Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

martedì 22 marzo 2016

PARTITI POLITICI: “MUTAZIONE GENETICA” O DETERIORAZIONE ETICO-GIURIDICA?


Su Il Foglio di giovedì scorso 17 marzo è stata proposta ai lettori un’interessante e articolata “chiacchierata con Giuliano Amato”, in cui l’ex premier e attuale giudice della Corte Costituzionale propone un’analisi delle vicende dei partiti politici nelle attuali situazioni sia dell’Italia e sia di altre parti del mondo; analisi in parte condivisibile, ma in parte suscettibile di osservazioni e di necessarie puntualizzazioni. E’ indubbio, infatti, che le società umane – proprio perché umane - mutano, che le generazioni si susseguono con caratteristiche proprie sempre nuove, che gli ordinamenti etici s’aggiornano, le istituzioni s’adeguano e, quindi, l’evoluzione anche dei partiti politici non è “né buona né cattiva: è semplicemente inevitabile, è l’unico modo per andare avanti”. 

L’insigne giurista parte da un dato oggettivo inconfutabile: in Italia e in altre nazioni europee (e non solo) si moltiplicano formazioni politiche nuove, s’assiste a inarrestabili travasi da uno schieramento all’altro, si stringono ibridi connubi fra forze antagoniste, divenute d’un tratto associate nella gestione del potere: sempre, ovviamente, con la dichiarazione di voler solo contribuire alla soluzione di problemi di “economia, di politica estera e di riforme costituzionali”. Tradotto in termini più espliciti: nell’attuale realtà politica delle Nazioni e degli Stati è ormai impossibile pensare a vecchi o nuovi partiti maggioritari oppure sperare in qualche coalizione pluripartitica stabile, cui affidare il governo. Non c’è posto, dunque, per un “centro di governo”, ai cui lati si collocano una “destra” e una “sinistra” minoritarie e destinate al loro ruolo insostituibile di opposizione critica e costruttiva. Il partito politico, pertanto, non è né può essere più quello previsto dall’articolo 49 della Costituzione italiana, ma diventa quello che, captando gli umori  delle varie fasce sociali del momento, propaganda progetti e promette riforme “buone”, mirando però all’incremento del proprio numero di elettori che andranno a votare. Calcoli, quindi, d’interesse partitico a beneficio solo di una parte  e, perciò, avulsi dal bene comune e indifferenti ai valori umani sottesi e alle finalità sociali da perseguire. 

E’ un’analisi improntata a trasformismo governativo e a pragmatismo politico, legittimi e rispettabili, ma che suscitano alcune perplessità riguardo soprattutto due punti. In primo luogo, infatti, è necessario stabilire quali sono – sempre e comunque – la ragion d’essere, la natura e il ruolo del partito politico in una repubblica democratica. Bisogna stabilire se esso è la risultante del libero e responsabile “concorso dei cittadini con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (articolo 49 della Costituione) oppure il risultato variabile e transitorio dei giochi tra i capi-partito. Preoccupano gli spettacoli quotidiani, in cui s’è costretti a confermarsi nella convinione che i partiti odierni mirano solo a imporsi contro tutto e contro tutti, attenti esclusivamente a demolirsi reciprocamente; e, quando lo spettacolo è meno indegno, appaiono sempre più inequivocabili due livelli sociali ben separati tra di loro: quello dei cosiddetti leaders che si denigrano, scommettendo a chi offende di più, e quello del popolo laborioso e serio, ormai disincantato e del tutto disinteressato alle umilianti e sconcertanti beghe partitiche. E’ necessario chiarire, quindi, se i partiti politici – nelle loro oggettive “mutazioni genetiche” storiche – si trasformano per la spinta di nuove esigenze del bene comune oppure vengono costruiti per calcoli settoriali e con tatticismi di dominio di alcuni settori, del tutto estranei ai problemi dei cittadini. 

In secondo luogo sembra necessario intendersi su cosa siano “centro, destra e sinistra” nella vita politica d’una repubblica democratica, intesa come potere del popolo, da parte del popolo, per il raggiungimento di finalità di bene comune. Tradotto in vita pratica, la democrazia è il “vivere insieme” nel rispetto della giustizia sociale e nella salvaguardia della libertà individuale e collettiva. Senza assiduo, attento e leale ascolto del popolo si rischia di “proporre e imporre” modelli di giustizia e di libertà forse belli e affascinanti, ma non aderenti alla realtà del popolo in un determinato momento storico e con particolari problematiche etiche e sociali. La vita politica veramente efficace ha bisogno di un “centro” inteso come punto di saggia e coraggiosa onvergenza delle istanze della “destra” e della “sinistra”, che, se lasciate in balìa di se stesse, la prima rimane puro cinismo (che può giungere a detestare la giustizia sociale e a svilire alcuni sentimenti umani) e la seconda si rifugia in un puro irrealismo (che – secondo l’insegnamento di Rousseau – preferisce sempre “ciò che non è a ciò che è”). 

Per quest’opera di mediazione culturale e politica essenziale la democrazia ha bisogno dei suoi tempi e dei suoi ritmi, che vanno sempre e comunque rispettati da chiunque sia chiamato al compito di governare. Solo così si governa in nome e per conto di tutti i cittadini, qualunque sia la loro fede politica. I cittadini, da parte loro, vanno necessariamente “educati alla politica” quale loro dovere di solidarietà pubblica, per divenire attori e protagonisti di politica e non rimanere individui “governati” perché bisognosi di guida e di sostegno. E il luogo naturale, dove i cittadini possono educarsi politicamente e agire attivamente nella società, è il partito politico. Non quello, però, mutato in associazione di interessi settoriali e privati a sostegno di precarie e mutevoli oligarchie partitiche, bensì come formazioni libere e animate da ideali ed energie sempre nuove e disponibili a ogni mutamento richiesto da realtà oggettive. Diversamente molti cittadini s’appartano, ma non per negligenza politica o insensibilità etica, bensì per salvaguardare la loro lucidità razionale e la loro libertà di pensiero: per proteggere, cioè, la propria dignità umana dalle insidie d’una politica ridotta a furbizia messa al servizio delle passioni di alcuni.

2 commenti:

Silvio GMN ha detto...

Buon giorno caro Professore ,
la ringrazio per la pubblicazione di questa citazione del prof. Amato che mi stupisce ed anche tanto considerata l'età e l'esperienza politico-istituzionale del suddetto .
D'un passo abbiamo dribblato dalle méta-récits di Lyotard alla liquidità di Baumann , Foucault con la sua società disciplinare e microfisica del potere alla crisi della prima modernità , senza dimenticare ancora Agamben od ancora Eco con la sua non innocenza post-moderna . Quegli "ibridi connubbi" mi hanno riportato a Canguilhem coi suoi concetti di normale/a-normale , e l'idea di normazione come unificazionde del diverso .
Apprezzo molto le sue "formazioni libere" , e rimango con i miei interrogativi
si governa in nome e per conto dei cittadini ?
chi sono oggi i "cittadini" ?
Il "cittadino" in quanto membro di una comunità pubblica dovrebbe quantomeno avvertire la responsabilità ed l'esigenza del diritto all'E-Ducazione .
In questi periodi di politica ridotta a Mercato con le sue normali regole che andrebbero almeno conosciute .

Cosimo Scarcella ha detto...

Sappiamo che i filosofi spesso restano voci inascoltate come quelle dei profeti disarmati. E' comunque necessario mantenere accesa qualche fiammella di luce pura.