Il Tempo, in sé fluire di momenti transeunti che vanno accolti, si apre a un "oltre" custode Eterno di valori trascendenti che vanno abitati. Vicende e realtà tendono alla suprema fusione nell'infinita Totalità, anima di ogni Speranza.

mercoledì 19 febbraio 2014

PER UNA POLITICA AL SERVIZIO DEL BENE COMUNE

Il cammino, che percorre la vita dei singoli e delle nazioni, è sempre determinato dagli orientamenti decisi di volta in volta dalle libere scelte degl’individui e dalle responsabili gestioni da parte dei governanti chiamati o comunque posti a guida dei popoli. Certo, non si possono svalutare e men che mai misconoscere gl’indirizzi di pensiero, che sostengono la dottrina del fatalismo o la concezione del determinismo; sembra, però, forse più consono alla dimensione razionale propria dell’uomo attribuire l’accadere degli eventi anche al libero e responsabile intervento degli uomini. Si tratterà indubbiamente d’interventi storicamente condizionati e, comunque, sempre commisurati alla facoltà volitiva dei singoli, alla capacità decisionale dei reggitori degli Stati e, non ultimo, supportati dal grado di maturità morale e di autonomia politica di ciascun popolo. Ogni tempo, pertanto, è tempo fatto di scelte alternative, tutte ugualmente legittime e possibili, ma fatte – ci si augura - con valutazione seria e prudente delle necessità reali, delle possibilità concrete di realizzazione e delle utilità ipotizzabili. Da qui la necessità d’una visione complessiva dei problemi politici, che permetta scelte in grado di garantire il destino dei popoli. E non solo dell’Occidente. Oggi, infatti, tempo della globalizzazione anche dei doveri e dei diritti, ricade su tutti la responsabilità di rinvenire e condividere una concezione antropologica ed etica, su cui edificare progetti validi di vita comunitaria, indubbiamente diversificati, ma sempre e comunque garanti e salvaguardia della dignità dell’uomo d’ogni cultura e d’ogni angolo dell’universo.

Questa esigenza non pare, però, sia avvertita da tutti e nel modo più adeguato. Si constata spesso, infatti, come da molte parti, anche da esponenti del mondo dell’economia, della politica e della stessa cultura, si faccia quasi a gara a individuare e denunciare le cause presunte dei disordini, che serpeggiano nelle varie nazioni e nei diversi settori della vita sociale; quasi sempre, tuttavia, sembra prevalere in loro la preoccupazione di valutare ed evidenziare le manifestazioni esteriori delle crisi indagate, senza almeno considerare prima di tutto le radici vere di tali sintomi. Sviati, pertanto, da questo fraintendimento, ricercano e suggeriscono come rimedio interventi di natura pragmatica, funzionali a situazioni particolari e settoriali, che toccano soprattutto il governo politico e l’equilibrio economico. Il complesso delle attività umane d’un popolo, però, non è fatto da una molteplicità di attività separate e giustapposte, ma è costituito in sistema unitario e organico, nel quale ogni attività s’accorda e si armonizza nella totalità del corpo sociale, secondo la gradualità del valore intrinseco di ciascuna. E’ questa totalità organica che nel suo insieme unitario deve tendere verso un unico sommo scopo: il bene comune. La vita d’una società, infatti, è simile a quella d’un organismo vivente, per cui il mal funzionamento d’un solo organo compromette la sanità dell’intero organismo. Nelle odierne situazioni di crisi sociali globali non è in causa il pervertimento di organi della società e di funzioni dello Stato, ma prima di tutto il deterioramento dell’intero tessuto sociale e politico, che determina e alimenta comportamenti dannosi. La diagnosi e la terapia, di conseguenza, debbono essere condotte secondo criteri di giudizio richiesti dal male da curare e non proposti e azzardati alla luce d’interpretazioni personali più o meno fondate o interessate; e debbono riguardare l’intero organismo sociale in ciò che esso contiene di più essenziale ed intimo, e non solo qualche settore più o meno evidente. E’ urgente, pertanto, ritrovare una visione culturale e politica integrale, che offra un’antropologia universale, nel senso che nessuna creatura pensante ne sia esclusa.

