Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

mercoledì 25 febbraio 2009

LA DISUGUAGLIANZA PSICHICA E MORALE

Si rivendicano di solito – e a giusta ragione - le varie forme di “uguaglianza” sociale, economica, civile, giuridica. E lo si fa sempre – correttamente - in nome dell’uguale dignità d’ogni persona umana. Per queste rivendicazioni spesso si fa appello a una “natura comune” a tutti gli esseri umani; talora s’invoca anche un “destino ultraterreno comune” a tutti gli uomini, sia esso sperato sulla base di razionali convincimenti filosofici oppure sia esso conquistato con l’accoglimento di particolari credo religiosi. Tutti atteggiamenti, questi, degni e legittimi; anzi, tutte espressioni importanti e determinanti tanto per i singoli uomini quanto per comunità e popoli interi.
Desta, però, non poca perplessità il fatto che frequentemente rimane trascurata una forma di disuguaglianza, che a nostro avviso costituisce una minaccia terribilmente pericolosa per la vera e reale uguaglianza tra gli uomini: si tratta della minaccia rappresentata dalla disuguaglianza, che noi vorremmo denominare “psichica e morale”. Con questo non si vuole affermare che tutti gli uomini siano “naturalmente” dotati d’un’uguale personalità e d’uno stesso sentimento morale; anche perché sull’opinione di una natura umana predefinita, intesa quale fonte primaria ed immutabile di diritti e doveri, sarebbe necessario soffermarsi, per vagliarne l’autorità e la validità. Si vuole solo sostenere che nella realtà anche quotidiana si consumano forme disumane e brutali di disuguaglianza, che si alimentano e si sviluppano nel segreto dell’intimità del proprio animo, tanto irrilevanti per gli altri quanto lancinanti per chi ne è succube.
E questo accade nella concretezza dell’esistenza reale d’ogni singola persona: ed è solo ponendoci all’interno di questa realtà concreta, e non già proiettando su di essa le nostre preferenze ideali e morali, che possiamo individuare gli elementi che determinano simili drammatiche situazioni di estrema frustrazione esistenziale e morale.
Qualunque forma di disuguaglianza “esteriore”, infatti, ha forti ripercussioni e strascichi nell’animo umano: chi ne rimane intimamente offeso, soffre in penoso silenzio forme di triste isolamento, trovando difesa solo nella solitudine più intensa nell’intimità della sua anima, dove solo può raccogliere tutto il suo spirito.
Si tratta di situazioni che segnano profondamente l’animo dell’uomo sin dalla sua più tenera età e fino alla conclusione della sua vita. Bambini che, durante le visite formali di amici e parenti, sono costretti a confrontarsi con amichetti meglio vestiti e più curati. A quell’età nessun bambino ha meriti o colpe: il più abbiente non s’accorge d’essere origine di atroci sensi d’inferiorità, che costringono il meno favorito dalla sorte a “viversi” inferiore! Quest’ultimo, però, ne rimane marchiato, e sarà condannato a forme sottili d’impotenza sociale e d’inferiorità morale. Si sentirà sempre “meno” d’ogni altro, si vivrà sempre come incapace d’altro…; lotterà contro il mondo, che lui sentirà sempre più come qualcosa di superiore e più forte, contro il quale pensa gli sia impossibile lottare, perché lui è stato “destinato” a essere “secondo” o addirittura “ultimo”, e comunque sempre “inferiore”.
E, nell’ambito più strettamente familiare, quanta pungente sofferenza causano certe “battute”, ironiche o scherzose, da parte di alcuni maldestri genitori, che con indifferente leggerezza e disarmante superficialità valutano e giudicano i figli, ponendoli in fastidioso e irritante paragone tra di loro! Come se ogni persona umana, anche se della medesima famiglia, non fosse una realtà del tutto autonoma e irripetibile, segnata da una storia che solo essa può e deve decidere e realizzare, seguendo i dettami della sua imperscrutabile coscienza.
E, nell’ambito della scuola, quante “frecciate” incancellabili vengono lanciate da chi deve essere educatore, ma che talora si fa vincere da sentimenti di malevolenza verso i meno dotati e di nociva predilezione verso chi è (ma spesso appare soltanto) meglio dotato e più incline allo studio.
Queste ed altre sono tutte situazioni, che per lo più sfuggono alla normale osservazione della vita quotidiana, ma che lasciano segni indelebili, causando ferite che rimarranno sempre aperte e condizioneranno la stessa qualità della vita d’ogni uomo. Sino a coinvolgere ogni sua scelta di vita: dalle meno importanti alle più incisive e determinati. E tra queste non vanno escluse le modalità d’intendere e di vivere i rapporti interpersonali, compresi quelli da instaurare con la persona, con la quale si vorrebbe condividere totalmente la propria esistenza almeno terrena.
La disuguaglianza “psichica e morale”, quindi, assume un ruolo di estrema importanza nella vita dell’uomo: fortunato chi non sarà condannato a esserne vittima, e fortunato anche chi non dovrà mai rimproverasi di esserne stato causa!
Quanta inutile dolorosa fatica e quanto inutile spreco di energie per il mondo stesso! Fatica ed energie del tutto negative: senza quella fatica, infatti, si espanderebbero tante energie creative e costruttive; e senza quello dispendio di vitalità il mondo sarebbe più ricco e più pieno.
Disuguaglianza psichica e morale, che tormenta gli spiriti più pensosi e le anime più sensibili per l’intero corso della loro vita, con esiti talora imprevedibili. Certo. Perché gli altri o sono superiori o tali si stimano, e come tali si comportano, gettando fumi di frivolezze e di superficialità. Quindi, è proprio nelle persone psicologicamente e moralmente disuguali che si nascondono spesso doti rare di sensibilità, d’intelligenza, di sentimento, d’intuizione. E spesso, nella vita reale, sono proprio queste persone “perennemente frustrate” che risultano i veri vincitori, che, invidiabili, trionfano su tutto e su tutti, grazie proprio alla solitudine della loro esistenza: esse s’imponendosi – con riservatezza ma anche con risolutezza - nei vari campi della produzione autenticamente culturale: della letteratura, quale espressione genuina di sentimenti talora ignoti ai più; della musica, quale creazione di armonie profondamente umane; del teatro, quale estrinsecazione delle più recondite problematiche dell’uomo; della filosofia, quale ricerca di verità sempre più vaste e più nuove; della definizione di diritti sempre nuovi, quale processo doloroso di autocorrezione, grazie al quale si realizzano la massima concentrazione e la massima diffusione della dignità della persona.
C’è da rimanere stupiti di fronte a tanti e stupendi frutti, che vengono generosamente donati dalla sofferenza dell’uomo, che, vittima spesso dei propri simili, vive sempre e solo preoccupandosi di rendere più “bella” l’intera famiglia umana. Ma – ci chiediamo pure - è del tutto inevitabile questa forma di disuguaglianza?

