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mercoledì 19 agosto 2015

LA SCUOLA PARITARIA È PUBBLICA O PRIVATA? ORA IL PARLAMENTO LEGIFERI


L'analisi di Cosimo Scarcella/ Ha destato non poco stupore la virulenza con cui il segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, ha attaccato la pronuncia della Cassazione, secondo cui gli istituti religiosi dovranno pagare la tassa Imu anche sugli immobili sede di scuole paritarie...


 
Ha destato non poco stupore la virulenza con cui il segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, ha attaccato la pronuncia della Cassazione, secondo cui gli istituti religiosi dovranno pagare la tassa Imu anche sugli immobili sede di scuole paritarie. Non meno sorpresa hanno generato le tardive e tepide reazioni della politica, soprattutto da parte del governo italiano, che soltanto dopo un ragguardevole lasso tempo, lungi dall’esplicitare doverosamente il suo parere, s’è limitato ad “annunciare”, ovviamene solo tramite il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, che il governo avvierà un “tavolo di confronto”, per arrivare “a un definitivo chiarimento normativo”. 
Le leggi e le sentenze vanno accolte con la necessaria sottomissione, vanno rispettate con l’onore richiesto dall’ordine giuridico, vanno eventualmente emendate o addirittura sostituite con successivi procedimenti legislativi garanti della equità e della giustizia. Questa non è conquista civile e giuridica di recente scoperta, ma testimoniata già 25 secoli fa da Socrate, primo martire della libertà della ragione e dell’ossequio alla legalità; tanto che  22 secoli dopo il calvinista Gian Giacomo Rousseau confesserà che, quando pensava al sacrificio di Cristo si inginocchiava, perché era Dio, ma quando pensava al martirio di Socrate piangeva, perché era uomo. 
Atteggiamenti diversi e addirittura opposti di fronte all’ordine giuridico non sembrano né opportuni né consentiti. Non si può avere la presunzione di leggere nella mente e di scrutare nei cuori degli uomini. Pertanto, si fonda solo su “sensazioni nette”, ma sempre soggettive, l’affermare da parte del rappresentante dei vescovi italiani: "Siamo davanti a una sentenza pericolosa. Chi prende decisioni, lo faccia con meno ideologia”. Tra il politico che, colpito da sentenza scomoda, accusa di complotto la magistratura, e le attuali parole del prelato non passa molta differenza, almeno agli occhi del cittadino libero nel giudicare e disincantato nel valutare. Ugualmente immotivata è la sua “sensazione che con questo modo di pensare, si aspetti l'applauso di qualche parte ideologizzata”: chi la pensa diversamente non diventa subito nemico da abbattere, né in campo politico né in campo religioso. E’ solo un essere pensante che la pensa diversamente, senza per questo essere tacciato di asservirsi a qualcosa o a qualcuno.  
Prima di dare per accertato e incontestabile che quella della Cassazione è una sentenza “pericolosa e ideologica”, è davvero molto opportuno prendere atto – come rivendicato dal presule - che “è venuto il momento di smetterla con i tiri allargati e di cominciare a chiamare le cose con il loro nome”. Ebbene. Già il nostro Dante Alighieri 8 secoli fa parlava di politica e religione, ossia di stato e chiesa, come di due “soli” dotati di luce propria e autonoma, e nello stesso periodo Tommaso d’Aquino avvertiva che non c’è unità senza distinzione. Senza distinzione c’è solo confusione, dove tutto è indistinto e disordinato e, quindi, possibile. Andando ai nostri tempi, sono quanto mai provvidenziali le grandi e significative conquiste del Concilio Ecumenico Vaticano II, che Jacques Maritain, non certo spettatore passivo dell’evento, sintetizza così ne “Il contadino della Garonna” del 1966: nessuno ha il dovere e tanto meno il diritto di “credere” senza l’assenso della sua coscienza libera e illuminata. 
Andando allo specifico dell’oggetto della sentenza contestata, la questione non è nella sua sostanza difficile a capirsi e problematica a risolversi. Premesso che pagare le tasse è dovere morale di solidarietà dei singoli e delle collettività sancito anche dalla Costituzione, si tratta di stabilire se la scuola “paritaria” – la si consideri ‘pubblica’ o ‘privata’, e di qualunque tendenza e matrice culturale, ovviamente compatibile con le leggi dello Stato -  è una “supplenza” necessaria richiesta da eventuali carenze dell’ordine scolastico offerto dallo Stato oppure è un’autonoma iniziativa rivolta a gruppi di cittadini, che ne sentano l’opportunità e ne reclamino la convenienza. In questa seconda ipotesi non si pone alcun problema, trattandosi di attività private; nella prima ipotesi, invece, si tratta di prendere atto e dire chiaramene che lo Stato ha bisogno di scuole paritarie, che offrano interventi educativi che esso non è in grado di dare. Ma, a parte che le supplenze per definizione sono temporanee e non certo rinnovabili all’infinito, esse debbono venire codificate e regolamentate con accordi preventivamente individuati, discussi e condivisi al fine dei reciproci oneri e vantaggi, evitando frequenti e talora non limpidi e necessari interventi di modifica in corso d’opera. Da parte dello Stato italiano ciò deve essere affidato al Parlamento, che legiferi nel pieno dei suoi poteri, e non a qualche più o meno estemporaneo decreto ministeriale. Come in questo caso: la Cassazione si è pronunciata secondo quanto stabilito dai decreti ministeriali vigenti. Si cambino leggi, e la Cassazione produrrà altri pronunciamenti secondo il loro dettato. Il tutto in spirito di reciproco rispetto, che escluda diffidenze, minacce e ricatti, ma produca realtà utili al bene veramente di tutti.




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