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lunedì 5 gennaio 2015

CRESCITA ECONOMICA E DIGNITA’ UMANA

Pubblicato da "Affari Italiani", Mercoledì, 15 ottobre 2014

In “Il Sole24ore” di domenica 12 ottobre 2014 è stata annunciata la pubblicazione della nuova edizione del saggio “Investire in conoscenza. Crescita economica e competenze per il XXXI secolo”, scritto dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Dalla lettura delle pagine inedite anticipate nel dominicale del quotidiano è possibile dedurre alcune riflessioni ispirate a speranza e, nello stesso tempo, improntate a preoccupazione. “La peggiore recessione dal dopoguerra – scrive l’autore - non è solo conseguenza della crisi finanziaria del 2007-08. E’ il risultato di un forte e diffuso indebolimento della capacità del nostro Paese di crescere e competere”. Le cause bloccanti in questi ultimi decenni, pertanto, non sono da attribuire solo alla congiuntura economica sfavorevole, ma anche a molti “nodi irrisolti”, quali l’allargamento spesso repentino dei mercati, l’imporsi di nuovi protagonisti, l’insufficiente tecnologia disponibile per riordinare i contesti del lavoro e, soprattutto “le carenze nella dotazione, qualitativa e quantitativa, di capitale umano”, sprovvisto delle nuove abilità necessarie per sostenere la sfida dei mercati. Da ciò l’autore induce, con ragione, la necessità che in Italia vengano preparati per tempo profili professionali nuovi e disponibili a ricoprire i sempre ultimi ruoli richiesti dagli sviluppi tecnologici e dal variare della domanda dei mercati.

Viene chiamato in causa, così, l’intero sistema socio-economico, educativo e formativo italiano. E la mente corre agli anni post-sessantottini, durante i quali, con i decreti delegati del 1974, nacquero i cosiddetti “organi collegiali” con lo scopo di “rivoluzionare” natura, finalità e metodi dell’istruzione e dell’educazione delle nuove generazioni, grazie a un più facilitato e più esteso accesso ai diversi gradi d’istruzione e grazie, soprattutto, all’interazione fattiva con la società definita “più vasta comunità sociale e civica”. Ottimismo astratto, fondato sul presupposto che sia gli ambienti educativi sia la società fossero, ciascuna per propria natura, comunità educanti. Sono trascorsi quarant’anni e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Anche da quest’esperienza nascono ora le perplessità sui rapporti tra esigenze socio-economiche proprie d’ogni nazione e sul come sia possibile associare quantità e qualità dei cittadini: elementi ugualmente necessari in ogni società democratica attuale e di domani. La democrazia, infatti, s’ispira nell’organizzazione della vita al principio dell’uguaglianza legale e, principalmente, reale. Ideale anche questo ottimo, ma che può covare il rischio dell’appiattimento o della massificazione, qualora non si armonizzino procedimenti amministrativi opportuni, metodi didattici adatti e mezzi economici proporzionati. Quantità e qualità, infatti, potrebbero sembrare contrapposte, ma in realtà stanno e debbono rimanere sempre e comunque associate. Ora, è indubbio che con le semplici riforme (anche odierne) meccaniche e funzionali all’immediato si fa poco per la qualità formativa dei giovani e per la reale crescita globale (quindi anche economica) di tutta la società. I popoli progrediscono, di fatto e nel senso pieno della parola, solo se s’investe in primo luogo sulla qualità; e, per raggiungere quest’obiettivo, servono esperienza, lungimiranza, competenza, audacia: chi progetta la formazione dei profili professionali del presente e del futuro deve tenere presente che i propri interventi investiranno coloro che nascono oggi e avranno vent’anni nel 2034. Riformare i processi formativi significa avere una concreta e adeguatamente ampia prospettiva generazionale, e non il soddisfacimento d’esigenze immediate e contingenti.

La parte conclusiva dello scritto del Visco, poi, fa sorgere qualche preoccupata considerazione, ovviamente suggerita dal buon senso e dalla ragionevolezza. “Le conoscenze tradizionali – assicura l’autore - resteranno un bagaglio irrinunciabile, ma andranno inserite in un contesto dinamico in cui assumerà importanza crescente ciò che gli educatori definiscono come ‘competenza’ (…). L’esercizio del pensiero critico, l’attitudine alla risoluzione dei problemi, la creatività e la disponibilità positiva nei confronti dell’innovazione, la capacità di comunicare in modo efficace, l’apertura alla collaborazione e al lavoro di gruppo costituiscono un nuovo ‘pacchetto’ di competenze, che possiamo definire ‘competenze del XXXI secolo’”. Quest’elenco, però, a ben riflettere, ha costituito, costituisce e dovrà costituire l’essenza e la ragion d’essere dell’azione educativa e formativa d’ogni tempo, per cui la differenza specifica del “pacchetto” ritenuto necessario nel nostro secolo si potrebbe forse sintetizzare nel maggiormente veritiero fornire (più che ‘formare’) capacità “per far fronte in modo efficace a situazioni spesso inedite e certamente non di routine”. Le perplessità nascono, allorquando si tenta di capire quale sia concretamente la natura delle invocate situazioni nuove: si tratta di situazioni da “utilizzare” per il benessere materiale e morale dei cittadini oppure contesti che pretendono di “utilizzare” la dignità dell’uomo e del cittadino, manipolando il senso della vita e marcando il destino della qualità dell’esistenza quotidiana?

L’evolvere storico della vita dei popoli globalmente intesa va senza dubbio compresa, accolta e coadiuvata nel suo “crescere e competere”; ma è necessario anche riconoscere ogni valida aspirazione dei singoli e in particolare delle ultime generazioni, evitando polemiche faziose, aprendosi a confronti sereni e nello stesso tempo intransigenti nel loro bisogno di coerenza e di seria verifica. Ogni proposta d’innovazione va formulata con spirito razionale e costruttivo, senza del quale può manifestarsi il malessere sordo, che induce molti, soprattutto i giovani, ad atteggiamenti irrazionali e distruttivi. Non si può tollerare che il fine (l’uomo che dispone d’una sola vita) sia ridotto a mezzo strumentale: l’uomo è fatto per vivere aspirando alla “felicità” sua e degli altri, e giammai per diventare “mezzo” per il perseguimento di mete private o di gruppo. Alla salvaguardia di questo diritto inalienabile sono chiamate tutte le “agenzie formative” di qualunque natura; ogni altra loro attività ha valore se è compatibile con la salvaguardia della libertà e la dignità umane. Anche la crescita economica e la concorrenza dei mercati.

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