sabato 13 dicembre 2008

L’ANIMO UMANO. L’INTIMITA’ CHE TUTTO REALIZZA E TUTTO SALVA

L’animo umano, nella sua più profonda intimità, è lo scrigno più prezioso, più sicuro, più impenetrabile, più sacro che è dato in dote a ciascun uomo. Esso non è ciò che chiamiamo coscienza, e che spesso riduciamo a burbero censore o a scomodo contenitore di comandi e di veti. E non è nemmeno ciò che chiamiamo “anima”, e che spesso intendiamo come un supplemento aggiunto alla natura propria dell’essere umano, che così diverrebbe prodigiosamente partecipe di realtà superiori destinate a vite più eccelse senza tempo e senza spazio. L’animo umano è l’essere sostanziale d’ogni individuo, la sua vera essenza esistente e vivente in sé e per sé, nella sua singolarità totale. E’ l’animo che rende l’esistente umano (che in sé e per sé è individuale e contingente) partecipe della Totalità somma dell’unico Essere infinito: quell’Essere che tutto comprende e tutto accoglie; che tutto realizza e tutto esprime; che tutto verifica nell’assoluta trasparenza immediata della verità immortale; che da nessuno e da nulla può essere contraddetto, perché è esso stesso la verità; che mai viene meno, mai dubita, mai tradisce; quell’Essere totale che nessuno e nulla può ingannare. Quell’Essere, la cui partecipazione appaga l’uomo, la cui comunione ne lenisce le sofferenze esistenziali, la cui unione gli dona i primordiali impulsi di speranza nel futuro e di tensione verso le dimensioni vere della realtà, fatte di pienezza massima e di sintonia perfetta.
L’intimità dell’animo umano, poi, è il tabernacolo sacro, nel quale rimangono scolpiti indelebilmente tutti i pensieri, tutti i desideri, tutti i sentimenti, tutti gli eventi che scandiscono l’intero itinerario dell’esistenza di ciascun individuo. Solo nell’intimità dell’animo umano si conservano, quindi, tutti i segreti veri, che nessun altro essere conoscerà mai; sono quei segreti intimi, che tali rimarranno in eterno: molti presumeranno di indurne cause ed effetti, altri presupporranno di intuirne la natura, ma nessuno ne conoscerà veramente la vera natura.
E’ qui, in questo sacro scrigno, che ci si deve rifugiare, se si vuole veramente stare al riparo da indiscrezioni invadenti e da curiosità interessate; e soprattutto se si vuole vivere davvero la totalità della propria anima. Nell’intimità dell’animo umano gli ”altri” saranno sempre degli estranei molesti, ai quali sarà negata qualunque condivisione e per i quali rimarrà serrato qualunque spiraglio: in essa trova sicuro rifugio la totalità dell’uomo, che avverte il rischio di perdersi nel caos delle attività quotidiane e nel ginepraio delle relazioni sociali. Nell’intimità dell’animo il singolo io raccoglie tutto il proprio spirito, autopossedendosi e vivendosi in tutta la sua totalità e, soprattutto, nella sincera totale trasparenza di sé a se stesso.
In quest’intima meditata conversazione con se stessi cessa ogni equivoco, si dilegua ogni dubbio; non ha ragion d’essere alcun mediatore, alcun traduttore. Si fuga ogni resistenza: tutto lo spirito si scioglie in se stesso e s’abbraccia, comprendendosi.
Solo allora l’uomo si ama davvero, perché solo allora conosce la vera essenza del suo pensiero, del suo agire, del suo sperare, del suo angosciarsi, del suo odiare, del suo stesso amare e amarsi. Allora si pacifica con se stesso, con tutto se stesso: possiede la pace che nessuno può turbare, gode dell’appagamento che nessuno può intaccare, riconquista la purezza originaria che nessuno può più contaminare né tanto meno dissacrare.
E allora, diventa sopportabile anche il mondo degli altri, benché fatto di banalità, di ipocrisie, di invidie, di cattiverie. E il mondo diventa sopportabile, anche perché esso diventa e si rivela più banale e più vuoto.
Custodire l’intimità del proprio animo vuol dire salvare la propria vita: salvarla dalla dissipazione, dalle frivolezze, dalle contese, dal pettegolezzo. Tutte queste negatività ci saranno e continueranno a esserci e a farsi sentire; ma per chi conserva e coltiva l’intimità del suo animo, proteggendola fino al sommo sacrificio di abnegazione e di generosa empatia, è come se esse non ci fossero, perché non penetrano né penetreranno nello scrigno ben custodito della propria anima.