Gli uomini, però, nonostante ricerchino continuamente quale sia la loro vera dimensione esistenziale, tuttavia trovano raramente risposte veramente appaganti; forse perché non si ha il coraggio di prendere atto e di accettare la realtà sociale e politica per quello che essa è e si mostra oggettivamente. Ma solo in questo modo può concepirsi fondatamente e perseguire fattivamente il progetto d’una decorosa convivenza di uomini tra uomini, capaci di costruirsi la città: cioè, di fare politica ciascuno secondo le proprie risorse e capacità. Questa responsabilità etica verso il futuro anche degli altri non può essere, ovviamente, né affidata agli umori dei singoli governanti né lasciata in balia degli interessi dei diversi popoli e nemmeno delegata all’arbitrio di eventuali dirigenti non sempre animati da principi validi e nobili. Si rischierebbero molti pericoli. Per evitarli, è necessario provvedere un adeguato ordine giuridico, che determini il fine verso cui indirizzare ogni iniziativa e ne definisca tempi e modalità d’attuazione. Le leggi – secondo un’utile convinzione già del Rousseau – salvaguardano dall’eventuale volubilità del governante di turno, in quanto è autorità propria delle leggi e dell’intero ordine giuridico indicare l’ideale, cioè il vero regno delle finalità, cui gli uomini possono ragionevolmente e debbono moralmente aspirare. Le leggi, pertanto, salvaguardano e concretizzano libertà e doveri dei singoli, moralità ed eticità degli Stati. Diritti e doveri, dunque, non risultano stabiliti, concordati o elargiti dall’esterno della natura umana e della storia, ma sono insiti in esse. Lo stesso Giovanni Gentile, trascendendo il rigore logico del suo attualismo, ha scritto arditamente che “la società è dentro l’uomo”.

Ecco, allora, il legame, che unisce diritto ed etica; legame affidato, nella realtà, alla responsabilità di tutti, ma in primo luogo di chi sceglie o accetta di farsi carico del governo della cosa pubblica. Il nesso politica-diritto-morale è stato ed è essenziale in ogni tempo e in ogni situazione, ma s’impone con maggiore forza in tempi, in cui nelle scelte e negli orientamenti delle nazioni, l’affannosa ricerca dell’interesse privato e dei gruppi particolari prevale talmente che il sentimento dell’altruismo e la coscienza delle comuni responsabilità restano sovrastati e talora addirittura annichiliti. Non sembra fuor di luogo, pertanto, l’opportunità di ripensare le proposte antropologiche e socio-politiche avanzate da dottrine ”integrali “ del passato e del presente e di diversa matrice culturale, quali il pensiero umanistico di Erasmo da Rotterdam, gli sforzi dei movimenti ispirati al latitudinarismo e all’irenismo in generale e del XVII secolo in particolare, i messaggi dell’induismo di Mahatma Gandhi aperto al buddismo e al cristianesimo, il personalismo cristiano e in particolare cattolico soprattutto di Emmanuel Mounier e di Jacques Maritain, il principio di responsabilità altruistica degli ebrei Huns Jonas e Emmanuel Lévinas, ovviamente senza disattendere le esigenze espresse e proposte anche da teorie contemporanee della filosofia sia continentale che analitica. Questi pensatori - ciascuno con specificità proprie e nel contesto storico d’appartenenza – intuiscono e ammoniscono sostanzialmente che la politica reale, cioè il costruire fattivamente la città, non è assemblare attività staccate, ma strutturare un intero integrale di attività all'altezza di veicolare l’orizzonte di universalità in ciascuna società, in modo da consentire il graduale superamento dei limiti economici ed individualistici. Dal momento che la società è un organismo eminentemente etico, consegue che lo Stato dev’essere affidato in primo luogo a uomini testimoni e difensori della dignità integrale dell’uomo e del cittadino, e non gestito soltanto da professionisti dell’arte del governo e da tecnici esperti dei meccanismi economici e sociologici. Non si può, infatti, ritenere (come sembrano fare alcune concezioni di democrazia, già rappresentate in modo esemplare nella figura di “homo democraticus” da Alexis de Tocqueville in “La democrazia in America”), da una parte di esaltare la singolarità della natura umana, come pretenderebbe il liberalismo o, dall’altra parte, di sopravvalutarne la dimensione sociale, secondo il dettato del sociologismo sulle tracce del pensiero, tra gli altri, di Auguste Comte, Karl Marx, Emile Durkeim. Tanto l’irripetibilità dell’individuo quanto la sua dimensione sociale vanno sottratte ugualmente alla glorificazione dell’assoluta libertà del singolo, alla boria d’orgogli nazionali e, soprattutto, alle spesso dissennate richieste di mercato. La creazione e il mantenimento della società vanno restituiti al gesto libero e consapevole dell’uomo. Non si tratta di capovolgere le possibilità di relazioni singolo-società, ma solo di reinterpretarle in maniera che si salvino sempre e contemporaneamente la singolarità d’ogni cittadino e le indiscutibili esigenze di convivenza. Bisogna in ogni caso riscattare il responsabile intervento del cittadino nella società: egli, non una volta per tutte, ma momento per momento, quando e se lo vuole, deve poter decidere e lavorare per la costruzione della società, cui sceglie di partecipare.

