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domenica 20 dicembre 2015

IL “TERRORISMO” ISLAMISTA INTERROGA LA “CULTURA” OCCIDENTALE

Pubblicato su Affaritaliani il 25.11.2015

Dagli ultimi violenti attacchi terroristici sferrati contro Paesi europei da parte dell’autoproclamato Stato Islamico è trascorso un periodo di tempo sufficiente, perché si possano fare riflessioni attente e valutazioni obiettive, lontano da immediate commozioni umane e al riparo da comprensibili, ma fuorvianti passioni di parte. Questi episodi sono stati definiti da Obama un “attacco al mondo civilizzato”, mirando a coinvolgere non solo l’intero l’Occidente, ma anche e soprattutto la Russia; nello stesso tempo, però, ha fatto riemergere il singolare e ibrido connubio tra Roosevelt, Stalin, Churchill, contro i terrori nazifascisti del secolo scorso. Ovviamente con alcune differenze significative: la Germania e l’Italia erano Nazioni con una propria identità statuale, mentre gli odierni movimenti fondamentalisti islamici ne sono privi, benché siano stati presenti per quasi tutto il secolo scorso, opponendo resistenza al colonialismo e all’imperialismo occidentali, fino a dare origine a un vero  e proprio “nazionalismo arabo”, animato da crescente ostilità contro la presenza militare e l’influenza economico-culturale dell’Occidente.  

Ogni forma di terrorismo, compreso quello dell’Isis, professa e diffonde una propria visione dell’uomo e del mondo, con convinzioni e valori propri, con propri obiettivi sociali e politici; cioè ha una sua “cultura”, anche se da altri considerata sbagliata e pericolosa, perchè ideologica e utopica. Ma l’utopia per sua natura è, in ogni caso, sempre nuova e rivoluzionaria. Proprio per questo la chiave di lettura delle barbarie perpetrate dall’islamismo fondamentalista non può essere “la banalità del male” denunciata come causa del totalitarismo nazista da Hanna Arendt, cioè l’incapacità di ragionare con la propria testa, la mancanza di idee e di valori, l’appiattimento etico della società di massa. Oggi il fondamentalismo terroristico – e non solo religioso e nemmeno solo islamista – necessita d’una sua interpretazione, nuova e  storicamente veritiera, al fine di trovare adeguate soluzioni radicali ed efficaci.

Ora, i movimenti  terroristici – soprattutto quello islamista – vengono propagandati come progetti d’abbattimento dei valori essenziali del mondo “civilizzato occidentale”: libertà, uguaglianza, democrazia, solidarietà, economia di libero mercato. Ricercarne le ragioni – si sostiene - in cause politiche o socio-economiche di diversa natura, sarebbe del tutto sbagliato e deviante, in quanto le vere connotazioni d’ogni terrorismo sono proprio l’irrazionalità e l’assurdità. A ben riflettere, però, forse non è così; non si può mistificare la realtà e sostenere con superficialità che l’obiettivo unico del terrorismo è un assurdo attacco al modo di vivere delle civiltà democratiche, per cui si urla: “non ci faranno cambiare le nostre abitudini”. Nel terrorismo, invece, ci sono intelligenza e razionalità. Bisognerebbe conoscere obiettivamente la storia della millenaria cultura araba e valutare con rispetto la non facile evoluzione del mondo musulmano; o, almeno, bisogna non omettere ciò che il suo mondo ha sofferto anche recentemente negli anni ’90 con la guerra del Golfo, quando è stato colpito nell’essenza profonda della sua civiltà e nella sacralità della sua religione: la potenza economico-militare occidentale ha soverchiato e umiliato il fragile mondo arabo-islamico, e si persino insediato nei suoi territori. Da qui la discutibile propaganda che il mondo islamista vuole vendicarsi di tutto ciò, già a partire dall’attentato dell’11 settembre. Forse, però, più che come una vendetta, bisognerebbe vedere una reazione comprensibile (anche se discutibile) contro una situazione vissuta come occupazione, se non del tutto militare, certamente ideologica e culturale, con cui si vuole modernizzare i suoi territori, iniziando processi di democratizzazione e trasformando, quindi, anche le strutture socio-economico-politiche.

