Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

lunedì 5 gennaio 2015

DUE “RIFORMATORI” DEL XX SECOLO: PAPA MONTINI E JACQUES MARITAIN

Pubblicato da "Affari Italiani", Mercoledì, 22 ottobre 2014

Domenica 19 ottobre 2014: in piazza san Pietro una marea di folla fissava per ore intere la gigantografia d’un papa non molto noto ai più, perché (forse) tanto in vita che dopo la morte era rimasto sempre schivo e poco propenso ad apparire. Scetticismo e contentezza s’alternavano e si susseguivano nell’apprendere che papa Montini (1897-1978), uomo di chiara fama e di profonda cultura, veniva riconosciuto anche dalla chiesa cattolica romana - da lui guidata con costante prudenza anche durante gli “anni di piombo” – degno di venerazione per le sue virtù eroiche: spesso incompreso e talora dimenticato, veniva ora riscoperto fino a consacrarlo agli onori degli altari.

Montini percorse tutte le tappe nella vita ecclesiastica fino ad accettare il gravoso “servizio pontificale”; mantenne costantemente ferrea fedeltà ai suoi doveri pastorali e intatta coerenza ai dettami della sua coscienza. Anche da papa rimase ‘nel mondo’, ne esaminò i problemi, prodigandosi generosamente per la loro migliore soluzione; ne condivise le angosce, spendendosi ad alleviarle. Seppe riconoscere, stimare e frequentare anche “laici” saggi, onesti e anch’essi servitori degli uomini: basti ricordare, per esempio, l’amicizia con Aldo Moro (1916-1978) e la frequentazione di Jacques Maritain (1882-1973). Questo pensatore, addirittura, quindici anni più anziano, lo ispirò sempre soprattutto per la sua rivendicazione della ”integralità” dell’uomo, cioè della persona umana, che deve occupare la centralità d’ogni pensiero e d’ogni azione, essendo essa fondamento e fine del bene comune autentico. Non a caso, alla chiusura del Concilio Vaticano II, il papa Montini consegnò simbolicamente proprio al filosofo Maritain il messaggio indirizzato “agli uomini di scienza e del pensiero”, riconoscendolo così degno rappresentante degli intellettuali.

L’8 dicembre 1965, infatti, papa Paolo VI chiudeva il Concilio Vaticano II; il successivo 31 dicembre il filosofo Maritain poneva fine a “Il contadino della Garonna”, in cui esternava la sua esultanza, annunciando: “E’ stata ora proclamata la libertà religiosa. Ciò che così si chiama non è la libertà che io avrei di credere o di non credere secondo le mie disposizioni del momento e di crearmi arbitrariamente un idolo, come se non avessi un dovere primordiale verso la Verità. E’ la libertà che ogni persona umana ha, di fronte allo Stato o qualsiasi altro potere temporale, di vigilare sul proprio destino eterno, cercando la verità con tutta l’anima e conformandosi ad essa quale la conosce, e di ubbidire secondo la propria coscienza. La mia coscienza non è infallibile, ma io non ho mai il diritto di agire contro di essa”.

Sono convincimenti che sembrerebbero nascere dalla mente d’un fautore dell’antropocentrismo del rinascimento o sgorgare violenti addirittura dalla bocca d’un audace promotore dell’individualismo illuminista. Invece sono sofferte affermazioni dell’ultraottantenne filosofo francese, che Paolo VI continuava ad ascoltare e meditare. Il sodalizio culturale Maritain-Pacelli, in effetti, risaliva già a quarant’anni prima, quando, sfidando le opposte dottrine marxiste e neofasciste, nel 1925, Maritain aveva pubblicato i “Tre Riformatori. Lutero, Cartesio, Rousseau”, in cui criticava fermamente i principi professati dai tre “riformatori”: “l’avvento dell’io” di Lutero; “l’incarnazione dell’angelo” di Cartesio; “il santo della natura” di Rousseau. Riconosciuta e rispettata l’oggettività della realtà storica in cui avevano operato i tre pensatori, Maritain analizzava con indagine seria i contenuti e gli esiti delle idee proposte dai tre, concludendo che in ogni caso si era trattato di riforme illusorie. Infatti, Lutero falliva, perché il suo spirito mancava di religiosità; Cartesio doveva fallire, perché dubitava dello stesso strumento razionale; Rousseau sarebbe stato condannato a sbagliare, perché si fondava sul preconcetto dell’intrinseca malvagità della dimensione sociale degli uomini. Maritain, comunque, si professava anche aperto e disponibile a ogni seria ulteriore meditazione, da concretizzarsi mediante il rispetto reciproco e l’esplicazione della verità lealmente creduta da ciascuno.

Dopo appena due anni, il trentenne sacerdote Montini, nella “Festa dell’Epifania 1928”, firmava la sua traduzione del saggio maritainiano, dichiarando: “Se la sapienza di queste limpide pagine potesse convincere qualche giovane che s’ha da essere cauti a parlar di riforme, cioè ad inventare sistemi nuovi e mai prima scoperti, e a procedere nel pensiero e nella vita con la spavalda e avventurosa libertà degli egoisti e dei rivoluzionari, credo che sarebbe raggiunto scopo sufficiente e opportuno neanche per i nostri tempi e per il nostro paese”.

Maritain per aver scritto questo lavoro aveva sopportato critiche e ironie; Montini, per averlo condiviso, tradotto e diffuso, era atteso da ostilità e malevolenze. Tra i due pensatori s’instaurarono una frequentazione e un‘amicizia vive e solide. Nel 1978, infatti, due mesi prima di morire, papa Montini indicò come “atto importante” dell’intera sua azione pontificale quella solenne “Professione di fede”, che dieci anni prima aveva pronunciato in piazza San Pietro a nome di “tutto il popolo di Dio”. La genesi di quella professione di fede è testimoniata dalle lettere del comune amico card. Elvetico Charles Journet, ora raccolte nel volume 3 della “Correspondence Journet-Maritain” pubblicato nel 1998. Vi si legge come fu incaricato proprio Maritain a preparare un testo adeguato alle intenzioni del pontefice. Il filosofo stese il contenuto della professione solo “come bozza”, che il cardinale avrebbe presentato al papa, il quale, però, lo accettò subito, ritenendo un “miracolo che tutti i punti difficili sono stati toccati e riposti in luce”.

Chiunque voglia dedicarsi a “riformare” qualcosa con serietà e senza manie di protagonismo, chiunque senta il bisogno (o il dovere) d’impegnarsi con leale generosità per il bene comune, potrebbe trovare feconda ricchezza di suggerimenti nell’approfondire il pensiero e nel ripercorrere il modello di vita di questi due protagonisti, che hanno scritto la storia recente, attingendo copiosamente all’esperienza anche del passato, cui hanno guardato con umile rispetto e profonda gratitudine.

Nessun commento: