito il suo impegno di meditazione teologica, di riflessione filosofica e di interesse nei confronti anche delle scienze sperimentali, da lui sempre stimate e rispettate nei loro metodi e nelle loro conquiste.
La preoccupazione dominante e l’intento ultimo dell’intera attività speculativa – teologica e filosofica - di Hans Küng sono stati il ricercare la possibilità concreta d’un’etica universale fondata sulla comprensione sincera e sul rispetto reale degli “altri”, i quali vengono considerati e trattati effettivamente come tali, quando sono considerati e trattati concretamente nella loro individuale dignità di singola persona umana: l’altro, quindi, è ciascun essere umano, qualunque differenza etnica e morale egli presenti, qualunque pensiero filosofico condivida, a qualunque fede religiosa aderisca (non esclusi l’agnosticismo e l’ateismo).
“La mia spiritualità – dichiara Hans Küng in questo suo ultimo libro – ha sempre avuto a che fare più con la razionalità che con la sensibilità. Non ho mai voluto semplicemente ‘credere’, ma anche ‘capire’. Come teologo mi sono sempre ritenuto anche filosofo, ho studiato filosofia e l’ho praticata”. Ed esprime pacatamente, con umile semplicità ma anche con sostenuta convinzione, la sua certezza d’aver contribuito a colmare una grave lacuna che presenta l’attuale pensiero filosofico, da ormai lungo tempo impoverito di quella ricchezza, che è apportata dalla riflessione sui problemi della metafisica: “Forse che con la mia teologia – scrive con fiducioso ottimismo – io riesca a porre rimedio a quella dimenticanza di Dio sopravvenuto nella filosofia e a quella dimenticanza della filosofia avvenuta nella teologia?”. E animato proprio da questa fiducia ha voluto (e saputo) unire al metodo del razionalismo cartesiano l’incessante e pressante “voce del cuore” invocata da Pascal: l’essere umano - secondo Hans Küng - non è solo ragione, ma possiede tutto un complesso e ricco patrimonio di umanità profonda, costituita anche da emozioni e intuizioni: “Ci sono tanti fenomeni specificamente umani, come l’arte, la musica, l’umore, il riso, e certo il dolore, l’amore, la fede e la speranza, che non si lasciano cogliere in maniera critico-razionale nelle loro varie dimensioni, bensì che è possibile avvertire solamente nella loro pienezza”.
La totalità dell’essere umano richiede analisi ardite e risposte approfondite. Non ci si può fermare all’approssimazione e alla superficialità: “Come filosofo e teologo – afferma Hans Küng – non posso accontentarmi della problematicità superficiale del nostro mondo secolarizzato e ridotto solo a razionalità e funzionalità, bensì debbo cercare di penetrare nella sua dimensione più profonda. Come si può altrimenti trovare una risposta alla domanda sul fondamento della vita?”.
La lettura di questo scritto “autobiografico” di Hans Küng sembra essere particolarmente adatta per la nostra umanità, specialmente in questo periodo, in cui essa appare essere dominata dal pragmatismo e dall’utilitarismo, imperanti ormai in ogni campo della vita individuale e degli assetti sociali. Convincimenti e atteggiamenti, questi, che pretendono di tutto giustificare e tutto rendere “normale”, condannando al progressivo decadimento intellettuale le menti e alla lenta insensibilità morale i cuori dell’essere umano.

venerdì 30 ottobre 2009

IDEALITA' E REALTA' ovvero SOLITUDINE E TOTALITA’

Mondo delle idealità e mondo delle realtà, confini della spiritualità e confini della concretezza, sfera della progettualità e sfera della realizzabilità: sembrerebbero due mondi distinti, forse anche contrastanti e inconciliabili, per cui sarebbe assurdo anche ipotizzare la possibilità di una loro interazione. Sembra opportuno, tuttavia, indagare se possano esserci – o se ci sono con certezza – rapporti tra il mondo “interiore” proprio dello spirito umano individuale e il mondo “esteriore” proprio della vita che si svolge nelle società umane e nel mondo della realtà. Il primo è il mondo, che ognuno concepisce negli intimi recessi del suo spirito, feconda nell'arcano calore del suo sentimento, alimenta nella segreta intimità del proprio animo (è il mondo, quindi, fatto di interiorità, di risevatezza, di segretezza, di “nessi logici” umani, ma incomunicabili); il secondo è il mondo della vita reale, quel mondo che ciascun uomo deve progettare nelle maglie spesso ingovernabili dei rapporti interindividuali, deve vivere nell'intreccio imprevedibile dei rapporti tra gruppi e tra società, deve realizzare durante il tempo che passa inesorabilmente, e dentro gli spazi quasi sempre imposti dalle situazioni storiche oggettive e contingenti (è il mondo, quindi, fatto di esteriorità, di verificabilità, di ostentazione, di “nessi logici” umani comunicabili, che si traducono, per lo più, secondo l'espressione di Ipponatte, nelle “ipocrisie della vita”).