Il mondo occidentale deve imparare meglio a condividere – onestamente e senza calcoli di alcun tornaconto - le diversità, senza la presunzione di detenere ogni verità e felicità, che deve dare a tutti, usando anche la forza con chi non le volesse. Il mondo islamico non intende né tollerare protettorati ormai eccessivi, né subire processi imposti di democratizzazione, né condividere innovanti atteggiamenti etici non richiesti. Non sopporta, soprattutto, di dover accettare e rispettare frontiere territoriali segnate e imposte loro da potenze straniere (l’Occidente avrebbe dovuto imparare qualcosa dalla caduta del muro di Berlino). Insomma, il modello culturale dell’Occidente non deve imporsi, ma deve  aprirsi agli altri modelli culturali, compreso quello culturale arabo; e dialogare con tutti, disponendosi con sincerità anche ad ascoltare e accogliere ogni altro mondo. Emblematico diventa ciò cui s’è assistito in piazza san Marco per i funerali “laici” della giovane Valeria Solesin. In prima fila sedevano congiuntamente il laico Presidente Mattarella, il musulmano Imam, il cristiano-cattolico Patriarca, l’ebraico Rabbino.

L’Occidente – si dice – è in guerra, ma vincerà, conserverà la sua libertà, difenserà i suoi valori. Bisogna chiedersi: in guerra contro chi e per quali obiettivi? Contro il terrorismo islamista, forse? Ma è difficile a capirsi, sapendo quanto è successo qualche giorno fa al G20 di Antalya in Turchia. Più delle tematiche finanziarie all’ordine del giorno, l’incontro affronta il tema del terrorismo: “"Una minaccia per tutti noi", da contrastare "sia dal punto della sicurezza che dal punto di vista finanziario" esordisce il presidente turco Erdogan. Ma dopo, a chiusura dei lavori, Putin, da politico scaltro, denuncia apertamente davanti a tutto il mondo, “Isis è finanziato da individui di 40 Paesi membri del G20”, mettendo in grande imbarazzo lo stesso re dell’Arabia Saudita, Salman, che poco prima aveva tuonato contro i “terroristi diabolici da sconfiggere”, ma che ora veniva additato apertamente come uno dei massimi finanziatori dell’Isis. A chiarire la mente è intervenuta in queste ore la crisi Turchia-Russia per l’abbattimento dell’aereo russo. Vladimir Putin ha definito l’abbattimento “una pugnalata nella schiena da parte dei complici dei terroristi”; osservatori internazionali avvertono: ora “La Turchia mette l’occidente davanti a un bivio”.

E’, quindi, veramente strano (e soprattutto preoccupante) ascoltare Governanti che seminano ottimismo e certezza di trionfo sui nuovi barbari provenienti dall’Oriente. Proclamano libertà e sicurezza, quando nello stesso tempo i cittadini di molti Paesi si sentono sotto assedio e senza alcuna libertà di camminare per strada, vivere nel proprio mondo di lavoro, trascorrere qualche ora libera in luoghi tranquilli. Fare proclami di superiorità culturale, ostentare sicurezza, diffondere infondato ottimismo è facile; ma i popoli hanno paura. Anche perché le guerre sono decise dai pochi ricchi e potenti, ma sono combattute dai molti poveri e deboli. Se si vuole eliminare, o almeno controllare, la guerra, basterebbe che i pochi potenti si sedessero intorno a un tavolo e si imponessero almeno una moratoria per la costruzione e vendita di armi. Ma cosa farebbero le industrie belliche, tutte, nessuna esclusa?

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