Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

domenica 31 ottobre 2004

Qualunque formazione e organizzazione sociale, che vogliano sussistere e sopravvivere in quanto tali, indipendentemente dalla propria entità quantitativa e dal fine che intendono perseguire, hanno bisogno della presenza operosa di un detentore dell'autorità, cioè della capacità e della responsabilità di dirigerle e amministrarle. Non v'è famiglia autentica senza l’autorità parentale; non v’è scuola educante senza l'autorità d’un educatore intellettualmente preparato e umanamente formato; non v’è tribunale giusto senza l’autorità di una magistratura credibile; non v’è organismo dello Stato senza l’autorità di un governante seriamente accreditato. In ogni forma di società umana è necessario, quindi, che ci sia chi abbia il potere d’ indirizzare la volontà degli altri secondo la propria.
La differenza, però, che distingue una società civilmente progredita e moralmente accettabile da una società indegna delle reali dimensioni dell’uomo sta nelle modalità con cui il detentore dell’autorità la esercita. Oggi s’assiste con frequenza – e in ogni campo: civile, militare, politico, religioso, culturale, economico - a detentori dell’autorità fondamentalmente convinti che essi possono (e talora addirittura debbono) pretendere e ottenere l’ubbidienza al proprio volere, solo “in quanto autorità costituita”. Oggi, soprattutto laddove sono stati conquistati i principi della democrazia e i valori della libertà, non c’è alcuna esigenza di questo tipo d’autorità; anzi, al contrario, è quanto mai da evitare, proprio perché fondata e sostanziata della forza brutale, che s’addice a società primitive o di basso livello di civiltà. Nel nostro mondo c’è, invece, grande bisogno ma di “autorità autorevoli”, cioè di chi detenga il potere ed eserciti le proprie funzioni nella sfera privata o in quella pubblica, grazie e in nome della sua capacità di ottenere fiducia e obbedienza – prima e oltre che per la carica – soprattutto per superiorità morale e intellettuale, per competenze specifiche e particolarmente rilevanti, per dignità derivante dalla testimonianza di una vita tale da fornire elementi certi di giudizio e dati significativi di valutazione. La democrazia e la libertà hanno bisogno di credibilità e di prestigio: cioè, non di forza economica o militare, ma di autorevolezza fatta di spessore intellettuale e di seria gravità morale. E non è un’astratta utopia. E’ solo l’ideale di ogni uomo che continua a credere, comunque, nella ragionevolezza dei propri simili: è il suo ideale, per il quale ritiene che valga la pena di vivere; ma è anche l’ideale verso il quale deve guardare ogni civiltà che non voglia condannarsi al proprio annientamento.

martedì 26 ottobre 2004

Le generazioni che hanno provocato e gestito le contestazioni del ’68 sono quelle che governano oggi – in maggior parte – i nostri modelli culturali e le nostre organizzazioni sociali ed economiche. Certo, qualche volta si fa fatica a convincersi che si tratta dei medesimi “protagonisti” della storia!

lunedì 25 ottobre 2004

LIBERTA’ VERA DI UNA COSCIENZA MORALE AUTENTICA

Ricordo che circa quarant’anni fa lessi con sentimenti di fiducia immensa e di luminosa speranza alcune parole che il filosofo Jacques Maritain – figura di primo piano nella chiesa cattolica d’allora e grande artefice d’importanti decisioni conciliari – scrisse, con coraggio ed entusiasmo, nel 1965 a conclusione dei lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II. Eccole:

“Si esulta al pensiero che è stata ora proclamata la libertà religiosa. Ciò che così si chiama non è la libertà che io avrei di credere o di non credere secondo le mie disposizioni del momento e di crearmi arbitrariamente un idolo, come se non avessi un dovere primordiale verso la Verità. E’ la libertà che ogni persona umana ha, di fronte allo Stato o a qualsiasi potere temporale, di vigilare sul proprio destino eterno, cercando la verità con tutta l’anima e conformandosi ad essa quale la conosce, di ubbidire secondo la propria coscienza a ciò che ritiene vero riguardo alle cose religiose. La mia coscienza non è infallibile, ma io non ho mai il diritto di agire contro di essa”. (Il contadino della Garonna, trad. it., Brescia 1965, p. 11).

Le rileggo oggi. Guardo con occhi disincantati l’uomo del nostro tempo: la fiducia tende a scomparire; e talora s’affievolisce anche la speranza!