Ciascun uomo, esistenzialmente, nasce “situato” in un luogo e in un tempo definito, del tutto indipendentemente da ogni sua scelta, consapevole o inconsapevole; si viene a dover stare, quindi, in un contesto sociale, economico e culturale ben stabilito; e da questo contesto, di cui è “figlio”, gli derivano i fondamentali caratteri specifici che lo “segneranno”, cioè lo definiranno, lo condizioneranno, lo determineranno per l'intero corso della sua esistenza, investendone non solo i suoi aspetti corporei e le sue connotazioni psichiche, ma anche le modalità essenziali del suo pensiero e del suo comportamento. Sotto questo aspetto, perciò, ciascun uomo è “segnato” biologicamente e culturalmente; cioè, è un soggetto che “deve” pensare e agire nell'alveo di tradizioni consolidate, di valori comuni, di doveri e diritti sociali concordati e sanciti. Diversamente diventerà un apolide, “asociale” e “incivile”: rimarrà estraneo e rigettato da tutti, cioè non avrà una propria identità sociale e culturale storica. E così ridotto, sarà considerato e trattato come un povero “idiota” da sopportare e da commiserare: sempre, comunque, inutile, se non addirittura nocivo, perchè di peso e di ostacolo al cosidetto vivere civile.
Nello stesso tempo, però, ciascun uomo, esistenzialmente, nasce “dotato” di un proprio mondo interiore, tutto e solo suo, dentro il quale egli cova, feconda e alimenta sentimenti spontanei suoi e sue emozioni involontarie, affetti liberi suoi e sue speranze inaspettate, desideri impensati suoi e sue paure improvvise, incertezze incontrollate sue e suoi progetti accarezzati, suoi sogni sempre bramati e mai abbandonati: cioè, tutto quel mondo interiore, che costituisce la sostanza più vera della singola vita umana; quella sostanza che dà l'audacia delle proprie visioni totali e delle scelte vere, radicali e definitive, che niente e nessuno, nemmeno la morte, potrà mai mutare e nemmeno soltanto scalfire. La realtà storica, tuttavia, condizionerà le idealità e addirittura determinerà le modalità della realizzazione delle scelte; il mondo reale imporrà tempi e spazi d'azione e di comportamento, richiederà coraggio estremo, causerà dolori sovrumani, infliggerà tormenti strazianti. Però, rimarrà intatta, sempre e comunque, l'essenza reale del mondo ideale d'ognuno, cioè dell'unico mondo veramente pieno, perchè popolato dalle scelte autentiche, perchè scelte libere, estreme, “ideali”, totali, che l'uomo, dovendo vivere concretamente negli angusti confini della storia terrena, momentaneamente realizza solo nelle dimensiomi della speranza e dell'attesa, ma che che è sicuro di realizzare nella piena totalità della loro entità nell'eternità dell'Infinito. Il mondo delle idealità è il mondo che ognuno vive nel proprio animo: e lo gestisce liberamente, lo custodisce gelosamente, lo difende tenacemente. Ecco perchè abbiamo definito l'animo umano come “lo scrigno più prezioso, più sicuro, più impenetrabile, più sacro che è dato in dote a ciascun uomo”. E la dimensione dell'animo umano è così importante che l'abbiamo considerato “l’essere sostanziale d’ogni individuo, la sua vera essenza esistente e vivente in sé e per sé, nella sua singolarità totale, che rende l’esistente umano (che in sé e per sé è individuale e contingente) partecipe della Totalità somma dell’unico Essere infinito: quell’Essere che tutto comprende e tutto accoglie; che tutto realizza e tutto esprime; che tutto verifica nell’assoluta trasparenza immediata della verità immortale (…); che mai viene meno, mai dubita, mai tradisce; quell’Essere totale che nessuno e nulla può ingannare”.