L’obiettivo finale cui aspirare, pertanto, è di ritrovare le motivazioni etiche prima che giuridiche, capaci di offrire vitalità sempre nuova alla convivenza pacifica e costruttiva tra gli uomini, in una crescente visione del dovere civile e morale dell’impegno anche politico. Il quadro spesso davvero desolato del mondo contemporaneo, però, denuncia la carenza di queste istanze, poiché talora si preferisce ubbidire a qualcuno e sottomettersi a qualcosa piuttosto che affrontare le difficoltà per conquistare la propria formazione umana totale e, quindi, anche politica. L’attuale scena politica fa assistere a “politici di professione”, che all’occorrenza si fanno affiancare anche da “tecnici” per la soluzione di particolari situazioni sociali ed economiche. Questa collaborazione è lodevole ed esemplare. Però, a considerare bene i fatti, nascono dubbi e perplessità, quando si analizzano più a fondo le motivazioni, che determinano le scelte dei tecnici e dei politici di professione. Entrambe le figure operano senza dubbio legittimamente entro la propria logica professionale e politica; ma non si sa quanto integralmente umana. Non si sa, insomma, quanto la loro azione sia ispirata a motivazioni umane generali e non dettata, invece, da contingenze particolari.

Ecco, a questo punto, l’opportunità di affiancare al politico e al tecnico una generazione di “politici di solo servizio alla politica”, che possano collaborare, nella reciproca stima, con i primi. Si tratterebbe di persone dedite ordinariamente ad un mestiere o a una professione, che danno la propria disponibilità per un loro impegno nella politica attiva e, qualora ne sia il caso, anche di assumere impegni, in cui porre a disposizione le proprie competenze ed esperienze, sempre con la pubblica e vincolante promessa di una partecipazione solo a tempo e a titolo di gratuità. Cosa forse non facile. Queste persone, infatti, hanno non pochi motivi per tenersi distanti dalla vita politica. Le ambizioni di molti, nella realtà, renderebbero vana la loro opera; e il modo di pensare comune, convalidato dal corso dei fatti, attesta che il successo spesso premia l’andazzo ed emargina nell’indifferenza e nel silenzio chiunque s’opponga. Certo, questa proposta potrebbe suonare come una nostalgica aspirazione suggerita da rimpianti d’un passatismo mesto e sterile. E’ difficile a dirsi, quindi, se possa essere obiettivo realizzabile o chimera destinata a restare nel mondo degli ideali, come sogno bello o utopia vana. E’ un dubbio, comunque, che aveva assillato già Immanuel Kant, il quale, però, senza assumere alcuna aria di sufficienza ma speranzoso nell’umana ragione, si rispondeva che importante non è che l’ideale si realizzi, ma che l’uomo viva come se lo fosse; e ai suoi contemporanei, che deridevano le idee platoniche da lui riproposte, ribatteva che se, anziché deriderle, si dedicassero al loro possibile raggiungimento, tutto il mondo sarebbe andato certamente meglio.

Non c’è bisogno, allora, di una serie di soluzioni, ma di una soluzione unica e globale, cioè perseguire una politica, che si proponga di esprimere i valori propri della persona umana, riprendendo serie indicazioni d’elevato spessore etico, tali che innalzino il livello del confronto politico, spostandolo dalla mortificante combinazione di interessi parziali a una più vasta visione di obiettivi di portata generale. Per questo è opportuno il coinvolgimento di personalità d’indiscussa esperienza, ma anche in grado di individuare gli interessi generali. E’ un progetto certamente lungo e faticoso; ma forse è l’unico capace di ridare senso alla partecipazione politica del cittadino. E’ un progetto che richiede principalmente fiducia e speranza: si tratta, infatti, di gestire il presente, ma senza rimanere oppressi dalla logica dell’immediato, soprattutto se si considera la vera essenza della democrazia, che è una visione globale dell’uomo e del mondo e uno stile di vita privata e pubblica prima e più che una forma o una tecnica di governo. Essa, se inadeguatamente intesa e perseguita, corre il rischio di rimanere seriamente tradita nella sua stessa ragion d’essere di “governo del popolo, da parte del popolo, per il bene del popolo”, e può diventare dominio del numero più grande (non necessariamente sempre dei migliori) sul numero minore di cittadini (non necessariamente sempre dei meno buoni). E questo vale soprattutto nei nostri giorni, quando la crisi dell'etica pubblica è sotto gli occhi di tutti.

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