lunedì 10 novembre 2008

EDUCAZIONE ALL’ INVECCHIAMENTO

La “geragogia” (termine usato per la prima volta nel 1973 da Angiolo Sordi) oggi non è solo un’autonoma scienza teorica con un proprio oggetto di ricerca, ma è anche una forte esigenza reclamata dalla dignità della vita dell’uomo tanto nella limitata dimensione del singolo individuo quanto nelle più vaste relazioni della società umana. La geragogia, infatti, è la branca della gerontologia, che si propone di trovare, studiare e proporre un insieme organico d’insegnamenti volti al perseguimento d’un’organica educazione all’invecchiamento, quale preparazione per una vecchiaia attiva e vitale.
Si sa che nel futuro (che in alcuni aspetti si sta già vivendo) vi sarà un numero sempre maggiore di persone, che invecchieranno in maniera migliore sia dal punto di vista fisico che psichico; e tuttavia, però, con la sola triste previsione di vivere da “pensionati” per un numero considerevole di anni, talora notevolmente maggiore che nel passato.
Ora, non è concepibile che questi “nuovi anziani” siano destinati a vivere un periodo ragguardevole di vita senza un proprio ruolo sociale ben definito e connotato da idoneità reali. Non solo non è concepibile, ma è addirittura disumano e funesto, perché un uomo senza un ruolo autonomo di valori veri è necessariamente destinato all’emarginazione e, quindi, all’isolamento. E’compito primario della geragogia, quindi, chiedersi quale ruolo o funzione possa e debba avere l’anziano di oggi nelle strutture della società contemporanea, che cambia con ritmi vertiginosi, provocando numerosi meccanismi emarginanti.
Le trasformazioni degli ultimi decenni, infatti, hanno certamente generato non pochi benefici, ma hanno anche causato situazioni sfavorevoli, che hanno interessato i più deboli e in primo luogo gli anziani. L’industrializzazione del lavoro non ha bisogno più della creatività del singolo, perché si basa esclusivamente su lavori meccanizzati, ripetitivi e legati alla produttività e all’efficienza (quando non alla carriera): l’obiettivo primario è maggiore ricchezza e maggiore prestigio sociale; e quello che serve è una conoscenza operativa, bisognosa sempre e solo di nuovi aggiornamenti tecnici e metodologici. Non c’è alcun posto per l’esperienza acquisita (magari nel corso d’un’intera vita) anche come patrimonio di valori. Quell’esperienza propria che detiene l’anziano.
Anche il modello di famiglia “nucleare” è incapace di proteggere e valorizzare le potenzialità degli anziani, in quanto – data, appunto, la struttura del lavoro industrializzato – non ha la possibilità di accoglierli nel suo interno e tanto meno di garantire loro una qualche forma di assistenza.
L’età della pensione coincide con l’inizio di un ruolo improduttivo dal punto di vista economico e sociale: lo stabiliscono norme giuridiche, anche se a decidere (liberamente?) il passaggio dalla produttività all’improduttività è ciascun individuo.
Volendo esprimere questa realtà con espressione forse brutale, ma vera, si potrebbe dire: la vecchiaia, un tempo età di saggezza venerata e tenuta in gran conto per le sue potenzialità “produttive” in termini di guida, ora è sostanzialmente età d’attesa che la vita finisca, cessando di essere un peso per gli altri e un tormento per se stessi, condannati all’isolamento e all’emarginazione.
La geragogia si faccia carico di questi aspetti umani e, affrontando indagini impietose sulla realtà effettiva del vecchio oggi, fornisca indicazioni “oggettive” per un’adeguata educazione all’invecchiamento degno dell’uomo.