Ecco la drammacità della situazione esistenziale dell'uomo. Da una parte, egli è un essere storico, che “deve” vivere in tempi storici ben definiti e dentro spazi geografici ben circoscritti, per cui è “parte” di una ben determinata cultura, dentro la quale “deve” realizzare la sua esistenza. Si trova immerso, quindi, in un mondo storico, che s'impone per la concretezza degli elementi che lo costituiscono: cioè, successo, benessere, ricchezza, potere, piacere, salute... E' un mondo che forma un insieme ben compatto di solidi elementi che interagiscono tra di loro, condizionandosi e determinandosi, creando, così, “situazioni oggettive” concrete e inoppugnabili, che governano sostanzialmente la vita storica degli uomini. Dall'altra parte, però, l'uomo, in quanto dotato anche di animo, di mente, di cuore, di sentimento, è pure un essere che vive – anche se in un mondo fatto di tempo e di spazio - un'esistenza “senza tempo e senza spazio”, un essere incondizionato, “libero”, tendente all'infinito. Come tale, l'uomo è ”cittadino” del mondo “ideale” (non meno reale del primo): quel mondo che vogliamo indicare come il “mondo ideale dei sogni”, che, sgorgando e sviluppandosi nella profonda intimità dell'animo umano, abita totalmente nel pensiero e vive pienamente nei cuori degli uomini.
I due mondi, quello delle idealità e quello delle realtà storiche, si trovano spesso in disaccordo e in contrasto tra di loro e generano, perciò, dissidi interiori e tormenti esistenziali. Molti pensatori hanno rappresentato esemplarmente questo stato umano: poeti, artisti, filosofi. La sofferenza maggiore deriva dall'impotenza umana di dare pieno sviluppo a tutti gli aneliti dell'animo, mortificati dalla necessità che domina la contingenza dei fatti umani. Il divario tra realtà e idealità è troppo grande e, storicamente durante questa vita, a dominare è la tirannia della realtà. Però, quanto maggiore è il dominio del mondo reale tanto più si rinforza la “fede razionale” nelle idealità, che accrescono sempre di più la loro consistenza e la la loro urgenza. Addirittura, si assiste al paradosso per cui quanto più vuole prevalere la realtà, tanto maggiore diventa la forza dell'ideale, vincendo ogni ostacolo e superando ogni difficoltà. L'animo umano, allora, si slarga gradualmente e incessantemente, sentendo sempre più urgente il bisogno dell'infinitudine, tanto da desiderare sempre di più di liberarsi dai suoi limiti esistenziali e sciogliersi nella Totalità dell'Essere, dove albergano solo certezze e regnano solo scelte estreme, definitive ed eterne.
Questo mondo ideale – si chiedeva, tra gli altri, Kant - raggiungerà mai la sua piena realizzazione, o è condannato a rimanere un'aspirazione dell'animo e un anelito dello spirito umano? Mondo ideale e mondo reale, pur essendo in dissonanza e talora anche in contrasto, tuttavia interagiscono; anzi, è proprio la loro interazione che tesse la trama concreta dello svolgersi dell'esistenza umana. E, mentre il mondo della storia à destinato a passare, il mondo delle idealità è destinato all'eternità, dove c'è solo vita perenne e indistruttibile. Per cui la realtà più solida è quella delle idealità, che costituiscono la vera forza motrice dell'esistenza umana: sono le idealità che dànno impulso al vivere umano. L'uomo vive in questo mondo, ma non è di questo mondo: la sua avventura esistenziale è un perenne tendere e un progressivo avanzare verso i cieli dell'immortalità e dell'eternità. Vive incatenato ai ceppi della contingenza e del transeunte, ma “sogna” e tende all'assoluto, per il quale è fatto, per il quale vive e a cui aspira. Tutto ciò può sembrare piuttosto astratto, se non poco sensato; e non a caso è lo stesso Kant che, prevenendo tale osservazione, ammonisce gli uomini: se, anziché deridere le “idee” platoniche, essi si impegnassero e si dedicassero a realizzarle nella storia del mondo, il mondo sarebbe certamante meno ingiusto e più a dimensione d'uomo.
Felice, allora, chi può pregustare, già durante la sua esistenza storica, le gioie del mondo “ideale”. Egli vivrà sicuramente momenti anche di strazio e di sofferenza, ma si sentirà sempre più puro e sempre più vicino all'Assoluto: si vivrà sempre più estraneo al mondo reale e sempre più partecipe del mondo ideale, dove sa che diverrà Unità indissolubile. L'animo umano, allora, s'espande fino a bramare di contenere in sé l'Universale e l'Infinito, anche se nelle sole dimensioni della speranza e dell'attesa. Paradosso: solo così l'animo umano “finito” supera le limitazioni e le angustie della realtà storica e si slarga sempre più fino a contenere in sé lo stesso “infinito” perennemente bramato e sempre più intensamente agognato. Nello stesso tempo l'Infinito accoglie e scioglie in sé l'animo dell'uomo, che ha coltivato idee rette e sublimi.Tutto ciò, mentre scorre il tempo, fatto di frammenti che svaniscono, perdendosi nel nulla del passato; mentre il dominio dell'Eterno Infinito s'accresce.
Questo percorso conduce all'isolamento dell'individuo, sfocia nel solipsismo, condanna al nichilismo? No, si risponde con l'autorevolezza dello stesso Platone, prima che lo facesse Kant. In questa avventura esistenziale si autocondanna all'isolamento e al nichilismo solo chi si pasce del suo miope egoismo e si chiude grettamente a ogni forma di gratuita generosità. Ma chi ama l'Umanità e la Realtà, chi ricerca l'Infinito e la Totalità, chi si vota sinceramente al culto della Verità non sarà mai solo, ma possederà una vita colma di senso, a patto però che nutra il bisogno sincero di ricercare l'afflato dell'Amore Totale e senza riserve, che coltivi il coraggio d'intuirne la presenza viva, d'ascoltarne con disponibilità tutte le richieste, d'accoglierne tutte le esigenze con audacia e fino all'estremo, rimanendovi fedele, sempre e comunque, fino a essere pronto al supremo sacrificio del proprio io, se sarà necessario, perchè vi rimanga fedele per l'eternità. Quest'afflato universale, che unisce e sublima, storicamente non è un'astratta aspirazione, né si concretizza solo nel solitario quotidiano operare dell'individuo; ma, perchè sia autentico e vivificante, ha bisogno - come direbbe Jonas - d'incontrarsi con qualche “Altro” dotato di uguale sensibilità e capace di simili eroiche scelte. Solo chi ha la bella ventura d'incontrare sulla sua strada, nel corso della vita, altra anima assetata d'Amore Universale e di senso della Totalità dell'Infinito, vive veramente la pienezza dell'esistenza e realizza tutto il senso della vita umana. Nell'incontro di queste due esistenze s'incarnerà e durerà imperituro l'Amore Universale: quell'Amore che rimarrà l'unico vero Angelo che annuncia l'Aurora di giornate sempre radiose, anche quando saranno momentaneamente turbate dal rumore di qualche tuono, brutto nunzio d'ingiustizia e d'assurdità: ma niente scuoterà l'unità ormai indissolubile dei due esseri, i quali, votatisi insieme alla sublime purezza della generosa gratuità e della fiduciosa libertà, vinceranno tutto il mondo storico, rimarranno in mirabile intima fusione e attenderanno, con fiducia ed entusiasmo, di realizzare le idealità, per le quali sono vissuti, nella loro pienezza totale. Felice chi già in questo mondo incontra, conosce, sceglie, accoglie l'altro, donandosi, a sua volta, senza alcuna riserva e preoccupandosi solo di non venir mai meno alle promesse giurate. Vivrà non nell'isolamento, ma nella “suprema solitudine” piena d'ogni scelta imperitura che condurrà all'assoluta Totalità: eterno evento cosmico retto da arcane ragioni, ignote a noi, che forse conosceremo, quando esse vorranno svelarsi. Mistero di oggi, che sarà verità chiara di domani: così sente l'animo umano, che crede e vive il mondo delle idealità.
Solo nell'intimità dell'animo umano, cioè nel segreto dello “scrigno più prezioso, più sicuro, più impenetrabile, più sacro che è dato in dote a ciascun uomo”, si intuisce il senso dell'avventura esistenziale dell'uomo. Sarebbe molto facile scegliere di riconoscere solo uno dei due mondi (il mondo delle idealità o il mondo delle realtà), sarebbe comodo decidere di rimanere entro i confini o della sola spiritualità o della sola concretezza, sarebbe agevole accogliere la sfera o della sola progettualità o della sola realizzabilità: ma sarebbe solo debolezza e ipocrisia. L'uomo integrale è fatto di molte dimensioni; e, se vuole portare a termine tutto il suo compito e realizzare l'intero senso del suo esistere, deve avere la forza di realizzare l'intera armonia del suo essere e la totalità della sua natura. Negare una qualunque dimensione della natura umana significa rinnegare il proprio ruolo nella sorte dell'intera Umanità, lasciandola carente e imperfetta; intuire e rispettare, invece, la complessa e sublime Armonia della Totalità significa essere consapevoli del proprio ruolo e realizzare il senso del proprio esistere. E non è impresa facile capire sempre il giusto posto da assegnare a ogni elemento che costituisce l'Armonia Universale, la quale talora richiede estremi sacrifici, talora veramente duri ad accettare e a portare fino in fondo: ma l'Amore vince tutto! Felice chi saprà affrontare e superare ogni prova fino in fondo, rimanendo sempre affascinato dal mondo delle idealità, dove tutto è trasparenza e certezza definitive.